Appalti: il CdS sulla mancata attivazione del CIG

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza n. 2238 del 12 maggio 2017, si è pronunciato sulla mancata attivazione del CIG (Codice Identificativo di Gara), fornendo chiarimenti sull’obbligatorietà dello stesso.

In particolare la parte ricorrente aveva rilevato l’illegittimità della gara per mancata attivazione del codice CIG (codice identificativo gara), censurandosi la sentenza di prime cure secondo cui l’obbligo di indicazione del CIG attiene non già alla fase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto.

Così i giudici di Palazzo Spada: “Tale motivo deve essere disatteso, meritando conferma la sentenza di primo grado che ha collegato l’obbligatorietà dell’’indicazione del CIG alla stipula del contratto, essendo la stessa essenzialmente funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto inferibile dall’art. 3, comma 5, della legge 13 agosto 2010, n. 136. A tale considerazione deve aggiungersi l’ulteriore che tiene conto della peculiarità del contratto oggetto di controversia, che partecipa della natura di contratto attivo e di concessione di servizi”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 12/05/2017

N. 02238/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1329 del 2017, proposto da:
Suacotex s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Tozzi, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Ama s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Santo Emanuele Mungari, con domicilio eletto presso Andrea Fari’ in Roma, via Vittorio Veneto 108;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II TER n. 02115/2017, resa tra le parti, concernente l’impugnazione della lex specialis della gara per la cessione di indumenti, accessori di abbigliamento provenienti dalla raccolta differenziata nel Comune di Roma, e l’esclusione della ricorrente dalla medesima.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di AMA s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2017 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Tozzi e Mungari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Viene in rilievo nella presente controversia la procedura di gara, suddivisa in quattro lotti, bandita in data 10 ottobre 2016 da AMA Roma s.p.a. per la cessione di indumenti, accessori di abbigliamento ed altri manufatti tessili confezionati post-consumo provenienti dalla raccolta differenziata nel territorio del Comune di Roma. La gara ha ad oggetto sia l’acquisto al rialzo, rispetto al prezzo posto a base di asta (pari ad euro 350,00 a tonnellata), di indumenti ed accessori di abbigliamento (classificati quali rifiuti riciclabili) già raccolti da terzi negli appositi contenitori di proprietà della stessa AMA, che il servizio pubblico di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti acquistati dalla stessa stazione appaltante.

Il disciplinare di gara prevede al punto 6.1.3 che il concorrente debba dichiarare, a pena di esclusione, la sussistenza “dell’autorizzazione alle operazioni R3 e R13 per i codici CER 20.01.10 e CER 20.01.11, in corso di validità”, ed anche che l’impianto sia ubicato entro trenta chilometri dal centro della Città di Roma (da via del Campidoglio all’ingresso dell’impianto) secondo quanto stabilito nel capitolato tecnico.

2. – Nel giudizio di primo grado Suacotex s.r.l., titolare di un impianto di trattamento dei rifiuti ubicato in San Nicola La Strada (Caserta), distante circa duecento chilometri dal centro di Roma, ha impugnato, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, le predette previsioni della lex specialis (disciplinare e capitolato tecnico), ritenendole restrittive della concorrenza a detrimento delle imprese sfornite di un impianto sito nel raggio di trenta chilometri dalla capitale; quindi con motivi aggiunti ha impugnato il provvedimento in data 30 dicembre 2016 con il quale è stata esclusa dalla gara proprio perché non in possesso del requisito di partecipazione richiesto al punto 6.1.3 del disciplinare.

3. – Con la sentenza 8 febbraio 2017, n. 2115, qui appellata, lo stesso Tribunale amministrativo regionale, Sezione II ter, ritenuta la propria giurisdizione in una controversia afferente la gestione del ciclo dei rifiuti (art. 133, comma 1, lett. p, del cod. proc. amm.), ha respinto il ricorso nella considerazione che, consistendo il requisito di partecipazione nella sola disponibilità di un impianto (R13) nel quale stoccare ovvero mettere in riserva il rifiuto (e non anche di un impianto per il trattamento), il prescritto requisito deve ritenersi legittimo, in quanto ragionevole e giustificato, consentendo lo svolgimento del servizio pubblico di raccolta con mezzi più piccoli e di minore impatto ambientale in ragione della prossimità con il luogo di produzione dei rifiiuti, disattendendo altresì la censura con la quale è stata dedotta la violazione dell’obbligo di indicare il CIG di gara.

4. – Avverso detta sentenza ha interposto appello la Suacotex s.r.l., affidandolo essenzialmente a motivi di critica della sentenza concernenti la erronea interpretazione del punto 6.1.3 del disciplinare di gara, da cui si evincerebbe che requisito di partecipazione sia il possesso dell’impianto con autorizzazioni R3 e R13 sito nel raggio di trenta chilometri dal centro della città, in violazione dei principi comunitari di trasparenza e massima concorrenza, in ogni caso l’irragionevolezza dell’impugnata clausola di territorialità, nonché l’illegittimità del procedimento di gara per mancata attivazione del codice CIG.

5. – Si è costituita in resistenza AMA s.p.a. chiedendo la reiezione del ricorso.

6. – Nella camera di consiglio del 13 aprile 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- I primi due motivi di gravame, che possono essere trattati congiuntamente per la loro complementarietà, censurano dapprima la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto che la lex specialis di gara (secondo quanto desumibile dal capitolato tecnico e dal chiarimento reso con una FAQ della stessa Stazione appaltante) richiedesse come requisito di partecipazione la disponibilità e/o l’autorizzazione relativa al solo impianto R13 (stoccaggio o messa in riserva dei rifiuti), e non anche dell’impianto per il trattamento (R3) ad una distanza massima dal centro di Roma di trenta chilometri; lamentano inoltre, nel presupposto che debbano ricorrere entrambi i requisiti, che la lex specialis, così interpretata nel senso dell’affermazione del principio di prossimità in tema di rifiuti destinati al recupero, violi i principi comunitari di massima concorrenza e di parità di trattamento, secondo quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia U.E. V, 12 dicembre 2013, n. 292 (Ragn Sells).

I motivi non sono fondati.

Sotto il primo profilo, occorre rilevare che lo stigmatizzato contrasto tra il disciplinare ed il capitolato non è ravvisabile in sede di interpretazione sistematica. Ed infatti, seppure il disciplinare di gara, al punto 6.1.3, sub lett. i), richiede che la dichiarazione attesti, a pena di esclusione, «la sussistenza, in capo al concorrente, dell’autorizzazione alle operazioni R3 ed R13 per i codici CER 20.01.10 e CER 20.01.11, in corso di validità …», utilizzando dunque la congiunzione “e”, va rilevato come al punto sub “v” contiene un rinvio al capitolato tecnico in tema di ubicazione dell’impianto. Il capitolato tecnico, all’art. 5, comma 3, stabilisce che «il servizio prevede la raccolta differenziata degli indumenti usati ed accessori di abbigliamento (CER 20.01.10 abbigliamento e CER 20.01.11 prodotti tessili) da avviare all’operazione di recupero (R3 o R13), attraverso l’impiego di appositi contenitori stradali di proprietà AMA s.p.a.», utilizzando al contrario la disgiuntiva “o” in ordine alla tipologia di impianto.

Giova aggiungere che, anche ad ipotizzare il permanere di un margine di dubbio ermeneutico nel differenziato uso delle congiunzioni tra disciplinare e capitolato tecnico, questa ambiguità trova un chiarimento nel quesito n. 4 del 25 ottobre 2016, la risposta al quale è nel senso che «si conferma che è sufficiente che il solo impianto di messa in riserva R13 sia situato entro i 30 Km dalla Casa Comunale di Roma. A seguito del conferimento in R13, sarà poi onere dell’affidatario andare ad impianto R3», e soprattutto un’essenziale ed ordinante chiave di lettura nella prodromica determina a contrarre dell’Amministratore Delegato in data 3 agosto 2016, la quale, nel bandire l’asta, ha specificato (circostanza non contestata tra le parti) che «la cessione del materiale avverrà a Roma, o in un comune limitrofo, in un impianto di recupero autorizzato (R3 o R13), posto entro 30 km (distanza stradale dal centro cittadino : Campidoglio), dotato di pesa certificata, di cui il partecipante si avvarrà».

Sotto il secondo profilo, poi, non appare ravvisabile la violazione dell’art. 181 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, atteso che detta norma, in tema di frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero, ammette la libera circolazione sul territorio nazionale (diversamente da quelli indifferenziati), ma esprime il proprio favor per il principio di prossimità agli impianti di recupero (comma 5), il quale è, tra l’altro, funzionale alla riduzione degli impatti ambientali derivanti dalla movimentazione dei rifiuti. E’, del resto, canone di ragionevolezza quello per cui la minore movimentazione permette di conseguire il migliore risultato ambientale possibile.

Tali considerazioni consentono anche di disattendere la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E. ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E., in quanto non è ravvisabile un dubbio interpretativo in ordine alla compatibilità con le norme comunitarie invocate della presente procedura di gara che ha inteso ammettere i soli operatori che abbiano la disponibilità di un impianto di messa in riserva dei rifiuti destinati al recupero nel raggio di trenta chilometri dalla sede dell’Amministrazione.

Per quanto attiene poi alla invocata sentenza della Corte di Giustizia, la medesima riguarda i rifiuti destinati allo smaltimento nonché i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, ed eventualmente da altri produttori.

Occorre peraltro ricordare, in punto di fatto, a conferma della ragionevolezza della decisione amministrativa, e del suo contenuto non violativo della concorrenza, che nell’ambito dei trenta chilometri dal centro di Roma è incontestata la presenza di una pluralità di impianti idonei allo stoccaggio della raccolta differenziata dei tessuti, non potendo assumere valore parametrico la circostanza che di un siffatto impianto sia sfornito l’appellante.

In queste condizioni, non è dunque postulabile la illogicità/illegittimità della clausola di territorialità contenuta nella lex specialis gravata, la quale, per la sua natura di atto generale, non è assoggettata all’obbligo di motivazione, secondo quanto inferibile dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

E’, d’altro canto, rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione la scelta delle modalità di organizzazione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti, non suscettibile di sindacato giurisdizionale, in assenza di chiari indici di irragionevolezza.

2. – Con il terzo motivo si deduce poi l’illegittimità della gara per mancata attivazione del codice CIG (codice identificativo gara), censurandosi la sentenza di prime cure secondo cui l’obbligo di indicazione del CIG attiene non già alla fase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto. Ad avviso dell’appellante, tale soluzione trascura la finalità, connessa all’attribuzione del CIG, di determinazione dell’importo della contribuzione (in favore dell’ANAC) gravante sull’operatore economico che intende partecipare ad una gara.

Anche tale motivo deve essere disatteso, meritando conferma la sentenza di primo grado che ha collegato l’obbligatorietà dell’’indicazione del CIG alla stipula del contratto, essendo la stessa essenzialmente funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto inferibile dall’art. 3, comma 5, della legge 13 agosto 2010, n. 136. A tale considerazione deve aggiungersi l’ulteriore che tiene conto della peculiarità del contratto oggetto di controversia, che partecipa della natura di contratto attivo (nella misura in cui si traduce nell’alienazione di beni pubblici, i rifiuti consistenti in indumenti ed accessori di abbigliamento) e di concessione di servizi (di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti). L’asta oggetto di controversia non è dunque un appalto, ma anzitutto una vendita di beni, sì che può anche dubitarsi dell’applicabilità degli obblighi di tracciabilità.

3. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere respinto, in ragione dell’infondatezza dei motivi dedotti.

Si ravvisano tuttavia, per la peculiarità e complessità della vicenda controversa, le ragioni per compensare tra tutte le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra tutte le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefano Fantini Francesco Caringella

IL SEGRETARIO

Redazione

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