La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 123 del 26 maggio 2017, ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulle disposizioni concernenti la revocazione delle sentenze del G.A., in particolare nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze a seguito di una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Consulta ha, infatti, dichiarato “inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato”.
La Corte Costituzionale, prendendo le mosse da una sentenza resa precedentemente (sent. 210/2013 ), si era già espressa in termini negativi, in quanto “l’obbligo di riapertura del processo, posto dall’art. 46 della CEDU, «nel significato attribuitole dalla Corte di Strasburgo, non concerne i casi, diversi da quello oggetto della pronuncia, nei quali per l’ordinamento interno si è formato il giudicato”.
Si legge ancora dalla pronuncia: “Per i soggetti che hanno adito vittoriosamente la Corte di Strasburgo, invece, questa Corte, con la sentenza n. 113 del 2011, ha riconosciuto l’esistenza dell’obbligo convenzionale di riapertura del processo penale, allorquando ciò sia necessario per conformarsi a una sentenza della Corte EDU, e conseguentemente ha introdotto nell’art. 630 del codice di procedura penale una specifica ipotesi di revisione della sentenza passata in giudicato”.
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