Il TAR Lombardia – Milano, Sez. I, con la sentenza n. 1677 del 26 luglio 2017, si è pronunciato sulla domanda di risarcimento del danno proposta da una ditta esclusa nell’ambito di una gara d’appalto di lavori.
Il Collegio ha ravvisato la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall’amministrazione aggiudicatrice e i danni subiti dalla ricorrente “in quanto, sulla base di un accertamento ex post del nesso eziologico, qualora la provincia di Sondrio avesse escluso l’aggiudicataria e la seconda classificata in graduatoria per carenza del già citato requisito previsto dalla lex specialis, a pena di esclusione, la ricorrente avrebbe certamente conseguito l’aggiudicazione dell’appalto di cui si controverte ed eseguito lo stesso, essendosi collocata in terza posizione nella graduatoria definitiva. Sicché la ricorrente ha subito un danno ingiusto, derivante dalla violazione di una legittima aspettativa di vantaggi patrimoniali (e non solo) proiettati nel futuro”.
Pertanto, non vi è ragione perché non fosse riconosciuto in capo alla società ricorrente il diritto al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione del contratto a prescindere da ogni indagine circa la rilevanza della colpa dell’amministrazione resistente.
Sull’ammontare del risarcimento, i giudici del TAR adito hanno ritenuto di dover svolgere una valutazione equitativa del quantum ex art. 1226 c.c., seppur attraverso una rielaborazione equitativa delle risultanze della verificazione tecnica.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 26/07/2017
N. 01677/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 574 del 2015, proposto da:
R.T.I. Lauro S.p.a. con Valena Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Bonatti, Claudio Piacentini e Alessandro Carlo Licci Marini, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Bonatti in Milano, via Podgora, 3;
contro
Provincia di Sondrio, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Rusconi, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Vincenzo Monti, 8;
nei confronti di
Intercantieri Vittadello S.p.a., Cantieri Valtellina S.r.l., Costruzioni Edil Lampo S.r.l., non costituitesi in giudizio;
Pac S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Riccardo Maria Zanchetta, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Francesco De Sanctis, 33;
per l’accertamento
del diritto della ricorrente e la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno per la mancataaggiudicazione di appalto di lavori.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Sondrio e di Pac S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 giugno 2017 la dott.ssa Elena Quadri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente ha partecipato nel dicembre 2009, quale capogruppo del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con Valena Costruzioni S.r.l., alla procedura di gara indetta dalla provincia di Sondrio per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori riguardanti la “Strada Statale n. 38 “dello Stelvio”- Variante di Bormio per Santa Caterina e Livigno (lotto VI) – Variante di Santa Lucia”.
Significativa ai fini della presente controversia è la previsione di cui al punto 3.1 lett. b) del disciplinare di gara che imponeva, a pena di esclusione, che la cabina di trasformazione elettrica dovesse essere collocata all’interno del fondo catastalmente distinto al fg. 10, mappale 397 del comune di Valdisotto.
Dopo l’espletamento delle consuete fasi di gara, l’incarico è stato affidato a Intercantieri Vittadello S.p.A. nonostante, a dire della ricorrente, classificatasi in terza posizione, la prima e la seconda classificata avessero proposto un tipo di variante obbligatoria relativa alla cabina elettrica in contrasto con la suddetta previsione del Disciplinare di Gara.
Di conseguenza, la ricorrente ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara a favore della Intercantieri Vittadello S.p.A. dinnanzi a questo Tribunale, chiedendone l’annullamento, nonchè la declaratoria di inefficacia dell’eventuale contratto stipulato tra l’Intercantieri Vittadello S.p.A. e la provincia di Sondrio.
A seguito di verificazione appositamente disposta, al fine di risolvere le questioni controverse relative all’accertamento degli esatti confini dell’unità catastale nonché alla precisa collocazione rispetto ai medesimi delle cabine elettriche di trasformazione della prima e della seconda classificata, è risultato l’indiscusso sconfinamento della cabina elettrica di trasformazione della sola aggiudicataria; di conseguenza, con sentenza n. 562 del 24 febbraio 2011, il ricorso è stato respinto in quanto inammissibile per carenza di interesse.
Avverso la citata decisione di prime cure la ricorrente ha proposto appello, denunciando l’irregolarità di entrambe le offerte tecniche per violazione della lex specialis.
Dall’espletamento di una nuova verificazione disposta dal Consiglio di Stato e a seguito di operazioni in contraddittorio con i consulenti di parte, seguite da richieste di chiarimenti da parte del Giudice d’Appello, è emerso che solo la cabina elettrica di trasformazione progettata dal raggruppamento con mandataria la Lauro S.p.A., terzo classificato nella gara in questione, era situata interamente all’interno della particella 397, come richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis. Sicché il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5478 del 5 novembre 2014, ha annullato gli impugnati atti di aggiudicazione della gara de qua alla Intercantieri Vittadello S.p.A., con conseguente reiezione dell’appello incidentale presentato dalla seconda classificata, fondato sull’assunto, rilevatosi infondato per le considerazioni che precedono, che la gara avrebbe dovuto essere ad essa aggiudicata in quanto il suo progetto era conforme alla lex specialis.
Sennonché, in applicazione degli artt. 122 e 124, comma 1, c.p.a., il Consiglio di Stato non ha dichiarato l’inefficacia del contratto nelle more stipulato tra la provincia di Sondrio e la Intercantieri Vittadello S.p.A., atteso che l’istanza di subentro era stata presentata solo con memoria non notificata ed essendo lo stato di esecuzione del contratto da parte dell’impresa aggiudicataria ormai avanzato, né ha disposto il risarcimento del danno per equivalente, in quanto non dedotto e comunque non provato.
Pertanto, con il presente ricorso la ricorrente ha chiesto la condanna della provincia di Sondrio al risarcimento dei danni subiti e subendi, derivanti dalla mancata aggiudicazione in suo favore dell’appalto per “la progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla s.s. 38 dello Stelvio – lotto VI – variante di S. Lucia”, ritenendo sussistenti tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria per equivalente dedotta.
In particolare, con riferimento all’an della pretesa, il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) Relativamente all’elemento oggettivo, la parte ricorrente ritiene che la condotta antigiuridica della provincia di Sondrio sarebbe consistita nell’adozione del provvedimento di aggiudicazione in favore del raggruppamento capeggiato dalla Intercantieri Vittadello S.p.A., rivelatosi lo stesso illegittimo e pertanto annullato dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 5478 del 5 novembre 2014.
2) Relativamente all’elemento soggettivo, la parte ricorrente ne sostiene la ricorrenza richiamando l’orientamento giurisprudenziale prevalente che, sulla scia della giurisprudenza comunitaria, ritiene che, nella materia degli appalti pubblici, una volta dimostrata l’illegittimità del provvedimento impugnato, ai fini del risarcimento dei danni sussista una presunzione assoluta di colpa della Pubblica Amministrazione, che non ammette prova contraria. Non si esime tuttavia dall’evidenziare come (e in che modo) nel caso di specie la condotta della provincia di Sondrio sia stata senza dubbio colpevole.
3) Relativamente al nesso di causalità tra il fatto lesivo ed i pregiudizi subiti, la Lauro S.p.A. ritiene che lo stesso ricorra, essendo state inibite alla ricorrente l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto a causa della condotta colpevole della provincia di Sondrio.
4) Relativamente al danno ingiusto, infine, la ricorrente afferma essenzialmente che esso discende dalla mancataaggiudicazione della gara a quest’ultima, essendo certa la spettanza dell’aggiudicazione alla stessa come, tra l’altro, puntualmente accertato nel corso dell’attività istruttoria svolta sia in primo che in secondo grado del giudizio di annullamento.
Infine, nell’ipotesi in cui vi sia incertezza sull’ammontare del danno subito, la ricorrente chiede a questo Tribunale di valutare lo stesso equitativamente ai sensi dell’articolo 1226 c.c.
Per ciò che attiene al quantum, la parte ricorrente quantifica la pretesa attraverso le seguenti voci di danno:
1) in un importo non inferiore a Euro 1.532.726,82, a titolo di mancato utile;
2) in un importo non inferiore a Euro 555.082,99 (derivante dalla sommatoria di Euro 414.507,55 per i costi di locazione dell’immobile ad uso ufficio, e di Euro 140.575,44 per i costi relativi alle maestranze in tutto o in parte immobilizzate), a titolo di esborsi inutilmente sostenuti durante il periodo in questione;
3) in un importo non inferiore ad Euro 766.363,41 (pari al 5% dell’offerta economica formulata dalla ricorrente) a titolo di danno curriculare, vista la particolare importanza dell’appalto;
4) in un importo non inferiore a Euro 220.060,05, a titolo di ulteriori spese sostenute durante il giudizio di annullamento dell’aggiudicazione.
L’ammontare complessivo del risarcimento dei danni richiesto è pari dunque ad almeno Euro 3.074.233,27, il tutto oltre a rivalutazione monetaria e interessi.
Si è costituita in giudizio la provincia di Sondrio, che ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem, chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza nel merito.
Si è costituita in giudizio la controinteressata P.A.C. S.p.A., che ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza nel merito.
Con ordinanza collegiale n. 1338 del 2016, il Collegio ha ritenuto necessario disporre, ai fini della decisione, una verificazione, da effettuarsi in contraddittorio fra le parti a cura del Preside della Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano o di un professore dotato delle necessarie competenze professionali dallo stesso delegato, volta ad accertare l’utile effettivo stimato, desumibile dall’offerta presentata dalla ricorrente nella procedura concorsuale in questione.
L’incombente è stato ottemperato mediante il deposito della relazione da parte del verificatore in data 28 febbraio 2017.
Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, il Collegio intende pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’azione, sollevata dalla provincia di Sondrio, per violazione del principio del ne bis in idem, ritenendo la Pubblica Amministrazione resistente che la sentenza del Consiglio di Stato n. 5478 del 2014 abbia già statuito in via definitiva sulla declaratoria di inefficacia del contratto d’appalto, nonché sulla richiesta di risarcimento dei danni.
Premesso che la richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto non rileva in quanto, avendo la Intercantieri Vittadello S.p.A. svolto già parte delle opere, la tutela in forma specifica non è più possibile sicché la relativa istanza non è stata proposta dinnanzi a questo Tribunale, il Collegio ritiene che la suddetta preclusione non possa operare nel caso di specie.
Ed invero, la forza del giudicato sostanziale assiste, in linea di massima, soltanto le pronunce a contenuto decisorio di merito, vale a dire quelle che statuiscono in ordine all’esistenza delle posizioni soggettive tutelate e dedotte in giudizio. Invece, le sentenze c.d. di rito, cioè quelle che esauriscono la loro efficacia nell’accertare l’assenza dei presupposti processuali ovvero delle condizioni dell’azione necessarie per poter definire nel merito la controversia, sono di norma inidonee a dar vita al c.d. giudicato sostanziale e a tradursi in un accertamento atto, secondo quanto previsto dall’articolo 2909 c.c., a far stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e aventi causa.
Ebbene, nel caso che qui occupa, la citata sentenza del Consiglio di Stato si è limitata a prendere atto dell’impossibilità di disporre il risarcimento del danno per equivalente “non essendo stato richiesto con il ricorso in appello, né adeguatamente provato”, sicché non vi è stata alcuna pronuncia di merito (né tantomeno di rito) sulla suddetta questione. Pertanto, non si può ritenere che il Consiglio di Stato si sia pronunciato su una richiesta di risarcimento dei danni, mai espressamente formulata.
Di conseguenza, a fronte di una pronuncia del Consiglio di Stato che ha annullato il provvedimento illegittimo di aggiudicazione della gara a favore della Intercantieri Vittadello S.p.A., la ricorrente ha correttamente esercitato la facoltà ad essa riconosciuta dall’articolo 30, comma 5, del d.lgs. n. 104 del 2010, a mente del quale nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Ne discende dunque che la sopra citata sentenza del Consiglio di Stato non è idonea a formare oggetto di giudicato sostanziale sulla questione relativa al risarcimento del danno per equivalente, con la conseguenza che l’autonoma richiesta dello stesso, nel rispetto del termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, fissato dal comma 5 dell’articolo 30, non integra alcuna violazione del principio del ne bis in idem.
Passando al merito, si precisa che, ai fini dell’analisi, occorre distinguere due differenti momenti, il primo antecedente imprescindibile del secondo: l’accertamento circa la sussistenza dei presupposti per l’azione di risarcimento (an) e, in caso affermativo, la quantificazione del danno (quantum).
Quanto al primo, al Collegio preme preliminarmente ribadire che colui che vuole richiedere un risarcimento deve dimostrare la presenza di tutti gli elementi dell’illecito: elemento oggettivo, elemento soggettivo, nesso di causalità, ingiustizia del danno.
Difatti, la ormai granitica giurisprudenza al riguardo ritiene che la struttura dell’illecito extracontrattuale della Pubblica Amministrazione non diverga dal modello generale delineato dall’articolo 2043 del Codice Civile. Ne sono dunque elementi costitutivi: quello soggettivo (dolo o colpa), il nesso di causalità, il danno, l’ingiustizia del danno medesimo. (Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2014 n. 2792). Senza la prova di tutti gli elementi anzidetti, non può essere concesso il risarcimento del danno (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2016, n. 1239; Cons. Stato sez. III, 10 settembre 2014, n. 4618; Cass. Civ. n. 23170/2014).
Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, il Collegio ritiene che siano pienamente soddisfatti tutti gli elementi costitutivi dell’azione risarcitoria.
Ed invero, l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara in questione è stata accertata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5478 del 2014, più volte citata, che ha, difatti, annullato lo stesso. Sicché è stata in tal modo confermata l’illegittimità dell’azione della provincia di Sondrio che avrebbe dovuto aggiudicare il contratto alla ricorrente e, invece, lo ha affidato ad una società priva di uno dei requisiti richiesti a pena di esclusione dalla lex specialis, con conseguente danno ingiusto per la Lauro S.p.A..
Né vi sono dubbi sulla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall’amministrazione aggiudicatrice e i danni subiti dalla Lauro S.p.A. in quanto, sulla base di un accertamento ex post del nesso eziologico, qualora la provincia di Sondrio avesse escluso l’aggiudicataria e la seconda classificata in graduatoria per carenza del già citato requisito previsto dalla lex specialis, a pena di esclusione, la ricorrente avrebbe certamente conseguito l’aggiudicazione dell’appalto di cui si controverte ed eseguito lo stesso, essendosi collocata in terza posizione nella graduatoria definitiva. Sicché la ricorrente ha subito un danno ingiusto, derivante dalla violazione di una legittima aspettativa di vantaggi patrimoniali (e non solo) proiettati nel futuro.
Quanto al requisito soggettivo della colpa, occorre osservare che ai fini del risarcimento, non è necessario l’accertamento dell’elemento soggettivo là dove, come nella specie, il risarcimento funga da strumento necessariamente sostitutivo della non più possibile tutela in forma specifica (avendo l’aggiudicataria già eseguito parte delle opere), poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria, sulla base degli autonomi principi sviluppati nel tempo dalla Corte Europea (cfr. Corte di giustizia UE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314, Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6919; sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482; sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450; tutte con riferimento anche alla giurisprudenza comunitaria). Con l’effetto che nel caso di specie deve essere riconosciuto in capo alla società ricorrente il diritto al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione del contratto a prescindere da ogni indagine circa la rilevanza della colpa dell’amministrazione resistente.
Ebbene, una volta accertata la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni, occorre quantificarlo.
A tal fine, come già esposto in fatto, con ordinanza collegiale n. 1338 del 2016, il Collegio ha disposto una verificazione, volta ad accertare l’utile effettivo stimato desumibile dall’offerta presentata dalla ricorrente nella procedura concorsuale in questione.
L’accertamento tecnico in parola è stato svolto e il verificatore incaricato, il Prof. Francesco Maria Spano – Ordinario di Economia Aziendale, ha prospettato quali possibili alternative di utile stimato per la Lauro S.p.A.: ‹‹1) un utile stimato di 715 mila Euro, utilizzando un conto economico con probabilità di rischio stimata; 2) un utile stimato di 800 mila Euro circa, applicando una media aritmetica semplice degli utili dichiarati dai vari concorrenti; 3) un utile stimato di 791 mila Euro circa, applicando una svalutazione dell’utile dichiarato da Lauro S.p.A. pari alle differenze negative tra i prezzi offerti da Lauro S.p.A. e, per categorie di voci omogenee, e i prezzi superiori del concorrente con i prezzi più simili (con proiezione del campione selezionato pari a circa il 27% delle spese di Lauro S.p.A.)››.
Sennonché, a fronte delle difficoltà emerse nell’espletamento dell’incarico ed espressamente evidenziate dal verificatore incaricato nella relazione finale depositata, dunque, in presenza di una situazione di estrema difficoltà nel fornire una precisa prova sull’ammontare dell’utile effettivo e quindi del danno risarcibile, il Collegio ritiene opportuno dover procedere alla valutazione equitativa del quantum, come pure richiesta dall’istante, conformemente a quanto previsto dall’articolo 1226 del Codice Civile, seppur attraverso una rielaborazione equitativa delle risultanze della verificazione tecnica.
All’uopo, il Collegio identifica l’utile effettivo in una somma forfettaria corrispondente a metà dell’importo richiesto dalla parte ricorrente e, quindi, pari a Euro 766.363,41, individuata tenendo conto, anche sulla base di quanto affermato dal verificatore nella sua relazione finale: ‹‹della perdurante crisi in quegli anni, della elevata difficoltà manageriale e dell’elevato livello di efficienza richiesto, considerati gli ambiziosi obiettivi in termini di risultato finale e copertura delle spese generali››.
Al Collegio preme poi precisare che il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazioneimpugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa: in difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che li avrebbe potuti riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum. Tale ripartizione dell’onere probatorio in materia di aliunde perceptum, pur nella consapevolezza che quest’ultima voce rappresenta un fatto impeditivo del danno, è dalla giurisprudenza considerata valida nel settore degli appalti, potendosi qui invocare la presunzione secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative traendone utili, non essendo ragionevolmente predicabile la condotta dell’impresa che immobilizza le proprie risorse in attesa dell’aggiudicazione di una commessa, o nell’attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere l’aggiudicazione; peraltro, ai sensi dell’articolo 1227, comma 2, del Codice Civile, il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, sicché il comportamento inerte dell’impresa ben può assumere rilievo in ordine all’aliunde percipiendum (così, Cons. Stato, ad. plen., sent. n. 2 del 2017).
Con riferimento al caso di specie, in considerazione del ruolo strategico svolto dalla Lauro S.p.A. nel settore delle opere pubbliche e in mancanza di idonea prova contraria, deve ritenersi che l’impresa abbia comunque impiegato proprie risorse e mezzi in altre attività, sicché appare del tutto congruo decurtare il risarcimento del mancato utile nella misura forfettaria del 50%, ragionevolmente corrispondente all’aliunde perceptum e all’aliunde percipiendum (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5531).
Di conseguenza, alla luce di quanto affermato sino ad ora, l’ammontare complessivo del danno risarcibile risulta pari a Euro 383.181,70.
Sennonché, a tale voce di danno va poi aggiunto il chiesto danno curriculare. Sul punto, il Collegio non ignora l’esistenza di un recentissimo orientamento giurisprudenziale che richiede la prova da parte dell’istante anche di tale danno (cfr., Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2017, n. 2184). Si rileva, peraltro, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce per l’impresa fonte di un vantaggio non patrimoniale ma – comunque – economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica il Collegio ritiene preferibile aderire al tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa che ha da tempo (cfr, ex multis, Con. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2008, n. 2751) ritenuto risarcibile il danno anzidetto, il quale consiste segnatamente nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione.
E’ stato, in proposito, affermato che: “Non è dubitabile che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. Pertanto, alla mancata esecuzione di un’opera appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all’immagine della società ed al suo radicamento nel mercato. Deve perciò ritenersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale (c.d. danno curriculare). Qui il terreno della prova si fa evidentemente molto scivoloso, posto che ammettendo una sorta di «danno per immagine depotenziata», si entra nelle sabbie mobili di un danno non surrogabile patrimonialmente e non agevolmente quantificabile. La quantificazione di tale voce di danno è stata, infatti, sino ad ora operata in via equitativa, riconoscendo una somma pari ad una percentuale (variabile dall’1% al 5%) applicata in alcuni casi sull’importo globale dell’appalto, in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante” (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 15 febbraio 2015, n. 4283).
Ebbene, tenuto conto del valore dell’appalto, del suo peculiare oggetto e della sua durata, reputa il Collegio di quantificare equitativamente il danno curriculare in una percentuale pari al 5% della somma liquidata a titolo di lucro cessante (€ 383.181,70), e pertanto in complessivi € 19.159,08.
Considerate pertanto le due voci di danno (€ 383.181,70 + € 19.159,08) compete alla ricorrente un risarcimento dei danni complessivamente pari a € 402.340,78.
Non si ritiene di accordare alcuna altra voce di danno richiesta, perché non provata idoneamente.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va disposta la condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento, in favore della ricorrente della somma di € 402.340,78, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali su tale importo dal dovuto al saldo.
Riguardo al compenso per il verificatore, il Collegio ritiene, anche in considerazione delle contestazioni formulate dalla provincia di Sondrio avverso la proposta di liquidazione prodotta il 19 aprile 2017, nonché del valore del mancato utile effettivo risultante dall’offerta, così come liquidato (€ 402.340,78.), di corrispondere al verificatore un equo compenso pari ad euro 6.000.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, così come quelle della disposta verificazione.
Si ritiene, invece, che sussistano giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra la parte ricorrente e la società controinteressata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione.
Condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti di parte ricorrente, spese che si liquidano in una somma pari ad euro 5.000 (cinquemila), oltre ad oneri di legge e alle spese della disposta verificazione, che si liquidano nella somma pari ad euro 6.000 (seimila).
Spese compensate tra parte ricorrente e società controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Elena Quadri, Consigliere, Estensore
Oscar Marongiu, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Elena Quadri | Angelo De Zotti | |
IL SEGRETARIO