Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 4337 del 14 settembre 2017, si è pronunciato sulla portata delle norme riguardanti le distanze minime tra edifici.
Il Collegio ha richiamato sul punto l’orientamento costante della giurisprudenza (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 2017 n. 3093 e 8 maggio 2017 n. 2086; 29 febbraio 2016 n. 856; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2016 n. 23136), secondo cui “la disposizione contenuta nell’ art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza”.
I giudici di Palazzo Spada hanno rilevato che tali distanze assumono coerenza rispetto al perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
Tuttavia, nel caso di specie, non è da considerarsi illegittima la disposizione delle “Norme tecniche attuative del Comune controinteressato” che consente la realizzazione di nuovi edifici a filo strada nel caso di prevalente allineamento.
Infatti, è stato dato rilievo al fatto che la norma in questione – nel tenere ferma la disposizione sul distacco tra fabbricati di cui al DM n. 1444/1968 – “rende possibile il mantenimento di preesistenti distanze inferiori solo per immobili preesistenti e sempre che, nella specifica zona considerata, l’allineamento sia “prevalente”.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 14/09/2017
N. 04337/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9184 del 2008, proposto dal signor Valerio Vincenzo Jim Peter, rappresentato e difeso dall’avvocato Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Scrofa, 64;
contro
Rizzi Giuseppina, Squicciarini Donato, Chimienti Domenica e Lucarelli Giuseppe, rappresentati e difesi dall’avvocato Ezio Provaroni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Natale Fusaro in Roma, via F.P. de’ Calboli, 9;
nei confronti di
Comune di Sannicandro di Bari, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Stefani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Guglielmo Izzo in Roma, viale Bruno Buozzi, 47;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Puglia – sede di bari – Sezione III, n. 1209 del 21 maggio 2008, resa tra le parti, concernente permesso di costruzione fabbricato per civile abitazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sannicandro di Bari, nonché di Rizzi Giuseppina, Squicciarini Donato, Chimienti Domenica e Lucarelli Giuseppe;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Lorusso, in proprio e su delega dell’avvocato Stefani, e Provaroni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il signor Vincenzo Jim Peter Valerio impugna la sentenza 21 maggio 2008 n. 1209, con la quale il TAR per la Puglia, sez. III della sede di Bari, in parziale accoglimento del ricorso proposto da Rizzi Giuseppina ed altri (attuali appellati), ha annullato il permesso di costruire n. 39/06, rilasciato in suo favore dal Comune di Sannicandro di Bari.
Con il citato permesso di costruire veniva autorizzata la demolizione di un fabbricato esistente, adibito a deposito, e la ricostruzione di un immobile plurifamiliare per civili abitazioni, aventi pareti finestrate a distanza di soli tre metri dalla palazzina abitata dai ricorrenti in I grado.
1.1. La sentenza impugnata ha, innanzi tutto, affermato che “il fabbricato nel quale abitano i ricorrenti (attuali appellati) e quello autorizzato con il permesso di costruire impugnato sono separati tra loro da una distanza di tre metri data da uno spazio”, che, all’esito della verificazione disposta, risulta “adibito a viabilità pubblica, seppure pedonale e non veicolare” (tale capo non è stato impugnato ed è assistito dalla forza del giudicato interno).
La sentenza afferma inoltre:
– “le previsioni di cui all’art. 9 D.M. 1444/1968, riguardanti la distanza minima da conservarsi tra edifici, essendo funzionali a garantire non tanto la riservatezza quanto piuttosto l’igiene e la salubrità dei luoghi e la formazione di intercapedini dannose debbono considerarsi assolutamente inderogabili da parte dei Comuni, che si debbono attenere ad esse in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici”;
– “le norme regolamentari che contrastano con le previsioni dell’art. 9 D.M. 1444/1968 sono da queste ultime sostituite automaticamente e pertanto possono essere disapplicate anche in mancanza di specifica impugnativa”;
– “l’art. 32-bis delle NTA vigenti in Comune di Sannicandro di Bari deve considerarsi illegittimo e può essere pertanto disapplicato nella misura in cui consente di realizzare nuovi edifici a filo strada, ove esista un preesistente allineamento in tal senso, ed anche se tale allineamento comporti la violazione delle distanze minime inderogabili che debbono sussistere tra fabbricati”;
– “la palazzina che si intende realizzare a mezzo del permesso di costruire impugnato, adibita a civili abitazioni, essendo completamente diversa per tipologia e destinazione d’uso, dal fabbricato preesistente, oggetto di demolizione totale (capannone adibito a deposito), deve considerarsi “nuova costruzione” ad ogni effetto, e quindi anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 n. 2 D.M. 1444/1968”; né, nel caso di specie, ricorre l’ipotesi dell’ultimo comma del citato art. 9.
Il T.a.r., infine, ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dagli originari ricorrenti (anche tale capo non è stato impugnato).
1.2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 41-quinquies l. n. 1150/1942 e 9, co. 1, n. 2, D.M. n. 1444/1968, nonché violazione di quest’ultimo; violazione e falsa applicazione dell’art. 32-bis delle NTA del PRG del Comune di Sannicandro di Bari; travisamento dei presupposti in fatto ed in diritto; illogicità (anche in riferimento al contrasto tra la sentenza di I grado e l’esito della verificazione disposta); ingiustizia manifesta; disparità di trattamento; ciò in quanto:
a) nel caso di specie, lo spazio intercorrente tra i due fabbricati è adibito a viabilità pubblica, di modo che ricorre l’ipotesi derogatoria, in tema di distanze, prevista dall’art. 879, co. 2, c.c.;
b) si rende applicabile l’art. 32-bis delle NTA, che “consente di derogare alle disposizioni dettate dal D.M. 1444/68 in tema di distacco dalla strada nel caso di allineamento prevalente (come nel caso di specie)”;
c) “la soluzione prospettata dal TAR appare francamente impraticabile, posto che, oltre a determinare la probabile violazione della disposizione normativa contenuta nell’art. 873 c.c., comporterebbe la necessità di ridisegnare totalmente la configurazione urbanistica dell’intera zona B del Comune di Sannicandro”, giungendo a determinare “un andamento del prospetto degli edifici per così dire “zigzagante”, così creando tra un edificio e l’altro spazi chiusi o intercapedini ovviamente nocive per le condizioni di igiene, decoro e salubrità degli ambienti, oltre che pregiudizievoli del disegno architettonico della zona e dell’euritmia dei prospetti”;
d) l’applicazione della deroga prevista dall’art. 9D.M. n. 1444/1968 comprende anche le zone B, nelle quali, essendo in linea generale il tessuto urbano definito in ogni sua parte, “lo stato di fatto costituito dalla viabilità esistente . . . rappresenta un piano particolareggiato, cioè una strumentazione urbanistica più precisa e definita del semplice PdF o PRG”.
1.3. Si è costituito in giudizio il Comune di Sannicandro che, aderendo ai motivi di appello proposti dal signor Valerio, ha concluso richiedendo l’accoglimento del medesimo, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
1.4. Si sono altresì costituiti in giudizio i signori Rizzi Giuseppina, Squicciarini Donato, Chimienti Domenica e Lucarelli Giuseppe, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
I medesimi hanno altresì riproposto i motivi dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata, e precisamente:
a1) violazione e falsa applicazione dell’art. 79 del Regolamento edilizio del Comune di Sannicandro di Bari;
b1) violazione ed erronea applicazione dell’art. 32-bis delle NTA del PRG di Sannicandro di Bari, in materia di distacco dai confini;
c1) eccesso di potere per carenza di istruttoria, omessa valutazione dei presupposti, travisamento dei fatti, sviamento di potere.
1.5. Con una prima memoria del 14 maggio 2013, l’appellante:
– in primo luogo, ha evidenziato che “il Comune di Sannicandro è effettivamente dotato di un piano particolareggiato relativo alla zona B di completamento” (con conseguente applicazione dell’art. 9, u.c. D.M. n. 1444/1968). Tale strumento attuativo è rappresentato, in sostanza, dalle “cosiddette schede delle zone B, ossia di una strumentazione urbanistica di attuazione del PRG relativamente alle maglie di completamento del sistema degli insediamenti residenziali, del tutto equivalenti sul piano formale e su quello sostanziale ad ordinari strumenti attuativi di secondo livello”; le schede sono state approvate dalla Giunta Regionale (delibera 29 dicembre 2004 n. 2117);
– in secondo luogo (pag. 12), ha dedotto l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, per omessa impugnazione dell’art. 32-bis delle NTA.
Con ulteriore memoria depositata in data 27 marzo 2017, l’appellante, nel ribadire le ragioni che fondano l’accoglimento dell’appello e, dunque, la riforma della sentenza di I grado, ha nuovamente richiesto (v. pag. 6) la declaratoria di inammissibilità del ricorso di I grado per mancata impugnazione dell’art. 32-bis (poi disapplicato con la sentenza appellata).
1.6. Dopo l’ulteriore deposito di memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione del 27 aprile 2017 la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, per le ragioni di seguito esposte, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Ciò esime il Collegio dal doversi pronunciare in ordine alla inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e, in correlazione, in ordine alla tempestività del motivo di impugnazione con il quale l’appellante ha prospettato la predetta inammissibilità, il quale risulta presente solo nelle memorie del 14 maggio 2013 e del 27 marzo 2017.
2.1. Come si è già avuto modo di esporre, la sentenza impugnata ha proceduto all’annullamento del permesso di costruire rilasciato all’attuale appellante, previa disapplicazione dell’art. 32-bis delle NTA del Comune di Sannicandro, in quanto la possibilità da tale norma prevista di realizzare nuovi edifici a filo strada, ove esista un prevalente allineamento in tal senso, costituisce una violazione dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 (norma inderogabile) e delle distanze tra fabbricati ivi prescritte.
Giova ricordare, in punto di fatto ed al fine di meglio definire il thema decidendum, che dagli atti di causa risulta:
– la preesistenza di un fabbricato;
– che la distanza tra il fabbricato oggetto del permesso di costruire (situato in zona B) e quello di proprietà dei ricorrenti in I grado e di m. 3;
– che tale spazio è costituito da una strada adibita a viabilità pubblica, seppure pedonale e non veicolare.
Occorre, inoltre, precisare che, ai fini del presente giudizio di appello, non assumono rilievo – per le ragioni di seguito esposte – le argomentazioni relative alle cd. “schede della zona B”, di cui alla memoria del 14 maggio 2013, e/o quelle relative all’esistenza del Piano attuativo delle zone B (di cui alla memoria di replica depositata il 6 aprile 2017); il che esime il Collegio dal dover verificare la ricorrenza del divieto dei “nova” in appello (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2016 n. 3509).
3.1. Come è noto, l’art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 prevede, tra l’altro che tra “nuovi edifici ricadenti in altre zone” (diverse dalla zona A), “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (co. 1, n. 2). Inoltre, l’ultimo comma, secondo periodo, di detto articolo prevede che:
“sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Il Collegio deve innanzi tutto ribadire i principi generali espressi dalla giurisprudenza amministrativa, in tema di inderogabilità dell’art. 9 D.M. n. 1444 cit.
E’ stato, infatti, affermato dalla costante giurisprudenza (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 2017 n. 3093 e 8 maggio 2017 n. 2086; 29 febbraio 2016 n. 856; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2016 n. 23136) che la disposizione contenuta nell’ art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
Tanto riaffermato nella presente sede, occorre osservare che la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse
Tale affermazione trova riscontro in una pluralità di considerazioni.
Occorre, infatti, ricordare che, ai sensi dell’art.41-quinquies l. 17 agosto 1942 n. 1150, “i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” (quelli di cui al successivo D.M. n. 1444/1968), sono imposti “ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”. Ciò significa che essi sono previsti dalla norma primaria per la “nuova” pianificazione urbanistica e non già per intervenire sull’esistente, tanto meno se rappresentato da un singolo edificio (a meno che “l’esistente” non sia esso stesso complessivamente oggetto di pianificazione urbanistica). Ed infatti, in coerenza con quanto ora affermato, lo stesso art. 9, per le zone “A”, nel contemplare le distanze tra edifici già esistenti prevede che le distanze “non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti”.
Difatti, il discrimen in tema di distanze (con l’introduzione del limite inderogabile di 10 m.), nella ratio dell’art. 9, non è dato dalla differenza tra zona A ed altre zone, quanto tra costruzione del tutto nuova (ordinariamente non ipotizzabile in zona A) e ricostruzione di un immobile preesistente.
Se così non fosse, risalterebbe l’illogicità della disposizione, non potendosi evidenziare alcuna differenza, sotto il profilo che qui interessa, tra zona A e zona B totalmente edificata (ex art. 2 D.M. n. 1444/1968).
D’altra parte, a voler applicare il limite inderogabile di distanza ad un immobile prodotto da ricostruzione di un altro preesistente (come nel caso di specie), si otterrebbe che da un lato, l’immobile de quo non potrebbe essere demolito e ricostruito, se non “arretrando” rispetto all’allineamento preesistente (con conseguente possibile perdita di volume e realizzandosi, quindi, un improprio “effetto espropriativo” del D.M. n. 1444/1968); dall’altro lato, esso non potrebbe in ogni caso beneficiare della deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968, allorquando la demolizione e ricostruzione (ancorché per un solo fabbricato) non fosse prevista nell’ambito di uno strumento urbanistico attuativo con dettaglio plano volumetrico.
Anzi, la stessa circostanza che la deroga di cui all’art. 9, u.c., sia prevista per il tramite di strumenti urbanistici attuativi conferma quanto innanzi affermato, e cioè che le norme sulle distanze di cui al D.M. n. 1444 si riferiscono alla nuova pianificazione del territorio e non già ad interventi specifici sull’esistente.
A ciò aggiungasi che il singolo arretramento imposto (per effetto di una non coerente applicazione dell’art. 9), produrrebbe esso stesso non solo un disallineamento con altri fabbricati preesistenti (con un evidente vulnus estetico), ma anche la realizzazione di spazi chiusi, rientranze ed intercapedini essi stessi nocivi – così come condivisibilmente sostenuto dall’appellante – per le condizioni di salubrità, igiene, sicurezza e decoro, che invece l’art. 9 intende perseguire.
Appare, dunque, evidente come la previsione del limite inderogabile di distanza riguarda immobili o parti di essi costruiti (anche in sopra elevazione) “per la prima volta” (con riferimento al volume e alla sagoma preesistente), ma non può riguardare immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione(in tal senso, Cons. giust. amm. Sicilia, 3 marzo 2017 n. 74).
3.2.. Alla luce delle considerazioni esposte, occorre osservare che l’art. 32 bis delle NTA del Comune di Sannicandro di Bari, laddove consente la realizzazione di nuovi edifici a filo strada nel caso di prevalente allineamento, appare legittimo, poiché la norma – nel tenere ferma la disposizione sul distacco tra fabbricati di cui al DM n. 1444/1968 – rende possibile il mantenimento di preesistenti distanze inferiori solo per immobili preesistenti e sempre che, nella specifica zona considerata, l’allineamento sia “prevalente”.
4. Le precisazioni in tema di interpretazione dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 innanzi riportate non risultano contraddette dal fatto che la sentenza impugnata ha definito “nuova costruzione”, l’immobile oggetto del permesso di costruire impugnato.
In disparte ogni considerazione in ordine alla migliore riconducibilità dell’intervento alla ristrutturazione edilizia (secondo le norme per la stessa ratione temporis vigenti: v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443), tenuto conto che nel ricorso in appello non vi sono doglianze sul punto, appare evidente come il concetto di “nuova costruzione” utilizzato dalla sentenza impugnata non esplica effetti ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968.
Ed infatti, la sentenza ricava la definizione di “nuova costruzione”, pur affermando espressamente la preesistenza di un immobile completamente demolito, dal fatto che si tratta di una costruzione “completamente diversa per tipologia e destinazione d’uso”.
Tuttavia, il concetto di “nuova costruzione”, utilizzato ai sensi del DPR n. 380/2001 per verificare la compatibilità dell’intervento con le disposizioni urbanistiche sopravvenute (e che non sarebbero invece applicabili in caso di edifici preesistenti oggetto di interventi diversamente qualificabili), ovvero per renderlo assoggettabile a permesso di costruire, non esplica effetti ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 DM n. 1444/1968.
E ciò in quanto per l’applicazione del limite inderogabile della distanza ivi previsto ciò che rileva, come si è detto, non è la formale definizione dell’intervento, ma il dato concreto della preesistenza di un immobile a distanza inferiore da quella prevista da detta norma.
4.1. Fermo quanto innanzi già esposto, il caso di specie appare coerente anche con gli articoli 873 ed 879 cod. civ. Ed infatti:
– quanto alla distanza tra fabbricati, l’art. 873 dispone che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri”, salvo diverse disposizioni dei regolamenti locali (e, nel caso di specie, la distanza è appunto di m. 3);
– inoltre, la accertata utilizzazione pubblica della strada rende applicabile quanto previsto dall’art. 879, comma secondo, cod. civ., in base al quale “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano” e, dunque, quanto previsto dal più volte menzionato art. 32-bis (Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2011 n. 28938; Id, 24 giugno 2009 n. 14784, che estende l’applicazione del principio innanzi esposto alla distanza prescritta per le vedute dall’art. 907 c.c.; Id, 5 marzo 2008 n. 6006; secondo la quale, ai fini dell’applicazione della deroga occorre tener conto più che della proprietà pubblica del bene, dell’uso concreto di esso da parte della collettività); Id, 16 aprile 2007 n. 9077); .
5. Le ragioni che sorreggono l’accoglimento dell’appello fondano anche il rigetto dei motivi non esaminati dalla sentenza impugnata e riproposti con memoria di costituzione, rendendo in tal modo superfluo esaminare l’ammissibilità dei medesimi, sia in relazione al rispetto del termine per la loro riproposizione, sia in quanto riproposti mediante mero rinvio al ricorso di I grado.
Ed infatti:
– quanto al primo motivo, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 79 del Regolamento edilizio di Sannicandro di Bari, occorre osservare che lo stesso si fonda sulla definizione dello spazio che separa i due fabbricati come “spazio interno”, laddove la verificazione disposta ha accertato, in modo convincente e non ulteriormente contestato, l’esistenza di una strada adibita a viabilità pubblica, seppure pedonale e non veicolare;
– quanto al secondo motivo, con il quale si argomenta in ordine alla illegittimità dell’art. 32-bis delle NTA, in particolare rilevando che la norma, se pur applicabile, prevederebbe la costruzione a distanza di m. 5, occorre osservare che la norma dell’art. 32-bis rilevante per il caso di specie è quella che disciplina la costruzione in allineamento a filo di strada, in disparte gli effetti anche su questa norma invocata della diversa ipotesi di ricostruzione e non di prima costruzione;
– quanto al terzo motivo, con il quale si assume la sussistenza del vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, è sufficiente riportarsi, onde rilevarne l’infondatezza, a quanto in precedenza affermato ai fini dell’accoglimento dell’appello.
6. Per tutte le ragioni innanzi esposte, l’appello deve essere accolto, mentre devono essere rigettati i motivi del ricorso instaurativo di I grado non esaminati dalla sentenza impugnata e riproposti nella presente sede.
Di conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
Le spese – ivi compreso quanto corrisposto per la verificazione tecnica disposta in I grado – seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da Valerio Vincenzo Jim Peter (n. 9184/2008 r.g.):
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado;
b) condanna gli appellati, in solido, al pagamento, in favore dell’appellante e del costituito Comune di Sannicandro di Bari, delle spese ed onorari di giudizio, che liquida, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 5.000 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge ed oltre al pagamento di quanto da essi corrisposto per spese di verificazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Oberdan Forlenza | Vito Poli | |
IL SEGRETARIO