Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 5020 del 30 ottobre 2017, si è pronunciato sull’istanza di accesso proposta nei confronti della P.A., la quale ha opposto il proprio diniego per il fatto che la documentazione richiesta non è più disponibile.
Il giudice di prime cure, da un lato, aveva riconosciuto in capo alla PA l’obbligo di avere la materiale disponibilità della documentazione, ma dall’altro aveva statuito che la mancanza della stessa spezzasse qualsiasi nesso materiale tra l’amministrazione ed il soggetto istante, “nesso la cui esistenza e permanenza costituirebbe indefettibile condizione per poter dichiarare l’ordine di esibizione”.
Di diverso avviso i giudici di Palazzo Spada, i quali hanno richiamato un orientamento secondo cui “la circostanza della materiale indisponibilità dell’atto è preclusiva dell’accoglimento della domanda di accesso unicamente nell’ipotesi nella quale la competenza, e la relativa disponibilità dei documenti oggetto dell’istanza di accesso, sia stata trasferita ad altro ente successivamente alla formazione degli atti, mentre la mancanza di un trasferimento di competenze ed il difetto di una cessione dei documenti ad altra autorità impongono di ritenere tenuta all’ostensione l’amministrazione che ha formato gli atti, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza alla sopravvenuta indisponibilità degli stessi (così, Cons. Stato, V, n. 2186/2002 e n. 4126/2005)”.
Pertanto, la circostanza della acclarata materiale indisponibilità della documentazione, dunque, non esclude la legittimazione passiva dell’Ente (nel caso di specie la Regione) rispetto alla domanda di accesso, in quanto si tratta dell’ente presso il quale si è “formato” l’atto.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 30/10/2017
N. 05020/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9965 del 2016, proposto da:
Cesare Bifano, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Cappella, Stefano Oliva, con domicilio eletto presso lo studio Federico Cappella in Roma, via A. Bertoloni, 35;
contro
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Elena Prezioso, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I-QUATER, n. 10232/2016, resa tra le parti, concernente silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di accesso agli atti relativi alla richiesta di finanziamento dei lavori di realizzazione di un nuovo ospedale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Federico Cappella e Elena Prezioso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante ha svolto (sulla base di incarichi conferiti con delibere della USL RM 7 n. 3363/1990 e della subentrata AUSL Roma C n. 177/1995) attività progettuale per la richiesta di finanziamento dei lavori di realizzazione del nuovo ospedale S. Eugenio.
2. Sostiene di essere stato compensato per il progetto preliminare, ma non per il definitivo (al riguardo pende contenzioso in sede civile).
3. Con istanza in data 22 dicembre 2015 ha chiesto alla Regione Lazio l’accesso agli atti e documenti inerenti al finanziamento richiesto dalla USL RM 7 nel gennaio 1994, all’appostamento in bilancio di tali somme, alla corrispondenza tra USL e Regione relativa al pagamento dei professionisti.
4. Stante l’inerzia della Regione, ha adito il TAR del Lazio per ottenere l’accesso.
5. In corso di giudizio, la Regione ha sostenuto che la documentazione richiesta con l’originaria stanza di accesso relativa al finanziamento dell’attività progettuale espletata “dovrebbero trovarsi presso l’Azienda Sanitaria” già Roma C, ora Roma 2, e di aver inoltrato ad essa la domanda di accesso. Inoltre, in esito ad incontri presso la AUSL Roma 2 (ai quali la Regione non ha partecipato), il ricorrente ha ottenuto l’accesso, in data 11 luglio 2016, ad altra documentazione (concernente il contenzioso suddetto, che era stata oggetto di un ricorso per motivi aggiunti ed ivi indicata ai nn. 1-5).
6. Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (I-quater, n. 10232/2016):
– ha ritenuto sussistente l’interesse concreto, diretto e personale del ricorrente a conoscere atti e documenti comunque connessi con l’espletamento dell’incarico professionale, ed irrilevante l’eccepita (eventuale) prescrizione delle relative pretese creditorie, stante l’autonomia del diritto di accesso;
– ha ritenuto non apprezzabile la tesi della Regione secondo la quale la documentazione sarebbe rimasta nella disponibilità della struttura sanitaria locale, in quanto non giustificata dall’art. 24, comma 3, della l.r. Lazio 2/2003 (secondo cui “Alla gestione dei rapporti attivi e passivi di cui al comma 2 [si tratta dei “rapporti attivi e passivi che residuano alla liquidazione nonché i motivi di tali residualità” risultanti dalla relazione allegata al bilancio di liquidazione trasmesso alla Regione dai direttori delle ASL in veste di responsabili delle gestioni liquidatorie] provvede direttamente la Regione attraverso la struttura competente dell’assessorato al bilancio, alla programmazione e alle risorse comunitarie, la quale può avvalersi anche di personale già operante presso le gestioni liquidatorie messo a disposizione dalle A.S.L.”), e comunque in quanto si tratta di atti propri della Regione e non di atti ricevuti e/o conservati ma in ipotesi provenienti da altra amministrazione;
– ha tuttavia poi concluso che “In definitiva, ferma la singolarità della condotta amministrativa per cui la Regione Lazio non dispone materialmente della documentazione relativa ai rapporti attivi e passivi delle gestioni liquidatorie, non vi è tuttavia spazio logico prima ancora che giuridico per ordinare alla stessa la produzione di documenti non più nella sua disponibilità, per come dalla stessa affermato più volte e con assunzione di responsabilità ribadito a verbale dal difensore della medesima”, ed ha conseguentemente rigettato il ricorso (non mancando di aggiungere “non essendo stata peraltro evocata in giudizio la ASL Roma 2, pur avendo la Regione scritto e ripetuto che presso di questa “dovrebbe” trovarsi la richiesta documentazione e pur avendo parte ricorrente tenuto due incontri con la detta ASL presso la sede di questa”).
7. Nell’appello, oltre a ribadire l’interesse a conoscere se la Regione ha effettivamente stanziato le somme necessarie al pagamento dell’attività professionale svolta, si prospettano due ordini di censure:
(a) – la pretesa azionata riguarda anche e soprattutto atti della Regione, non della cessata USL RM 7, che sono pacificamente nella materiale disponibilità della stessa, ed il TAR ha omesso di pronunciarsi al riguardo, così violando l’art. 112 c.p.c.;
(b) – la sentenza è errata anche nella parte in cui ha respinto la domanda di accesso riguardo agli atti della ex USL RM 7. Infatti, vi è contraddizione tra l’affermazione della legittimazione passiva della Regione Lazio, quale depositario della documentazione, e quella sulla inutilità di ordinare l’esibizione di documenti che non sono più nella sua disponibilità. Sotto altro profilo, poiché gli artt. 6 della legge 724/1994, 2 della legge 549/1995 e 24 della l.r. Lazio 2/2003 hanno previsto la successione della Regione in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte USL, l’appellante non aveva alcun onere di evocare in giudizio la odierna ASL Roma 2. Infine, è stata la stessa Regione Lazio, con nota del 21 marzo 2016, a riconoscere il proprio subentro nei rapporti della disciolta USL RM 7.
7. Si è costituita in giudizio e controdeduce la Regione Lazio, sottolineando in particolare che l’indisponibilità della integrale documentazione da parte della Regione è coerente con quanto previsto dall’art. 24 della l.r. 2/2003.
8. L’appellante ha presentato una memoria di replica, negando che l’onere ricadente sui responsabili delle gestioni liquidatorie ex art. 24 della l.r. 2/2003 escluda l’accesso richiesto.
9. L’appello è fondato, sotto entrambi i profili suindicati, e deve pertanto essere accolto.
In buona sostanza, il TAR, pur riconoscendo che la Regione Lazio avrebbe dovuto detenere la documentazione, ha ritenuto che la materiale indisponibilità di essa comporti la cesura della relazione (materiale) tra l’amministrazione ed il soggetto istante, nesso la cui esistenza e permanenza costituirebbe indefettibile condizione per poter dichiarare l’ordine di esibizione.
Di contro, deve ribadirsi che la circostanza della materiale indisponibilità dell’atto è preclusiva dell’accoglimento della domanda di accesso unicamente nell’ipotesi nella quale la competenza, e la relativa disponibilità dei documenti oggetto dell’istanza di accesso, sia stata trasferita ad altro ente successivamente alla formazione degli atti, mentre la mancanza di un trasferimento di competenze ed il difetto di una cessione dei documenti ad altra autorità impongono di ritenere tenuta all’ostensione l’amministrazione che ha formato gli atti, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza alla sopravvenuta indisponibilità degli stessi (così, Cons. Stato, V, n. 2186/2002 e n. 4126/2005).
Nel caso in esame, sembra pacifico che (ad eccezione degli atti della USL RM 7 relativi al pagamento dei progettisti, che sono comunque atti ricevuti dalla Regione, tenuta a conservarli in archivio) la documentazione oggetto della originaria domanda di accesso, ed in ordine alla quale l’appellante mantiene interesse, concerne atti formati e trasmessi dalla Regione Lazio. La (supposta) presenza degli atti presso la ASL viene spiegata dall’Avvocatura regionale con una “scelta al tempo operata dall’Amministrazione Regionale”, in base alla quale “la documentazione a corredo di tali rapporti è rimasta presso le AA.SS.LL. di riferimento”.
Tuttavia, per quanto esposto, nella presente controversia non si discute tanto di documentazione “rimasta” alla AUSL, cioè non trasferita da questa alla Regione, bensì di documentazione formata dalla Regione, e da questa inviata.
E comunque non risulta si verifichi l’ipotesi di un formale trasferimento degli archivi tra Amministrazioni, previsto espressamente o implicitamente (quale conseguenza del trasferimento di competenze) dalla normativa.
Quindi, quale che sia stata la concreta applicazione dell’art. 2 della l.r. 2/2003 (vale a dire, comunque sia stato delimitato l’ambito della documentazione trasmessa dai responsabili della gestione liquidatoria, a corredo del bilancio di liquidazione e della relazione sui “rapporti attivi e passivi che residuano alla liquidazione nonché i motivi di tali residualità”, prevista dalla norma), ciò riguarderebbe gli atti regionali ricevuti dalla AUSL, dei quali la Regione, in base ad elementari regole burocratiche, avrebbe comunque dovuto conservare una copia nei propri archivi.
La circostanza della acclarata materiale indisponibilità della documentazione, dunque, non esclude la legittimazione passiva della Regione rispetto alla domanda di accesso, e non può valere a trasferire sull’istante l’onere di presentare ulteriore domanda alla AUSL 2, presso la quale gli atti richiesti “dovrebbero trovarsi”.
Deve conseguentemente ordinarsi alla regione Lazio (analogamente a quanto risulta stabilito nelle cause decise dai succitati precedenti di questo Consiglio) di attivarsi per recuperare dalla AUSL 2, o in altro modo, i propri atti oggetto della domanda di accesso, non essendo in contestazione la sussistenza dell’interesse dell’appellante né eccepite altre condizioni preclusive dell’accesso.
10. Deve in conclusione ordinarsi alla Regione Lazio di consentire l’accesso richiesto entro il termine di sessanta giorni, all’uopo attivandosi presso la AUSL RM 2 o in qualunque altro modo ritenuto opportuno.
11. Le spese del doppio grado di giudizio, considerate le peculiarità della controversia, possono essere compensate, ferma la restituzione all’appellante del contributo versato per la proposizione dei gravami.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ordina alla Regione Lazio di provvedere nei sensi indicati in parte motiva al fine di consentire all’appellante, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, l’accesso agli atti richiesto.
Condanna la Regione Lazio al pagamento in favore dell’appellante della somma di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge, per spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Francesco Bellomo, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Pierfrancesco Ungari | Franco Frattini | |
IL SEGRETARIO