Ridotti gli incentivi alle fonti rinnovabili: rimessa la questione alla CGUE

Con la sentenza non definitiva 1306/2018 del 2 marzo, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha chiesto ai giudici europei se sono state legittime le riduzioni delle incentivazioni al fotovoltaico contenute nei decreti attuativi del Governo, che con il  d.m. 5 luglio 2012 (recante il “Quinto conto energia”), riduceva notevolmente le risorse finanziarie destinate all’incentivazione tariffaria, previste con il “Quarto conto energia”.

 

In particolare Palazzo Spada ha rimesso alla Corte di giustizia UE “la questione se l’art. 3, comma 3, lett. a) della Direttiva 2009/28/CE debba essere interpretato – anche alla luce del generale principio di tutela del legittimo affidamento e del complessivo assetto della regolazione apprestata dalla Direttiva in punto di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili – nel senso di escludere la compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che consenta al Governo italiano di disporre, con successivi decreti attuativi, la riduzione o, financo, l’azzeramento delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite”.

 

Si tratta di comprendere quale tipo di elasticità possa avere lo Stato nel variare il regime di incentivazione delle rinnovabili, e in particolare, se le modifiche adottate che hanno operato la revisione del sistema d’incentivazione di cui al Quarto Conto Energia, possano ritenersi giustificate in ragione del principio di flessibilità.

 

Per i giudici amministrativi diventa decisivo comprendere la portata del principio affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol, in base al quale il principio della certezza del diritto non postula l’assenza di modifiche legislative, ma richiede piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche.

Si riporta di seguito uno stralcio della sentenza.

FATTO e DIRITTO

IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

1. La società Agrenergy s.r.l ha impugnato avanti il T.a.r. per il Lazio – Sede di Roma il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 5 luglio 2012, avente ad oggetto le modalità di incentivazione per la produzione di energia fotovoltaica, contestualmente instando per la declaratoria del proprio diritto all’applicazione delle tariffe incentivanti stabilite dal precedente d.m. del 5 maggio 2011.

2. La ricorrente ha premesso:

– di operare nel settore della costruzione, gestione e manutenzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di avere realizzato nel corso del 2011, previo rilascio delle necessarie autorizzazioni, un impianto fotovoltaico a terra su area agricola ubicato in Comune di Fusignano, poi entrato in esercizio in data 29 febbraio 2012;

– che l’impianto sarebbe stato “nelle condizioni di essere incentivato” in base al d.m. 5 maggio 2011, istitutivo del “Quarto conto energia”, che prevedeva vari semestri di incentivazione – ciascuno con differenti tariffe, limiti di costo e di potenza – riferiti al periodo dal 1 giugno 2011 al 31 dicembre 2016: in particolare, per i due semestri del 2012 il d.m. stabiliva che le domande potevano essere presentate rispettivamente nel novembre 2011 e nel febbraio 2012;

– che l’impianto, nonostante apposita domanda, non era stato ammesso alla fruizione della tariffa incentivante per il primo semestre 2012;

– che, inopinatamente, il Gestore non provvedeva all’apertura del registro per il secondo semestre 2012 a motivo del dichiarato “azzeramento della disponibilità” economica;

– che, in seguito, intervenivano dapprima il d.l. n. 1 del 2012 (convertito con modificazioni con l. n. 27 del 2012), il cui art. 65 disponeva la cessazione dell’incentivazione per gli impianti fotovoltaici collocati a terra su aree agricole, quindi il successivo d.m. 5 luglio 2012 (recante il “Quinto conto energia”), che riduceva notevolmente le risorse finanziarie destinate all’incentivazione tariffaria;

– che l’impianto veniva ammesso alla tariffa incentivante prevista dal d.m. 5 luglio 2012, assai più bassa di quella cui avrebbe avuto diritto ai sensi del d.m. 5 maggio 2011.

3. Sulla scorta di queste premesse di fatto la ricorrente ha articolato le seguenti censure in diritto:

I) l’impianto aveva titolo per accedere alle tariffe incentivanti previste dal Quarto conto energia, di cui non ha potuto beneficiare per la mancata apertura, da parte del Gestore, del registro relativo al secondo semestre 2012; oltretutto, lo stesso d.m. 5 luglio 2012 precisava, all’art. 1, comma 4, che “il d.m. 5 maggio 2011 continua ad applicarsi … ai grandi impianti iscritti in posizione utile nei registri”;

II) il d.m. 5 luglio 2012 sarebbe nullo per “difetto assoluto di attribuzione con riferimento al disposto di cui all’art. 25, comma 10, d.lgs. n. 28 del 2011”;

III) sarebbe stato violato e falsamente applicato l’art. 65 del d.l. n. 1 del 2012;

IV) sarebbe stata violata e falsamente applicata la direttiva n. 2009/28/CE;

V) vi sarebbe stato eccesso di potere “per clamorosa contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa”;

VI) sarebbe stato leso il legittimo affidamento e omessa la comparazione degli interessi.

4. Costituitesi le Amministrazioni intimate, il Tribunale ha respinto tutte le censure articolate dalla ricorrente. In particolare, i Giudici di prime cure hanno ritenuto:

I) che la “mancata apertura del registro relativo al secondo semestre 2012 risulta legittima alla luce di quanto stabilito dall’art. 6 del d.m. 5 maggio 2011, secondo cui <<qualora l’insieme dei costi di incentivazione per i grandi impianti entrati in esercizio entro il 31 agosto 2011 e degli iscritti nel registro di cui all’art. 8 per l’anno 2011 determini il superamento del limite di costo previsto per lo stesso periodo, l’eccedenza comporta una riduzione di pari importo del limite di costo relativo al secondo semestre 2012>>;come comunicato dal Gestore in data 20 gennaio 2012, infatti, il costo degli incentivi per gli impianti entrati in esercizio entro il 31 agosto 2011 e per quelli ammessi al precedente registro aveva azzerato la disponibilità relativa al secondo semestre 2012 il che ha legittimato, proprio sulla base della norma citata, la mancata apertura del successivo registro”; per altro verso, la ricorrente non potrebbe utilmente richiamare la disciplina transitoria di cui all’art. 1, comma 4, del d.m. 5 luglio 2012, poiché il proprio impianto non sarebbe stato iscritto in posizione utile nei registri previsti dal d.m. 5 maggio 2011;

II) che “il d.m. 5 luglio 2012, in virtù della possibilità di revisione del sistema incentivante prevista dall’art. 2 del d.m. 5 maggio 2011, trova la sua fonte normativa ultima nell’art. 25 del d.lgs. n. 28 del 2011”;

III) che “l’art. 65 d.l. n. 1/2012 non ammette indiscriminatamente alla disciplina del d.m. del 05/05/2011 gli impianti realizzati entro il 24 maggio 2012 (come dedotto dalla ricorrente) ma per tale categoria di impianti si limita a prevedere l’inapplicabilità degli specifici limiti stabiliti dai commi 4 e 5 dell’art. 10 d. lgs. n. 28/2011 fermo restando, per la restante disciplina del sistema d’incentivazione, e, quindi, anche per quella concernente il regime transitorio, quanto previsto in materia dai decreti ministeriali succedutisi nel tempo”;

IV) che “dall’esame della normativa comunitaria e della legislazione nazionale applicabile alla fattispecie emerge che:

a) il regime di sostegno agli impianti che producono energia rinnovabile non costituisce un obbligo ma è solo una delle possibili modalità con cui gli Stati possono raggiungere gli obiettivi di produzione di energia rinnovabile previsti dalla Comunità Europea (art. 3 della direttiva 2009/28/CE);

b) la stessa normativa comunitaria attribuisce estrema rilevanza all’efficienza energetica e alla riduzione dei costi per il raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia rinnovabile ivi previsti prescrivendo, a tal fine, il controllo degli effetti e dei costi dei regimi di sostegno (17, 25 e 36 Considerato e artt. 3 e 4 direttiva 2009/28/CE);

c) la normativa nazionale di attuazione (d. lgs. n. 28/2011) conferma, quale principio generale, la necessità di prevedere criteri e strumenti che promuovano l’efficacia, l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo nel contempo l’armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori; tra gli ulteriori principi generali cui deve essere ispirato il riordino del sistema incentivante figurano, inoltre, la gradualità di intervento a salvaguardia degli investimenti effettuati e la proporzionalità agli obiettivi, nonché la flessibilità della struttura dei regimi di sostegno, al fine di tener conto dei meccanismi del mercato e dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica (art. 23 d. lgs. n. 28/2011).

Ciò posto, il d.m. del 05/07/2012 ha operato la revisione del sistema d’incentivazione in coerente e razionale applicazione dei principi di gradualità, flessibilità, efficacia ed efficienza previsti dalle norme primarie ora richiamate”;

V) che “contrariamente a quanto prospettato nella censura, nella fattispecie non sussiste alcuna disparità di trattamento tra piccoli e grandi impianti ravvisabile tra la disciplina del “Quarto” e quella del “Quinto Conto Energia” posto che, stando a quanto dedotto dalla ricorrente (titolare di un grande impianto), la stessa, già nel vigore del d.m. del 05/05/2011 (da essa invocato come disciplina preferenziale), non è stata ammessa ai benefici. In particolare, va evidenziato che la misura dell’incentivo costituisce uno strumento indispensabile per raggiungere gli obiettivi d’interesse generale in precedenza citati tra cui l’implementazione dell’efficienza degli impianti e la riduzione del carico fiscale a carico dei consumatori finali e, a fronte di questo razionale nesso di strumentalità, la ricorrente non ha fornito specifici elementi da cui desumere, in concreto, la non remuneratività dell’incentivo usufruito in relazione al costo dell’impianto, tenuto, comunque, conto di quanto in precedenza rilevato circa l’inconfigurabilità di un affidamento giuridicamente tutelabile. Per altro, proprio le ricordate esigenze di interesse generale inducono il Tribunale a ritenere razionale il riferimento, presente nei decreti ministeriali del 2011 e del 2012, ad un limite massimo di costo piuttosto che ad un arco temporale di tempo specifico quale presupposto per l’operatività del sistema d’incentivazione”;

VI) che “nella fattispecie non è configurabile l’obbligo d’indennizzo, invocato dalla ricorrente ex art. 21 quinquies l. n. 241/90, in quanto il d.m. del 05/07/12 non può essere qualificato come “revoca”, se non altro per l’assenza di discrezionalità quanto ai presupposti della sua adozione che sono stati tassativamente individuati dal d.m. del 05/05/2011 nel superamento dei limiti di costo ivi previsti. In ogni caso, l’indennizzo non sarebbe mai dovuto ai soggetti, come la ricorrente, che non hanno conseguito i benefici ex d.m. del 05/05/2011 in quanto, proprio per tale motivo, gli stessi non rientrano nella categoria dei soggetti “direttamente interessati” cui l’art. 21 quinquies l. n. 241/90 riconosce il beneficio dell’indennizzo. In quest’ottica, va evidenziato che l’art. 8 comma 6 d. m. 05/05/11 ha previsto che, qualora un impianto, iscritto al registro nell’anno 2011, non si collochi in posizione utile per la fruizione degli incentivi (come nel caso della ricorrente), lo stesso non diviene titolare di alcun diritto o interesse giuridicamente tutelabile ma è tenuto ad inoltrare una nuova domanda al Gestore per accedere ai benefici relativi all’anno 2012”.

IL RICORSO IN APPELLO

5. La ricorrente ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure articolate in prime cure sub I), III) e IV) e richiedendo, altresì, la sospensione del giudizio e il deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione europea di una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto europeo inerente alla compatibilità della normativa nazionale in subiecta materia con “i principi espressi dalla direttiva 2009/28/CE”.

6. Si sono costituite le Amministrazioni intimate; il Ministero ha riproposto, con apposita memoria, la censura assorbita in prime cure di carenza di interesse alla decisione in capo alla ricorrente.

7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 25 gennaio 2018, in vista della quale la ricorrente ed il Gestore hanno prodotto difese scritte.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il Collegio prescinde dalla questione di rito ed attinge direttamente il merito della causa, osservando che il ricorso non merita accoglimento nei limiti e per le ragioni che seguono.

9. La presente controversia, per vero, afferisce a problematiche su cui questo Consiglio si è già più volte pronunciato: in particolare, significativi sono i profili di affinità con le cause definite con le sentenze di questa Sezione 19 marzo 2015, n. 1433 e della Sesta Sezione 5 maggio 2016, n. 1768 e 28 giugno 2016, n. 2847, cui si fa integrale riferimento anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a..

10. Ciò premesso, il Collegio osserva quanto segue, indicando come a), b) e c) le censure indicate in prime cure rispettivamente come I), III) e IV).

a) La disciplina transitoria di cui all’art. 1, comma 4, del d.m. 5 luglio 2012 si applica agli impianti “iscritti in posizione utile nei registri” relativi al Quarto conto energia, non a quelli che, ove tali registri fossero stati aperti, sarebbero stati nelle condizioni di esservi inseriti: pertanto, l’impianto della ricorrente non ha alcun titolo a fruire della tariffa prevista dal Quarto conto energia, essendosi classificato, nell’ambito del relativo registro afferente al primo semestre 2012, in posizione non utile.

a1) Inoltre, l’art. 25, comma 10, del d.lgs. n. 28 del 2011, dedicato proprio alla “promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”, indica, fra i principi cui i decreti ministeriali attuativi debbono attenersi, “la determinazione di un limite annuale di potenza elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le tariffe incentivanti”; a sua volta, il d.m. 5 maggio 2011 fissa “un obiettivo indicativo di potenza di circa 23.000 MW, corrispondente ad un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro” e prevede che, “al raggiungimento del minore dei valori di costo indicativo cumulato annuo, con decreto … possono essere riviste le modalità di incentivazione di cui al presente decreto” e che “qualora l’insieme dei costi di incentivazione per i grandi impianti entrati in esercizio entro il 31 agosto 2011 e degli iscritti nel registro di cui all’art. 8 per l’anno 2011 determini il superamento del limite di costo previsto per lo stesso periodo, l’eccedenza comporta una riduzione di pari importo del limite di costo relativo al secondo semestre 2012”.

a2) Ne consegue che il sopravvenuto raggiungimento del tetto di spesa ex ante prefissato ha reso legittima (recte doverosa) la mancata apertura del registro per il secondo semestre 2012, essendone già azzerata la prevista dotazione finanziaria: consta, del resto, che la circostanza sia stata debitamente pubblicizzata dal Gestore (cfr. comunicazioni del 20 e del 26 gennaio 2012, prodotte in primo grado), sì che la ricorrente non può neppure lamentare la lesione dell’affidamento circa la prospettica attingibilità della tariffa (comunque non predicabile alla luce del chiaro disposto normativo e del mancato inserimento nei registri del Quarto conto).

a3) Peraltro, la Corte costituzionale, con riferimento a successiva normativa relativa al settore (d.l. n. 91 del 2014), ha affermato che “il legislatore del 2014 è intervenuto in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (in particolare sulle piccole e medie imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale). Ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]. È, dunque, quello in esame un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”. In quest’ottica, benché “l’introduzione del regime di sostegno delle energie rinnovabili si presenti assistito da caratteristiche di stabilità a lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli investitori …, la garanzia di costanza dell’incentivo per tutto il periodo di diritto non implica però, come necessaria conseguenza, che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata. Ciò ancor più ove si consideri che le convenzioni stipulate con il Gestore non sono riducibili a contratti finalizzati ad esclusivo profitto dell’operatore − che dovrebbe vedere ferme le condizioni iniziali, per vent’anni, anche ove le condizioni tecnologiche mutino profondamente − ma costituiscono strumenti di regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico”. Anzi, svariati spunti normativi contenuti nelle leggi nazionali inducono ad escludere che “la rimodulazione degli incentivi presenti gli asseriti caratteri di “imprevedibilità”, risultando la stessa anzi, in qualche modo, preannunciata e finalizzata proprio ad assicurare la “stabilità” presa in considerazione dalle leggi istitutive degli incentivi al fotovoltaico, come caratteristica dell’intero sistema e non del singolo incentivo; oltre a costituire (nel quadro di un mercato “regolato” di settore, come quello di cui si discute) un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa”. In definitiva, secondo la Corte “viene in rilievo il principio per cui non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)”. (così Corte cost., 24 gennaio 2017, n. 16; v. anche l’ordinanza 12 giugno 2017, n. 138).

b) L’art. 65 del d.l. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni con l. n. 27 del 2012, stabilisce al comma 1 che “agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”. Al secondo comma, tuttavia, la disposizione reca una deroga per “gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra da installare in aree classificate agricole alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Detti impianti debbono comunque rispettare le condizioni di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. E’ fatto inoltre salvo quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, a condizione che l’impianto entri in esercizio entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

b1) Orbene, la disposizione del secondo comma non incide sulle condizioni previste da ciascun conto energia (nella specie, il Quarto) in ordine all’ammissione alla tariffa, ma si limita a stabilire una deroga al principio generale, stabilito al comma precedente, di esclusione dal diritto alla percezione delle tariffe incentivanti per “gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole”; il comma in esame, in altre parole, non è volto ad attribuire indiscriminatamente il diritto alla percezione della tariffa incentivante, bensì, al contrario, a limitare l’applicazione del comma precedente, recante una generale esclusione di quel diritto per gli impianti collocati a terra su aree agricole.

c) Non sussiste il lamentato contrasto con la disciplina europea, che, per vero, non delinea un dovere degli Stati di predisporre un immutabile regime di sostegno alla produzione di energia mediante fonti rinnovabili.

c1) Anzitutto, la direttiva 2009/28/CE, volta a favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili, individua (conformemente alla propria natura di normazione dei fini, non dei mezzi) obiettivi in punto di quota di produzione energetica da fonti rinnovabili sul totale nazionale e, in tale ottica, qualifica la previsione di regimi di sostegno alla relativa produzione come uno dei possibili strumenti attivabili dagli Stati: siffatti regimi, pertanto, hanno strutturalmente natura opzionale e facoltativa (cfr. art. 3, comma 3, lett.a], nonché il 36^ considerando).

c2) Oltretutto, al 25^ considerando la direttiva precisa, altresì, che “per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali [scilicet, ove istituiti] è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali”, in tal modo evidenziando la strutturale flessibilità dei regimi di sostegno, che debbono adeguarsi alle circostanze di fatto (in primis i miglioramenti tecnologici che rendono sempre meno anti-economica la produzione di energia da fonti rinnovabili) e di bilancio (valore di primario interesse in ambito europeo – cfr., del resto, il 17^ considerando).

c3) La normativa nazionale, per vero, rispetta questa impostazione, prevedendo, inter alia, regimi di sostegno modulabili nel tempo in base alle esigenze volta per volta emergenti.

c4) Peraltro, il d.m. 5 luglio 2012 esplicita, in premessa, le ragioni della riduzione degli incentivi, dovuta al fatto che l’Italia è in anticipo sugli obiettivi, che gli impianti allo stato hanno un costo inferiore rispetto al passato, che i costi a carico delle finanze pubbliche sono sempre più gravosi, che pure altri Stati europei stanno riducendo gli incentivi, che è opportuno limitare il consumo del suolo, che è prioritario investire nell’efficienza energetica, nel calore e nei trasporti, giudicate “modalità in media economicamente più efficienti”.

c5) La Corte di giustizia dell’Unione europea si è già occupata, sia pure con riferimento ad una controversia relativa ad un settore merceologico diverso, di ipotesi affini alla presente, in cui la normativa comunitaria non prescriveva specifiche e dettagliate modalità di azione, ma si limitava ad indicare obiettivi.

c6) In particolare, con la sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol, la Corte, dopo aver premesso che “il principio della certezza del diritto non postula l’assenza di modifiche legislative, ma richiede piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche” (§ 49), ha osservato che “risulta dalla giurisprudenza costante della Corte che la possibilità di far valere il principio della tutela del legittimo affidamento è prevista per ogni operatore economico nel quale un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative. Tuttavia, qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, non può invocare il detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato. Inoltre, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (v., in tal senso, in particolare, sentenze 15 luglio 2004, cause riunite C‑37/02 e C‑38/02, Di Lenardo e Dilexport, Racc. pag. I‑6911, punto 70 e giurisprudenza ivi citata, nonché 7 settembre 2006, causa C‑310/04, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I‑7285, punto 81). A tale proposito, per quanto riguarda l’affidamento che un soggetto passivo può fare sull’applicazione di un vantaggio fiscale, la Corte ha già statuito che quando una direttiva in ambito fiscale lascia ampio potere agli Stati membri, una modifica legislativa adottata in conformità con la direttiva non può essere considerata imprevedibile (v. sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C‑487/01 e C‑7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. pag. I‑5337, punto 66)” (§§ 53 e 54).

c7) La pronuncia citata ben si attaglia alla vicenda in oggetto, connotata da una normativa comunitaria che, oltre a non prescrivere come vincolante l’adozione di regimi di sostegno, ne conforma comunque l’eventuale previsione da parte della disciplina nazionale in base a principi di flessibilità, proporzionalità, economicità ed adeguatezza.

IL DEFERIMENTO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

11. Purtuttavia, come noto la Corte di giustizia (cfr., da ultimo, Corte giustizia, 20 dicembre 2017, C-322/2016; in precedenza pure Corte giustizia 18 luglio 2013, C-136/2012 e 19 novembre 2009, C-314/2008) ha più volte statuito il principio secondo cui “l’articolo 267, paragrafo 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di cui trattasi abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’Unione”.

11.1. Di converso, pur avendo affermato nella richiamata sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08 principi applicabili anche nella specie, non consta che la Corte si sia specificamente occupata della disciplina recata dalla direttiva 2009/28/CE sotto i profili che qui vengono in considerazione, di talché, in assenza di un precedente specifico, non può farsi sicuro riferimento alla teorica del cd. “atto chiaro”, tanto più a fronte di un’espressa istanza di parte che sollecita la rimessione, della astratta rilevanza della questione pregiudiziale e della valenza generale del dovere di sollevare una questione pregiudiziale in capo ai Giudici di ultima istanza.

11.2. Il Collegio, pertanto, pur consapevole della manifesta infondatezza della pretesa della società ricorrente e della ingiustificata protrazione dei tempi del processo collegati alla pendenza della questione pregiudiziale, al solo fine di ottemperare al dovere di rinvio pregiudiziale da parte del Giudice nazionale di ultima istanza ed in considerazione del fatto che l’inosservanza di siffatto dovere determina una diretta responsabilità dello Stato membro di carattere sostanzialmente oggettivo (Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01, Kobler; successivamente, 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione europea c. Repubblica italiana), nonché la responsabilità civile del magistrato ai sensi dell’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 come introdotto dalla l. n. 18 del 2015, rimette alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:

Stabilisca la Corte se l’art. 3, comma 3, lett. a) della Direttiva 2009/28/CE debba essere interpretato – anche alla luce del generale principio di tutela del legittimo affidamento e del complessivo assetto della regolazione apprestata dalla Direttiva in punto di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili – nel senso di escludere la compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che consenta al Governo italiano di disporre, con successivi decreti attuativi, la riduzione o, financo, l’azzeramento delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite”.

LA DECISIONE NON DEFINITIVA E LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

12. In conclusione, il Collegio rigetta i motivi di appello sub a) e b) e subordina la decisione sul motivo c) alla pronuncia della Corte di giustizia, nelle more della quale dispone, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.

13. Le spese di lite saranno regolate con la sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, rigetta i motivi di appello come precisato in parte motiva sub § 12 e:

a) rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione sub § 11.2, per le ragioni ivi delineate;

b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa;

c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, la sospensione del presente giudizio;

d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Daniela Di Carlo, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli

IL SEGRETARIO

Redazione

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