Secondo il Tar Lombardia, Sez. IV, 6 aprile 2018, n. 936, la clausola sociale che obbliga all’assorbimento del personale del precedente affidatario, mediante assunzione a tempo indeterminato, è illegittima, poiché in contrasto con l’autonomia nelle scelte imprenditoriali degli operatori economici
Nel caso in questione, la lex specialis della procedura aperta di un AST lombarda per l’aggiudicazione di contratti per la somministrazione di lavoro a tempo determinato prevedendo una clausola sociale che, così come prescritta, non si limita a garantire il mantenimento in organico dei lavoratori già impiegati presso il gestore uscente, ma impone un obbligo specifico di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori attualmente in forze presso l’esecutore del servizio.
Secondo il Tar Lombardia, una clausola sociale di questo tipo non si limita ad assicurare i livelli occupazionali, ma si traduce in una vera e propria sostituzione indebita nella struttura organizzativa e nelle scelte imprenditoriali degli operatori economici, imponendo la tipologia di contratto di lavoro da stipulare.
La giurisprudenza comunitaria sulla clausola sociale
Viene richiamato l’approdo cui è pervenuta la Corte di giustizia dell’unione europea, che ha da sempre sostenuto che le clausole sociali vadano formulate in modo da contemperarne l’applicazione ai principi di “libertà di stabilimento”, di “libera prestazione dei servizi”, di “concorrenza” e di “libertà di impresa” (cfr., fra le tante, Corte di giustizia europea, grande sezione, 15 luglio 2015, causa C-271/2008; sez. IX, 18 settembre 2014, causa C-549/13).
La giurisprudenza costituzionale sulla clausola sociale
La Corte costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 l. reg. Puglia 25 febbraio 2010 n. 4, quanto al comma 1 del sostituito art. 25 l. reg. 3 agosto 2007 n. 25: “ limitatamente alle parole “a tempo indeterminato”. Premesso che l’art. 25 l. reg. n. 25 del 2007, nella sua formulazione originaria, disponeva che “Fatte salve le previsioni della contrattazione collettiva, ove più favorevoli, la Regione, gli enti, le aziende e le società strumentali della Regione devono prevedere nei bandi di gara, avvisi e, comunque, nelle condizioni di contratto per appalti di servizi l’utilizzo del personale già assunto dalla precedente impresa appaltatrice, nonché le condizioni economiche e contrattuali già in essere”, la disposizione censurata introduce uno strumento diverso dalla “clausola sociale”, in quanto non si limita a prevedere il mantenimento in servizio di personale già assunto, ma stabilisce in modo automatico e generalizzato l'”assunzione a tempo indeterminato” del personale già “utilizzato” dalla precedente impresa o società affidataria dell’appalto; in tal modo viola l’art. 97 cost., e le norme interposte dettate dall’art. 18 d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 19, comma 1 d.l. n. 78 del 2009, in materia di reclutamento del personale delle società a partecipazione pubblica, sotto il profilo della “imparzialità dell’azione amministrativa e uniformità della stessa sul territorio nazionale”, nonché sotto il profilo del buon andamento (sent. n. 267 del 2010)” (cfr. Corte Cost., 3 marzo 2011, n. 68).
La giurisprudenza amministrativa sulla clausola sociale
I giudici amministrativi lombardi si richiamano alla giurisprudenza amministrativa costante, e in particolare al (Cons. Stato, sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078 e Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272).
Secondo le sentenze citate: “Nelle gare pubbliche la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto; la suddetta clausola deve quindi essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali, ma la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria” (Cons. Stato, sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272).
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Di seguito l’estratto della sentenza Tar Lombardia, Sez. IV
Pubblicato il 06/04/2018
N. 00936/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01174/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1174 del 2017, proposto da
Randstad Italia S.p.a., Manpower S.r.l., Gi Group S.p.a., Adecco Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Massimiliano Brugnoletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, piazzetta U. Giordano, 4;
(…)
FATTO
Con il ricorso all’esame del collegio le società istanti hanno impugnato la lex specialis della procedura aperta aggregata per l’aggiudicazione di contratti per la somministrazione di lavoro a tempo determinato suddivisa in due lotti (personale medico e amministrativo) per la durata di 48 mesi, con base d’asta di € 121.714.488,53 IVA inclusa.
La gara è stata indetta dall’Azienda capofila ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, per sé e in favore di altre sette Aziende ospedaliere lombarde (ASST Lodi; ASST Santi Paolo e Carlo; ASST Melegnano e della Martesana; Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; ASST Gaetano Pini; ASST Monza; ASST Vimercate) e prevede una clausola di adesione che consentirà ad ulteriori nove Aziende sanitarie lombarde di procedere a stipulare contratti con il futuro aggiudicatario, con il limite del 100% del valore del contratto di gara (la gara de qua ha dunque un valore potenziale di circa € 240.000.000,00).
A sostegno del proprio gravame le istanti hanno dedotto, con il primo motivo di censura, la violazione dell’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016, dell’art. 41 della Costituzione e del principio di libertà d’impresa, dell’art. 2 del d.lgs. n. 276 del 2003 e dell’art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015, oltre all’eccesso di potere per carenza d’istruttoria, sproporzione, irragionevolezza ed illogicità, in ragione dell’illegittimità della clausola sociale così come prescritta, che non si limita a garantire il mantenimento in organico dei lavoratori già impiegati presso il gestore uscente, ma impone un obbligo specifico di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori attualmente in forze presso l’esecutore del servizio, e con il secondo motivo la violazione degli artt. 23, 30 e 35 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 18 della Direttiva UE/24/2014, nonché l’eccesso di potere per carenza ed erronea istruttoria nella determinazione del prezzo a base d’asta.
Si è costituita in giudizio Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, che ha chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza nel merito.
E’ intervenuta in giudizio ad opponendum Cgil-Lombardia, che si è associata alla richiesta di rigetto del ricorso formulata da Asst Niguarda.
Successivamente le parti costituite hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’udienza pubblica del 22 marzo 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di doglianza parte ricorrente ha lamentato, sostanzialmente, che la clausola sociale introdotta nella lex specialis di gara, così come prescritta, non si limiterebbe a garantire il mantenimento in organico dei lavoratori già impiegati presso il gestore uscente, ma si spingerebbe assai oltre, imponendo un obbligo specifico di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori attualmente in forze.
La clausola sociale si tradurrebbe, dunque, in una vera e propria sostituzione indebita nella struttura organizzativa e nelle scelte imprenditoriali degli operatori economici.
Sia la resistente Asst Niguarda che la CGIL fondano, invece, l’assunta legittimità della clausola sociale, così come prevista negli atti di gara, sull’art. 3 della l.r. 24 novembre 2017, n. 26, che prevede la facoltà di “assorbire, compatibilmente con la gestione efficiente dei lavori e servizi da affidare e con la libera organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, il personale adibito all’esecuzione del lavoro o allo svolgimento del servizio oggetto dell’affidamento (…) mantenendo i diritti acquisiti dei lavoratori sulla base dei contratti nazionali, regionali e territoriali”, nonché sul protocollo d’intesa stipulato tra la regione Lombardia e le Organizzazioni sindacali confederali l’8 marzo 2017, richiamato nel capitolato speciale e sull’art. 31 del contratto collettivo nazionale di lavoro per la categoria delle agenzie di somministrazione e lavoro in vigore.
La censura è fondata.
Ed invero, mentre l’art. 6 del capitolato speciale si limita a prevedere che: “ai sensi dell’art. 31 del CCNL 27.02.2014 per la categoria delle Agenzie di Somministrazione, l’Agenzia aggiudicataria è tenuta a garantire il mantenimento in organico dei lavoratori già utilizzati in precedenza rilevando, per quanto possibile e ai sensi della normativa vigente in materia, il personale utilizzato dal precedente fornitore … ” (capitolato, pag. 3), l’art. 14 del medesimo capitolato, rubricato “responsabilità e oneri a carico del fornitore”, stabilisce che: “sono compiti e responsabilità dell’Agenzia fornitrice: assumere a tempo indeterminato tutto il personale inviato in missione presso gli Enti” (pag. 9).
La clausola sociale, per come è prevista, non si limita, dunque, ad assicurare i livelli occupazionali, ma si traduce in una vera e propria sostituzione indebita nella struttura organizzativa e nelle scelte imprenditoriali degli operatori economici, imponendo la tipologia di contratto di lavoro da stipulare.
Circostanza che la rende contraria alla libertà d’impresa e di organizzazione imprenditoriale, alla luce della costante interpretazione delle norme nazionali ed eurounitarie vigenti in materia che la giurisprudenza ha fornito, quale principio fondamentale posto a tutela del mercato e della massima partecipazione alle gare pubbliche.
In proposito, pare opportuno richiamare, innanzitutto, l’approdo cui è pervenuta la Corte di giustizia dell’unione europea, che ha da sempre sostenuto che le clausole sociali vadano formulate in modo da contemperarne l’applicazione ai principi di “libertà di stabilimento”, di “libera prestazione dei servizi”, di “concorrenza” e di “libertà di impresa” (cfr., fra le tante, Corte di giustizia europea, grande sezione, 15 luglio 2015, causa C-271/2008; sez. IX, 18 settembre 2014, causa C-549/13).
Anche la Corte costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 l. reg. Puglia 25 febbraio 2010 n. 4, quanto al comma 1 del sostituito art. 25 l. reg. 3 agosto 2007 n. 25: “ limitatamente alle parole “a tempo indeterminato”. Premesso che l’art. 25 l. reg. n. 25 del 2007, nella sua formulazione originaria, disponeva che “Fatte salve le previsioni della contrattazione collettiva, ove più favorevoli, la Regione, gli enti, le aziende e le società strumentali della Regione devono prevedere nei bandi di gara, avvisi e, comunque, nelle condizioni di contratto per appalti di servizi l’utilizzo del personale già assunto dalla precedente impresa appaltatrice, nonché le condizioni economiche e contrattuali già in essere”, la disposizione censurata introduce uno strumento diverso dalla “clausola sociale”, in quanto non si limita a prevedere il mantenimento in servizio di personale già assunto, ma stabilisce in modo automatico e generalizzato l'”assunzione a tempo indeterminato” del personale già “utilizzato” dalla precedente impresa o società affidataria dell’appalto; in tal modo viola l’art. 97 cost., e le norme interposte dettate dall’art. 18 d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 19, comma 1 d.l. n. 78 del 2009, in materia di reclutamento del personale delle società a partecipazione pubblica, sotto il profilo della “imparzialità dell’azione amministrativa e uniformità della stessa sul territorio nazionale”, nonché sotto il profilo del buon andamento (sent. n. 267 del 2010)” (cfr. Corte Cost., 3 marzo 2011, n. 68).
Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che: “Nelle gare pubbliche la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto; la suddetta clausola deve quindi essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali, ma la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria” (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078, nonché, da ultimo, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272).
Peraltro, l’art. 3 della legge della regione Lombardia 24 novembre 2017, n. 26, citato dalle controparti a sostegno della loro tesi, non prevede alcun obbligo di assunzione a tempo indeterminato, ma prevede solo la facoltà di assorbire, compatibilmente con la gestione efficiente dei lavori e servizi da affidare e con la libera organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, il personale adibito all’esecuzione del lavoro o allo svolgimento del servizio oggetto dell’affidamento, tutelando, dunque, il mantenimento in organico dei lavoratori.
Né può affermarsi che l’obbligo di assunzione previsto dalla clausola sociale, la cui ratio risponde a tutelare il livello occupazionale dei lavoratori, possa variare in ragione della specifica fonte da cui trae origine (nella specie protocollo d’intesa tra Regione e sindacato e contrattazione collettiva), atteso che, come è stato osservato: “La latitudine applicativa degli obblighi connessi alla c.d. “clausola sociale” come sopra delineata, confermata dalla giurisprudenza eurounitaria (si vedano Corte di Giustizia dell’Unione Europea 9/12/2004 in C-460/2002 e 14/7/2005 in C-386/2003) non varia, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di prime cure, in ragione della fonte da cui la stessa trae origine. … Invero l’obbligo di riassorbimento del personale impiegato dal precedente appaltatore va comunque armonizzato con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, e ciò anche laddove tale obbligo sia previsto dalla contrattazione collettiva. … Infatti la libertà di iniziativa economica implica, di necessità, che a ciascun imprenditore sia consentito, nei limiti segnati dall’ordinamento, di organizzare la propria impresa come meglio ritiene e ciò si oppone ad un’interpretazione tale da compromettere la detta prerogativa e che privilegi una scelta fatta a monte, inevitabilmente generalizzata ed avulsa dal contesto specifico della singola organizzazione aziendale.
In definitiva la c.d. “clausola sociale”, qualunque sia la fonte da cui derivi, dev’essere armonizzata con l’organizzazione aziendale dell’imprenditore subentrante” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272).
Alla luce delle suesposte considerazioni, assorbendosi l’ulteriore motivo di doglianza, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Condanna Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda e Cgil-Lombardia alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti di parte ricorrente, in via solidale e nella rispettiva quota di due terzi e di un terzo, che si liquidano nella complessiva somma pari ad euro 6.000, oltre ad oneri di legge e alla restituzione del contributo unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Angelo Gabbricci, Presidente
Elena Quadri, Consigliere, Estensore
Roberto Lombardi, Primo Referendario