Atteso per fine mese il Decreto Dignità. Chi sono i lavoratori subordinati e quali tutele sono previste.
Luigi Di Maio, nei suoi primi interventi da ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, ha dato priorità al cosiddetto ‘’Decreto Dignità’’ preoccupandosi di intervenire su vari aspetti della vita dei cittadini ed incorporando sotto un unico tetto lavoro e sviluppo economico.
Le priorità di azione del ‘decreto dignità’ atteso per la fine del mese, si racchiudono in 4 punti fondamentali:
1. imprese;
2. diritti dei lavoratori;
3. dipendenza dal gioco d’azzardo;
4. delocalizzazioni
Nel ‘Decreto Dignità’ resteranno le modifiche al Jobs Act e sui contratti a termine.
“Non credo ci sarà un incremento dei contenziosi – sostiene Di Maio – l’idea di fondo è quella di favorire il contratto a tempo indeterminato ed evitare che ci sia un ricorso indiscriminato ai rinnovi: non è più ammissibile che ci siano contratti di settimane o un mese che vengono rinnovati senza una causalità, ma a discrezione dell’azienda”. Inoltre “Stiamo già operando per riformare i Centri per l’impiego e per renderli operativi e in grado di realizzare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.”
Uno dei primi interventi, su cui si sta già discutendo, riguarda i Riders, i ciclofattorini delle consegne a domicilio, persone che, in collegamento con una piattaforma digitale, si recano in bicicletta o in motorino a consegnare il pasto a domicilio dopo averne accettata l’ordinazione sul web.
L’attenzione è stata posta sulla questione a maggior ragione dopo le iniziative di sciopero, allo scopo di ottenere diritti e tutele dalle società multinazionali, in una società dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative come il posto fisso, il contratto a tempo indeterminato ma con il primato, tristissimo, per l’Italia con la percentuale dei cosiddetti Neet (not in education, employment or training) pari al 25,7% , contro una media continentale del 14,3%. Da qui la nascita, di questa nuova generazione di lavoratori ‘gig economy’, un nuovo modello economico sempre più in diffusione, dove si lavora on demand, cioè solo quando c’è richiesta per i propri servizi, prodotti o competenze, lavorando a cottimo, senza contratti nazionali, status giuridici o tutela assicurativa.
“Non è un cambiamento di strategia, semplicemente dopo aver incontrato i rider, abbiamo incontrato le aziende che si occupano di food delivery ed è emersa, sia dai rappresentanti delle aziende nazionali che internazionali, la disponibilità di avviare un percorso condiviso per la creazione di un contratto per chi lavora nel settore. I tempi saranno stretti – aggiunge – non è mia intenzione aprire un tavolo che duri all’infinito, se c’è la possibilità di chiudere con soddisfazioni delle parti si crea un percorso e si porta avanti. I tempi saranno chiari appena aziende, riders e organizzazioni sindacali si incontreranno al ministero”.
La definizione usata dal neo Ministro è ”Guerra al precariato” con provvedimenti volti ad aumentare la tutela e i diritti dei lavoratori. E che il problema esiste, ed è necessario occuparsene, è vero, ma è discutibile che si tratti di un’ “emergenza” tale da intervenire con decreto legge, dal momento che la questione riguarda un settore marginale del mercato del lavoro.
“È considerato prestatore di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2094 del codice civile, chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni informatiche, dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro“. E’ scritto nel primo comma dell’articolo 1 del decreto in elaborazione. Mentre, recentemente il Tribunale di Torino (Sentenza n. r.g. 4764/2017) investito della questione del rapporto giuridico, ne ha affermato la natura di lavoro autonomo, in conseguenza dell’autonomia consentita al rider di organizzare il proprio lavoro, aderendo o meno alle richieste che gli vengono proposte.
La controversia ha per oggetto esclusivamente la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, non sono state prese quindi in considerazione le questioni relative all’adeguatezza del compenso e al presunto sfruttamento dei lavoratori da parte dell’azienda, perché i ricorrenti hanno tutti sottoscritto dei contratti di “collaborazione coordinata e continuativa” nei quali si è dato atto che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”. E’ peraltro noto che “ai fini della determinazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero avere simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia” (Cass. 19.8.2013 n.19199; Cass. 8.4.2015 n.7024; Cass. 1.3.2018 n.4884).
Sono innumerevoli le sentenze che si sono occupate della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ma il criterio principale elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione è quello secondo cui “costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative” (tra le tante, Cass. 8.2.2010 n.2728).
Ci sono poi altri criteri che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria come quelli relativi all’osservanza di un determinato orario, all’inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale, all’assenza di rischio per il lavoratore o alla forma della retribuzione. Occorre quindi stabilire se i ricorrenti fossero o meno sottoposti al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di Foodora, che viene comunemente chiamata “eterodirezione” della prestazione.
Oggi, con il Decreto Dignità, vengono fornite maggiori tutele, viene vietata la retribuzione a cottimo, per fare posto all’applicazione di un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti dal contratto collettivo applicabile all’attività prestata, o per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria più affine. Si aggiunge il “diritto alla disconnessione” per “almeno undici ore consecutive ogni ventiquattro dall’ultimo turno di disponibilità completato, inoltre resterebbe libero di accettare o meno la prestazione e di creare così un “buco” nell’organizzazione del servizio. Punti che a tutti farebbero comodo, non solo ai riders, e nessuno è insensibile dinnanzi all’esigenza di maggiore tutela, ma per ogni tipologia di lavoro anche nell’ambito della gig economy.
Il tentativo di “restituire dignità” dovrebbe forse riguardare intere categorie di lavoratori, ponendo particolare attenzione ad evitare il fallimento, cosi come è stato nel caso dei call center prima, dei voucher e cosi via, con aziende che hanno lasciato l’Italia spostandosi all’estero e lasciando i lavoratori italiani speranzosi nel cambiamento.
Si allega la Sentenza n. 4764/2017