Relazione annuale Anac del 2018, i punti più importanti

Il resoconto dell’ANAC sull’ultimo anno di attività. Chiesto un potenziamento della struttura, piuttosto che un aumento dei poteri. A breve arriveranno albo dei commissari di gara e qualificazione delle stazioni appaltanti.

Nel testo presentato il 14 giugno 2018 presso la Sala Koch di Palazzo Madama, l’Autorità Nazionale Anticorruzione fa il punto dell’anno trascorso, il 2017.

Nella sua presentazione, il Presidente dell’ANAC Cantone ripercorre i punti più importanti dell’ultimo anno di attività dell’Autorità, facendo il punto in particolare sulle attività di vigilanza e sui contratti pubblici.

Le proposte dell’ANAC al legislatore

Nella relazione, non si ritiene che l’Anac debba ebba essere destinataria di nuovi poteri e funzioni ma che sia piuttosto messa in condizioni di poter svolgere quelle attribuite.

La qualificazione delle stazioni appaltanti, la gestione dell’albo dei commissari di gara, il rilascio del rating di impresa, la tutela dei whistleblower sono, per citarne solo alcune, funzioni delicate e complesse che entreranno a regime nel prossimo periodo e che, aggiungendosi a quelle già in essere, richiederanno un grande sforzo del personale e un’adeguata motivazione.

Dal punto di vista della regolazione, si auspica un intervento del legislatore sule lobby e sulle fondazioni che si occupano di politica

I contratti pubblici

Nella materia dei contratti pubblici, l’ANAC, che pure riconosce i problemi applicativi del Codice del 2016, ritiene che quest’ultimo vada adeguatamente valorizzato.

Le linee guida dell’ANAC

Facendo il punto dell’attuazione del Codice, l’ANAC ricorda che aveva l’onere di redigere 10 linee guida e proporre 3 decreti al Ministro delle infrastrutture e ad oggi, malgrado sia stata necessaria la revisione dei testi già adottati a seguito del correttivo, l’Autorità ha definitivamente licenziato 6 linee guida; per una si è in attesa del parere del Consiglio di Stato, per due si è conclusa la consultazione e un’altra potrà essere predisposta solo dopo l’adozione dell’apposito DPCM.

Quanto alle proposte di decreto, una è stata formulata e il relativo decreto è stato recentemente pubblicato, un’altra è stata inviata al Ministro, per l’ultima si è deciso un rinvio per ragioni di coordinamento con altro testo.

Sono state anche adottate alcune linee guida non obbligatorie, particolarmente attese dagli operatori: 4 in via definitiva, una in via di approvazione e due in attesa del parere del Consiglio di Stato, così come sono stati elaborati i primi due bandi-tipo, pure molto attesi, e per un terzo si è chiusa la consultazione pubblica.

Anche se da più parti provengono commenti nostalgici per un ritorno al regolamento, l’Autorità continua a ritenere opportuna l’opzione per una regolazione flessibile, non prescrittiva ma descrittiva, che consenta una maggiore comprensione e una più facile applicazione da parte di chi opera sul campo.

L’albo dei commissari di gara nell’autunno 2018

In dirittura d’arrivo è l’albo dei commissari di gara, che ha richiesto l’adozione di linee guida finalizzate a definire chi può iscriversi e quali requisiti morali e professionali deve possedere, nonché la progettazione e la realizzazione dei sistemi informatici necessari per la tenuta dell’albo stesso. Auspichiamo che possa entrare in vigore, sia pure in più step, subito dopo l’estate.

La qualificazione delle stazioni appaltanti

Non si è ancora concluso l’iter per l’emanazione del decreto che dovrà stabilire i criteri per la qualificazione delle stazioni appaltanti; l’Autorità ha reso al Ministero delle infrastrutture il proprio parere sullo schema di decreto ministeriale ma il testo, per le resistenze di molte amministrazioni, attende ancora il via libera definitivo della Conferenza Unificata. È un passaggio indispensabile per giungere a una gestione efficiente degli appalti, che richiederà poi un enorme impegno per l’Autorità, chiamata all’adozione delle linee guida e, successivamente, all’effettiva qualificazione.

I problemi più significativi emersi dall’attività di vigilanza: l’applicazione della rotazione e la nomina e revoca dei responsabili della prevenzione

I problemi più significativi emersi dalla vigilanza riguardano, secondo l’ANAC, l’applicazione della rotazione e la nomina e revoca dei responsabili della prevenzione.
Pur essendo stata ribadita nel Piano l’importanza della rotazione, permane la resistenza all’adozione della misura, spesso nascosta dietro presunte esigenze organizzative, nonostante l’Autorità – soprattutto nelle realtà di ridotte dimensioni come i piccoli comuni – si sia fatta carico di indicare possibili misure alternative (ad esempio, l’affiancamento di più funzionari nell’istruttoria).
In alcuni casi, la rotazione non è stata attuata neppure in presenza di persone sottoposte a procedimenti penali o disciplinari per fatti molto gravi.
Sul responsabile della prevenzione, l’obiettivo perseguito dall’Autorità è di evitare sia che tale incarico venga rivestito dai titolari delle funzioni di indirizzo politico, con sovrapposizione delle posizioni di controllore e controllato, sia che intervengano revoche della funzione di carattere “ritorsivo” che compromettano l’autonomia dell’organo.

Il whistleblowing

Connesso al tema della prevenzione della corruzione è anche quello del whistleblowing, istituto che sta dimostrando grande vitalità con l’incremento, anche nel 2017, delle segnalazioni. L’Autorità segnala tuttavia che purtroppo, però, le segnalazioni hanno contenuto contrastante con lo spirito della norma, vertendo, in molti casi, su problematiche di carattere personale.

Una recentissima legge (la 179 del 2017), adottata in limine della precedente legislatura, ha corretto questa distorsione, opportunamente considerando rilevanti le sole segnalazioni fatte “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione”, ampliando l’ambito soggettivo di applicazione della norma, estendendolo alle società pubbliche controllate e alle imprese private, ed ha rafforzato la tutela del segnalante.

Sono state, a tal fine, introdotte rigorose sanzioni (con pene fino a 50 mila euro) per le ritorsioni e le misure discriminatorie nei confronti del segnalante, alla cui irrogazione dovrà provvedere l’Autorità; si tratta di un impegno oneroso, ma anche delicato per la natura degli accertamenti da effettuare, cui si è fatto fronte istituendo un ufficio ad hoc non ancora, però, dotato del sufficiente organico.

La normativa, secondo l’ANAC, ha anche non poche ombre (come la scarsa tutela della riservatezza del segnalante che denuncia fatti di rilievo penale) e solo l’applicazione concreta evidenzierà l’effettiva utilità di un istituto già sperimentato positivamente in altri Paesi.

In allegato il testo completo della Relazione Anac per il 2017.

Di seguito si riporta la presentazione del Presidente dell’ANAC (qui in formato PDF)

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Nel giugno del 2014, proprio in questi giorni, l’ANAC cambiava del tutto i suoi connotati. Nei mesi precedenti il Paese era stato scosso dalle notizie di alcuni gravi fatti corruttivi, in particolare connessi al grande evento Expo 2015 e al c.d. “Mose di Venezia”, e Governo e Parlamento, come evidenziato da un autorevole studioso, vollero mandare un segnale, istituendo in Italia un presidio forte a tutela della trasparenza e della legalità nella pubblica amministrazione.
Investirono sulla neocostituita e molto gracile struttura dell’ANAC, rafforzandola attraverso l’iniezione di nuovi poteri e facendole inglobare, con una fusione per incorporazione, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Sono passati appena quattro anni, ma, per i tanti cambiamenti verificatisi nel contesto generale, sembra trascorsa un’era geologica. Allora si dovette partire in corsa; bisognava controllare gli appalti di Expo e farlo in tempi stretti e in una situazione di emergenza, con due strutture così diverse da integrare e senza che nemmeno fosse stato nominato l’intero Consiglio dell’Autorità, che entrò in carica solo il 14 luglio.
Come è noto l’Expo si è poi regolarmente svolto; nessuno degli appalti controllati è stato sfiorato da indagini giudiziarie e sembrano smentite anche le previsioni più pessimistiche sui costi, visto che, con l’approvazione del bilancio finale, saranno distribuiti utili.
Da allora l’Autorità si è imposta come un riferimento per amministrazioni, imprese e cittadini, tanto che le sono state assegnate anche nuove e non meno difficili sfide come quella dell’attuazione del Codice degli appalti e quella, forse più lontana dalla mission istituzionale, degli arbitrati bancari.
Ha anche guadagnato credito internazionale, attraverso le tante relazioni bilaterali e multilaterali intrecciate, partecipando alle sessioni di lavoro delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, del Greco, dell’Ocse, del G7 e assumendo un ruolo di primo piano nel processo di Berlino, per l’ingresso dei Paesi Balcanici nella UE.
Il quadro normativo si è arricchito di nuovi tasselli, diventando un puzzle di non semplice composizione. Per conoscere poteri e funzioni dell’ANAC non basta consultare un’unica legge ma una serie di norme sparse in più provvedimenti a cui, con non poche difficoltà, può essere data una lettura unitaria.
Neppure dal punto di vista dell’organizzazione interna l’impianto normativo appare più razionale; grazie a una norma introdotta nella legge di bilancio per l’anno in corso, l’ANAC transiterà, anche sotto il profilo ordinamentale, nel sistema delle autorità indipendenti e lo farà adottando propri regolamenti, resi però complicati dalle stratificazioni normative e da vincoli di spesa su cui tornerò nelle conclusioni.
Questa breve premessa è per rimarcare che i quattro anni trascorsi sono stati impiegati, pur fra i tantissimi impegni quotidiani, a dare una struttura razionale all’Autorità e, sebbene non mi sento di dire che l’impresa sia del tutto riuscita, voglio rivendicare con orgoglio quantomeno il metodo seguito, quello, cioè, della massima apertura all’esterno, con l’obiettivo di rifuggire da logiche autoreferenziali.
L’idea perseguita è stata quella di un’Autorità che potesse diventare punto di riferimento e luogo visibile non solo all’“ultimo miglio”, attraverso i suoi atti, ma anche prima, in quanto istituzione aperta al dialogo e al confronto.
Questo è avvenuto tramite varie iniziative, tra le quali voglio citare la diffusione della cultura della legalità rivolta ai giovani (si pensi alla Carta d’intenti, che ci vede in partnership con il Ministero dell’istruzione, la Direzione nazionale antimafia e l’Associazione nazionale magistrati; alla selezione di tirocinanti e volontari del servizio civile; alla cooperazione con molti atenei per contribuire al dibattito scientifico e allo sviluppo di una cultura della conoscenza delle regole e del merito) e il dialogo con i cittadini e in generale con il mondo della società civile (mi riferisco ai protocolli già siglati con Libera e Transparency International, a cui si sono aggiunti quelli con Cittadinanza Attiva, Openpolis, ActionAid e Labsus-laboratorio per la sussidiarietà).
Altrettanto importante è stato il confronto con gli stakeholders per assumere decisioni partecipate. È ormai consolidata la prassi di sottoporre gli atti di regolazione a consultazione pubblica e poi al parere del Consiglio di Stato prima della loro adozione, ma anche di attivare ogni anno tavoli di lavoro con esperti, istituzioni e operatori per confrontarsi sul Piano Nazionale Anticorruzione.  In questa stessa prospettiva si segnala che per il quarto anno l’Autorità ha organizzato la giornata dei responsabili della prevenzione della corruzione, un laboratorio ormai permanente per ascoltare e affrontare i problemi concreti derivanti dall’attuazione della normativa anticorruzione all’interno delle amministrazioni.
Anche su un tema cruciale come l’individuazione delle cause e dei fattori della corruzione e la sua misurazione vogliamo andare in questa direzione. Gli indici al momento disponibili, come quello di Transparency International sulla percezione della corruzione, utili per valutare il livello di fiducia dei cittadini e il grado di permeabilità del Paese, non bastano. Per tale ragione era stato costituito un gruppo di lavoro, composto anche da esperti del mondo accademico, che nel 2016 aveva elaborato un primo rapporto.
Nel novembre scorso è stato poi siglato un protocollo con il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, l’Agenzia per la coesione, l’Istat e i Ministeri dell’economia, dell’interno e della giustizia, con lo scopo di promuovere la sperimentazione di indici di misurazione dei fenomeni corruttivi, attraverso la creazione e l’alimentazione di apposite banche dati, anche cogliendo le potenzialità offerte dai prezzi di riferimento che l’Autorità ha il compito di elaborare.
A questo tema è stato anche dedicato, nell’ottobre 2017, un evento organizzato nell’ambito della presidenza italiana del G7, con il quale l’Autorità ha provato a coinvolgere i partner internazionali sull’argomento, ottenendo significative adesioni.
Infine, nel marzo di quest’anno, si è aggiunto un ulteriore tassello: dopo aver acquisito il parere del Garante della privacy, l’Autorità ha approvato un regolamento per disciplinare le modalità di accesso alle proprie banche dati. Nessuna “gelosia” su queste informazioni ma condivisione per consentire il loro utilizzo a fini di studio e ricerca, perché la lotta alla corruzione ha bisogno del supporto di tutti.

La prevenzione della corruzione

Per l’esame più approfondito delle attività svolte dall’Autorità si rinvia alla relazione completa, pubblicata sul sito, limitandosi qui solo a qualche cenno.
Punto di partenza non può che essere il Piano Nazionale Anticorruzione, il più importante documento di indirizzo per l’attuazione della strategia di prevenzione. Nel 2017 è stato aggiornato il primo Piano adottato dall’Autorità nel 2016, proseguendo con la già sperimentata tecnica degli approfondimenti per aree e settori caratterizzati da peculiarità organizzative e funzionali, concentrandosi sulle autorità di sistema portuale, sui commissari straordinari di Governo e sulle università.
Grazie a tavoli di lavoro molto partecipati, sono state individuate, come era accaduto l’anno precedente con la sanità, aree di rischio e misure da adottare, non calandole dall’alto.
Qualche parola in più va dedicata al Piano sulle università. Il documento si è giovato del contributo di qualificati esponenti dell’intero mondo accademico, che, superando posizioni polemiche che vedevano nell’iniziativa dell’Autorità una compromissione dell’autonomia universitaria, ha saputo cogliere questa occasione per una riflessione di fondo sui rischi che anche in questo settore sono presenti.
Nel Piano si trovano indicazioni su misure concrete per la didattica e la ricerca, per il reclutamento di docenti e ricercatori e per la definizione più precisa di cause di incompatibilità con lo svolgimento di incarichi esterni, assicurando sempre maggiore trasparenza sulla propria organizzazione e attività. Ora, però, tocca a professori e ricercatori farsi protagonisti di un processo che rafforzi il prestigio delle università!
L’aggiornamento del Piano per il 2018 proseguirà sulle stesse direttrici, focalizzando l’attenzione su rifiuti, immigrazione, agenzie fiscali e semplificazione.
L’attività di regolazione ha affrontato anche altri temi: nel mese di marzo dello scorso anno, in collaborazione con il Ministero della salute e l’Agenas, sono state adottate le linee guida sui codici di comportamento nel servizio sanitario nazionale, per individuare obblighi e divieti degli operatori in relazione, tra l’altro, a liste di attesa e attività professionali; nel novembre quelle, molto attese sulle società pubbliche per fornire un supporto interpretativo a seguito delle modifiche del decreto legislativo 97 del 2016.
Per quanto attiene alla vigilanza, si segnala l’apertura di 241 istruttorie ma con una limitata applicazione delle sanzioni per omessa adozione dei piani (ne sono state irrogate solo 8, ancora meno, quindi, delle 12 dell’anno precedente), a dimostrazione di come gli obblighi normativi siano oggi diffusamente rispettati.
L’analisi a campione, realizzata anche quest’anno grazie alla collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata ha, infatti, confermato che ormai il 90% delle amministrazioni adotta il piano, ma ha anche rimarcato persistenti carenze nella fase di monitoraggio e di coordinamento con altri strumenti di programmazione.
I problemi più significativi emersi dalla vigilanza riguardano, però, l’applicazione della rotazione e la nomina e revoca dei responsabili della prevenzione.
Pur essendo stata ribadita nel Piano l’importanza della rotazione, permane la resistenza all’adozione della misura, spesso nascosta dietro presunte esigenze organizzative, nonostante l’Autorità – soprattutto nelle realtà di ridotte dimensioni come i piccoli comuni – si sia fatta carico di indicare possibili misure alternative (ad esempio, l’affiancamento di più funzionari nell’istruttoria).
In alcuni casi, la rotazione non è stata attuata neppure in presenza di persone sottoposte a procedimenti penali o disciplinari per fatti molto gravi; in una ASL, ad esempio, un dirigente rinviato a giudizio per associazione a delinquere e truffa, non solo non era stato adibito ad altre funzioni e sottoposto a procedimento disciplinare ma gli era stato anche rinnovato l’incarico, tanto da indurre l’Autorità ad attivare i poteri ispettivi e di diffida.
Sul responsabile della prevenzione, l’obiettivo perseguito dall’Autorità è di evitare sia che tale incarico venga rivestito dai titolari delle funzioni di indirizzo politico, con sovrapposizione delle posizioni di controllore e controllato, sia che intervengano revoche della funzione di carattere “ritorsivo” che compromettano l’autonomia dell’organo. Lo strumento che la legge riserva all’Autorità a tale scopo5 è, però, decisamente insufficiente perché consiste in una semplice richiesta di riesame alle amministrazioni, che ben possono poi confermare la propria decisione.

Numerose attività di vigilanza (oltre 200 procedimenti) hanno riguardato l’applicazione delle misure di pre-employment (inconferibilità e incompatibilità degli incarichi), on-employment (conflitti di interesse nello svolgimento delle funzioni) e post- employment (situazioni di pantouflage successive alla cessazione dell’incarico) finalizzate a prevenire i conflitti di interesse e, quindi, la compromissione dell’imparzialità.
Tra i casi trattati, da citare è quello relativo al presidente di un consorzio di sviluppo industriale; l’Autorità aveva ritenuto la nomina inconferibile e tale decisione non era stata eseguita dal responsabile della prevenzione della corruzione ed era stata impugnata dal consorzio; ribaltando la decisione del Tar, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretto l’operato dell’Autorità, ma soprattutto ha qualificato i suoi poteri non come meramente ricognitivi ma di accertamento costitutivo di effetti giuridici.
Va anche menzionato un complesso accertamento in materia di pantouflage, a cui ha anche contribuito la Guardia di Finanza, relativo al presidente di un’autorità portuale che, cessato l’incarico, aveva instaurato un rapporto di consulenza con un’impresa di navigazione, destinataria di provvedimenti autorizzativi e concessori da parte della medesima autorità. Pur ritenendo configurata la violazione non si sono potute applicare, però, le sanzioni interdittive previste, per non avere la norma individuato l’autorità competente a irrogarle, carenza che sarà segnalata a Governo e Parlamento.
Analogo vuoto normativo l’Autorità l’ha già segnalato, lo scorso febbraio, per la mancata individuazione dell’organo competente ad accertare le incompatibilità introdotte dal recente Testo Unico in materia di società pubbliche, rappresentando di non avere potuto dare risposte alle pur numerose e spesso fondate segnalazioni.

Connesso al tema della prevenzione della corruzione è anche quello del whistleblowing, istituto che sta dimostrando grande vitalità con l’incremento, anche nel 2017, delle segnalazioni, purtroppo, però, dal contenuto contrastante con lo spirito della norma, vertendo, in molti casi, su problematiche di carattere personale.
Una recentissima legge (la 179 del 2017), adottata in limine della precedente legislatura, ha corretto questa distorsione, opportunamente considerando rilevanti le sole segnalazioni fatte “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione”, ampliando l’ambito soggettivo di applicazione della norma, estendendolo alle società pubbliche controllate e alle imprese private, ed ha rafforzato la tutela del segnalante.
Sono state, a tal fine, introdotte rigorose sanzioni (con pene fino a 50 mila euro!) per le ritorsioni e le misure discriminatorie nei confronti del segnalante, alla cui irrogazione dovrà provvedere l’Autorità; si tratta di un impegno oneroso, ma anche delicato per la natura degli accertamenti da effettuare, cui si è fatto fronte istituendo un ufficio ad hoc non ancora, però, dotato del sufficiente organico.
La normativa ha anche non poche ombre (come la scarsa tutela della riservatezza del segnalante che denuncia fatti di rilievo penale) e solo l’applicazione concreta evidenzierà l’effettiva utilità di un istituto già sperimentato positivamente in altri Paesi.

La trasparenza

Passando ad esaminare la tematica della trasparenza, è inevitabile ricordare come la materia sia stata oggetto di una riforma nel 2016 che ha introdotto, tra le altre novità, l’accesso civico generalizzato, puntando a trasformare l’amministrazione sempre più in “una casa di vetro”.
La sfida lanciata dal legislatore è stata raccolta dall’Autorità, che ha profuso il massimo impegno nel fornire indicazioni e indirizzi interpretativi con l’adozione di più linee guida, ma anche nel segnalare criticità e difetti di coordinamento, da sanare in via legislativa. Su una delle novità introdotte, quella relativa agli obblighi di pubblicazione delle situazioni patrimoniali dei dirigenti, il Tar Lazio, officiato dal ricorso di alcuni dirigenti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sospendendo per i ricorrenti l’obbligo di pubblicazione; al fine di evitare disparità di trattamento, l’Autorità ha considerato sospeso per tutti i dirigenti quel medesimo obbligo.
Se la vicenda, a prescindere dal merito, potrebbe indurre a considerazioni pessimistiche sugli ostacoli posti da una parte della burocrazia a una sempre più ampia trasparenza, gli esiti di un monitoraggio disposto dall’Autorità autorizzano, al contrario, un po’ di sano ottimismo.
Nel 2017, analizzando a campione le visualizzazioni della sezione “amministrazione trasparente” dei siti di alcune grandi città, è emerso non solo il notevole interesse dei cittadini per la consultazione delle piattaforme digitali ma soprattutto la concentrazione degli accessi su quelle attività a maggior rischio di illegalità (appalti e delibere di giunta), piuttosto che su quelli che potrebbero apparire di semplice curiosità (stipendi di politici e burocrati), smentendo, quindi, le previsioni di chi pensava che gli obblighi di pubblicazione avrebbero stimolato solo il voyeurismo digitale e non il controllo civico!
Dal punto di vista della vigilanza, lo scorso anno sono stati aperti oltre 300 procedimenti, con sole 19 sanzioni irrogate per mancata pubblicazione dei dati obbligatori (in diminuzione rispetto alle 98 del biennio 2015-2016); l’intervento dell’Autorità è, infatti, teso più che a sanzionare, a stimolare la più efficace trasparenza.
I dati positivi dal punto di vista numerico scontano, però, ancora problemi sul piano qualitativo; dall’esame a campione delle attestazioni degli organismi indipendenti di valutazione, emergono carenze relative soprattutto alla pubblicazione dei dati su performance, premi al personale e tempi di pagamento.

I contratti pubblici

Nel trattare la materia degli appalti non si può che partire dal Codice del 2016, come è noto, emanato per il recepimento delle direttive comunitarie del 2014 ed entrato in vigore con grandi aspettative.
La qualificazione delle stazioni appaltanti, la scelta dei commissari di gara attraverso l’estrazione da un albo, il rating di impresa, la necessità della progettazione esecutiva, una più rigorosa regolamentazione del partenariato, il superamento della prassi delle deroghe per singoli appalti, l’opzione per un testo più snello non accompagnato da un regolamento lungo e prolisso, erano alcune delle novità che avrebbero dovuto favorire efficienza, semplificazione e trasparenza.
A poco più di due anni di distanza, non si va (ancora) nella direzione auspicata: su alcuni aspetti, anche per non sempre giustificate critiche, si è già fatta marcia indietro con il correttivo del 2017; sono riapparse, per molti interventi, deroghe ad hoc e di recente alcuni hanno persino richiesto l’abrogazione del Codice, senza che nemmeno le più interessanti novità siano entrate in vigore.
La materia ha certamente bisogno di scelte chiare e inequivoche da parte del nuovo legislatore; il rilancio del sistema dei lavori pubblici necessita non solo di regole semplici e comprensibili, ma anche stabili, per consentire alla burocrazia il tempo di digerirle per poi applicarle in modo corretto.
In questo senso, una completa retromarcia rischierebbe di creare una ulteriore fase di fibrillazione con una (nuova) crisi del settore dalla quale, invece, sia pure a fatica, si sta lentamente uscendo.
Il Codice prevedeva, fra l’altro, che il regolamento venisse sostituito da decreti ministeriali e linee guida, queste ultime da adottarsi anche da parte dell’Autorità, a cui spesso sono contestati ritardi e omissioni, non rispondenti, però, al vero.
A noi spettava redigere 10 linee guida e proporre 3 decreti al Ministro delle infrastrutture e ad oggi, malgrado sia stata necessaria la revisione dei testi già adottati a seguito del correttivo, l’Autorità ha definitivamente licenziato 6 linee guida; per una si è in attesa del parere del Consiglio di Stato, per due si è conclusa la consultazione e un’altra potrà essere predisposta solo dopo l’adozione dell’apposito DPCM.
Quanto alle proposte di decreto, una è stata formulata e il relativo decreto è stato recentemente pubblicato, un’altra è stata inviata al Ministro, per l’ultima si è deciso un rinvio per ragioni di coordinamento con altro testo.
Sono state anche adottate alcune linee guida non obbligatorie, particolarmente attese dagli operatori: 4 in via definitiva20, una in via di approvazione e due in attesa del parere del Consiglio di Stato, così come sono stati elaborati i primi due bandi-tipo, pure molto attesi, e per un terzo si è chiusa la consultazione pubblica.
Nella redazione dei testi determinante è stato il contributo del Consiglio di Stato, cui è stato richiesto il parere e le cui osservazioni sono state sempre recepite.
Anche se da più parti provengono commenti nostalgici per un ritorno al regolamento (che, è bene ricordare, fu adottato dopo quattro anni dall’entrata in vigore del precedente Codice!), continuiamo a ritenere opportuna l’opzione per una regolazione flessibile, non prescrittiva ma descrittiva, che consenta una maggiore comprensione e una più facile applicazione da parte di chi opera sul campo; è una valutazione che offriamo al legislatore, cui spetterà l’ultima parola.

L’Autorità sta ponendo in essere anche altre attività per l’attuazione del Codice.
Dal 15 gennaio scorso è operativa la procedura telematica per l’iscrizione delle società in house nel previsto elenco, la cui attivazione è stata preceduta dall’emanazione di linee guida e da una complessa fase di valutazione, anche in sede consultiva, di numerose richieste di chiarimento che hanno dato luogo a diversi pareri e FAQ.
Al mese di marzo scorso sono giunte 500 domande, cui sono conseguite, all’esito del vaglio, già numerose iscrizioni.
In dirittura d’arrivo è l’albo dei commissari di gara, che ha richiesto l’adozione di linee guida finalizzate a definire chi può iscriversi e quali requisiti morali e professionali deve possedere, nonché la progettazione e la realizzazione dei sistemi informatici necessari per la tenuta dell’albo stesso. Auspichiamo che possa entrare in vigore, sia pure in più step, subito dopo l’estate.
È stato elaborato, anche in questo caso richiedendo il parere al Consiglio di Stato, il regolamento per disciplinare le delicate funzioni di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice, che hanno opportunamente sostituito le discusse raccomandazioni vincolanti e che permettono, sulla scorta di quanto già consentito all’Antitrust, l’impugnativa dei bandi e degli altri atti di gara, esercitabile autonomamente o previa diffida alle amministrazioni a rimuovere le illegittimità riscontrate. La rilevanza del potere ha imposto la fissazione di tempi stringenti per la conclusione del procedimento e la delimitazione precisa del perimetro di intervento.
Purtroppo, invece, non si è ancora concluso l’iter per l’emanazione del decreto che dovrà stabilire i criteri per la qualificazione delle stazioni appaltanti; l’Autorità ha reso al Ministero delle infrastrutture il proprio parere sullo schema di decreto ministeriale ma il testo, per le resistenze di molte amministrazioni, attende ancora il via libera definitivo della Conferenza Unificata. È un passaggio indispensabile per giungere a una gestione efficiente degli appalti, che richiederà poi un enorme impegno per l’Autorità, chiamata all’adozione delle linee guida e, successivamente, all’effettiva qualificazione.

Non meno importanti rispetto a quelle già descritte sono le altre attività svolte dall’Autorità in materia di appalti, quelle cioè consultive, ispettive e di vigilanza.
Con riferimento all’attività consultiva, numerose sono state le pronunce rese in sede di precontenzioso (297, di cui 35 su richiesta congiunta e quindi vincolanti per le parti), istituto che continua a riscuotere grande successo tanto che le decisioni hanno consentito il formarsi di una vera e propria giurisprudenza. Per permetterne una facile consultazione agli operatori, l’anno passato, è stata predisposta una rassegna ragionata delle decisioni in materia di avvalimento e soccorso istruttorio, disponibile sul sito; analoga operazione sarà fatta quest’anno per subappalto e partecipazione in forma aggregata.
Molti sono stati anche i pareri resi al di fuori del precontenzioso (272), rilasciati quando la questione posta è di interesse non solo del richiedente ma può servire a formare un orientamento generale per amministrazioni e operatori; tutte le richieste non rientranti in tale parametro (più di 1.000!) sono state, invece, archiviate nell’ottica di ribadire che l’Autorità non svolge funzioni di consulenza e non intende ingerirsi nelle scelte discrezionali delle amministrazioni.
La vigilanza in materia di lavori, servizi e forniture ha toccato molti ambiti, con circa 1.100 istruttorie aperte. Sono state oggetto di attenzione, con relativa contestazione di irregolarità, sia la costruzione di importanti infrastrutture (ad esempio, il collegamento Zara-Expo, la Metro C di Roma, la Pedemontana veneta e in precedenza anche la Pedemontana lombarda23), sia la realizzazione di importanti privatizzazioni (ci si riferisce all’acquisizione della società LGH da parte di A2A nel settore delle multiutility e al trasferimento di quote del capitale dell’aeroporto di Verona e della società di trasporto pubblico locale della Provincia di Genova).

Da segnalare anche la vigilanza effettuata su un contratto relativo a una importante trasmissione della Rai (che ha consentito all’Autorità di misurarsi con le problematiche dei c.d. “contratti esclusi” e dell’utilizzo di forme negoziali non espressamente previste dal Codice); quella avviata dal Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza sugli appalti affidati dal Comune di Milano per l’informatizzazione degli uffici giudiziari (che ha fatto emergere l’utilizzo di procedure negoziate fuori dai casi consentiti); quella inerente la gestione dei servizi idrici nella Regione Sardegna (che ha evidenziato un non regolare affidamento in house a una società a partecipazione maggioritaria dell’ente); quella relativa alla gestione dei centri di accoglienza per richiedenti asilo(come l’Hotspot di Taranto, per il quale sono stati riscontrati eccessi di proroghe e affidamenti diretti).
Sempre grazie al prezioso apporto del Nucleo anticorruzione della Guardia di Finanza sono stati controllati alcuni cantieri connessi alla ricostruzione post-terremoto del 2016, scoprendo la presenza di imprese non regolarmente autorizzate al subappalto, ed è stata effettuata un’indagine ad ampio spettro sull’avvalimento che ha coinvolto 17 stazioni appaltanti, facendo emergere diffuse pratiche elusive di cui si è data evidenza con 12 diverse delibere.
L’Autorità ha poi svolto molte altre ispezioni con i propri dirigenti interni (se ne registrano 20), cui si aggiungono anche quelle effettuate dalla Ragioneria Generale dello Stato, frutto di una collaborazione avviata da anni.
Nel settore della vigilanza si segnala anche l’importante attività di controllo sulle SOA, concentrata sui requisiti di imparzialità dei soci e degli amministratori, sull’assenza di conflitti di interesse e soprattutto sul rispetto dei criteri per il rilascio delle attestazioni.
Con riferimento a questo ultimo profilo, nello scorso anno l’Autorità ha deliberato in tre casi la più grave sanzione della decadenza dell’autorizzazione e in un caso la sospensione di 180 giorni, cui ha fatto seguito la restituzione dell’autorizzazione.

La vigilanza dell’Autorità si è svolta anche nella forma c.d. “collaborativa”, strumento che continua a riscuotere grande apprezzamento.
Si tratta, come è noto, di una modalità di controllo innovativa da applicarsi a situazioni di una certa rilevanza (grandi manifestazioni sportive e culturali, infrastrutture strategiche, calamità naturali o appalti particolarmente esposti a rischi corruttivi o a infiltrazioni criminali) in cui l’Autorità, su richiesta della stessa amministrazione, verifica preventivamente le bozze degli atti di gara, secondo il c.d. “modello Expo”.
Nel 2017 e nei primi mesi del 2018 sono stati sottoscritti 15 nuovi protocolli di intesa, con un incremento del 20% del numero delle procedure sottoposte al vaglio.
In questo ambito rientra anche la vigilanza effettuata dall’Unità Operativa Speciale, costituita da personale della Guardia di Finanza, un presidio nato per i controlli sugli appalti dell’Expo e poi riutilizzato per altri grandi eventi (Giubileo, lavori post-sisma e da ultimo Universiade 2019), evidentemente per i risultati postivi conseguiti, come dimostrano la rapidità delle risposte fornite (in media 3 giorni) e l’elevato tasso di adeguamento ai pareri resi (con punte di oltre il 90%).

Un cenno merita anche la gestione commissariale delle imprese, che ha visto l’avvio di 26 procedimenti, 19 dei quali hanno dato vita a una proposta di commissariamento, 5 sono stati archiviati mentre due sono in fase istruttoria. A questi si aggiungono 17 casi di “commissariamento antimafia”, disposti dal Prefetto su imprese “interdette”, per i quali l’Autorità ha fornito il proprio supporto sin dalla fase di valutazione dei presupposti applicativi.
L’utilità pratica dell’istituto è emersa in modo evidente nel caso del commissariamento del Consorzio Colari, titolare del servizio di trattamento di gran parte dei rifiuti urbani prodotti da Roma Capitale; il Prefetto di Roma, giovandosi anche di un utile confronto con gli altri attori istituzionali (Regione, Comune, AMA e ANAC), ha disposto il commissariamento del servizio a seguito di una ordinanza contingibile e urgente adottata dalla Sindaca di Roma Capitale, evitando una sicura emergenza sanitaria e riuscendo persino a far firmare uno storico “contratto ponte” ad AMA e commissario.
Nell’anno trascorso l’Autorità ha fatto anche ampio utilizzo della meno invasiva misura del sostegno e monitoraggio, richiedendola nei confronti di 7 diverse imprese, con risultati molto efficaci sul piano dell’adozione di misure di compliance anticorruzione.

Gli arbitrati bancari

Prima di avviarmi alle conclusioni, vorrei spendere qualche parola sugli arbitrati bancari, aventi ad oggetto l’indennizzo agli acquirenti di obbligazioni subordinate azzerate dalla liquidazione di 4 banche, una competenza prevista dalla legge di stabilità per il 2016 e su cui non erano mancate all’epoca polemiche.
I decreti attuativi sono intervenuti solo nell’aprile/maggio 2017 e la nomina dei componenti dei due collegi (titolare e supplente, il primo presieduto da me e l’altro dal presidente della Camera arbitrale presso l’ANAC) vi è stata nel successivo luglio.
L’Autorità e la sua Camera arbitrale, però, hanno avviato da subito il lavoro, con l’approvazione di importanti linee guida per rendere omogenea la valutazione delle violazioni degli obblighi informativi delle banche e con la stipula di convenzioni (volte a garantire il necessario supporto, anche di formazione, alle strutture di segreteria) con la Banca d’Italia e con il Fondo di solidarietà, ai quali va tutta la mia riconoscenza.
Le domande di ristoro pervenute sono state oltre 1.700, per un valore complessivo di circa di 82 milioni di euro, con richieste che variano da 516 euro a poco meno di 2.000.000 euro.
Il rilevante numero ha imposto di spalmare il lavoro tra i due collegi e dopo una prima udienza nel mese di dicembre, per venire incontro il più celermente possibile alle legittime attese dei risparmiatori, da metà marzo si è cominciato a tenere una udienza settimanale per entrambi i collegi, con almeno 20 ricorsi sul ruolo, cosa che ha consentito, ad oggi, già di definire circa il 25% dei casi. Un impegno notevole per i componenti dei collegi arbitrali, perché i lodi emessi, per i problemi in fatto e in diritto affrontati, sono vere e proprie sentenze.

Conclusioni e prospettive

Le brevi considerazioni proposte consentono di formulare alcune conclusioni, anche sulle possibili prospettive future dell’Autorità.
Come si è già accennato, negli anni precedenti, l’ANAC è stata destinataria di crescenti e molteplici poteri che si è provato ad esercitare per dare risposte all’altezza delle attese, risposte che, come è giusto che sia, hanno incontrato convinti consensi ma anche qualche aspra critica.
Ipotesi di rafforzamento dell’Autorità sono circolate pure di recente e al di là del riconoscimento del ruolo che l’ANAC si è ritagliata nel Paese, ciò che viene in evidenzia è la conferma, fra le direttrici della politica anticorruzione, dell’importanza del momento preventivo, sia pure in aggiunta a quello, indispensabile, della repressione penale.
Un tandem, questo, che qualche risultato per il Paese ha conseguito se è vero che, nell’ultimo triennio, nelle classifiche di Transparency International l’Italia ha scalato ben 15 posizioni, giungendo al 54° posto; un dato che, con tutti i limiti di un’indagine fondata sulla percezione, dimostra che i cittadini, pur continuando a ritenere alto il livello di corruzione in Italia, avvertono anche segnali di inversione.
Questo segnale positivo lo abbiamo constatato con le migliaia di esposti e richieste giunti da cittadini, imprenditori e amministrazioni, alcuni dei quali forse strumentali ad ottenere una sorta di “bollino” sul loro operato, ma in gran parte avanzati con la fiducia di poter avere una risposta adeguata alle proprie esigenze.
Ed è proprio partendo da queste aspettative che, nell’ottica della leale collaborazione con il legislatore, mi permetto di evidenziare quali rafforzamenti auspicheremmo.
Sul piano della prevenzione sarebbe certamente utile un intervento regolatorio, da tempo atteso, sulle lobby e sulle fondazioni che si occupano di politica.
Non riteniamo, invece, che l’Autorità debba essere destinataria di nuovi poteri e funzioni ma che sia piuttosto messa in condizioni di poter svolgere quelle attribuite.

La qualificazione delle stazioni appaltanti, la gestione dell’albo dei commissari di gara, il rilascio del rating di impresa, la tutela dei whistleblower sono, per citarne solo alcune, funzioni delicate e complesse che entreranno a regime nel prossimo periodo e che, aggiungendosi a quelle già in essere, richiederanno un grande sforzo del personale e un’adeguata motivazione.
In questo senso, è da rimarcare positivamente il passaggio, finalmente sancito con la legge di bilancio, nell’ordinamento delle autorità indipendenti, che fa venir meno una evidente discriminazione; il passaggio, però, è stato reso complicato da stratificazioni normative e da limiti di spesa che nel corso degli anni hanno finito per penalizzare, paradossalmente, solo l’ANAC.
Abbiamo anche avviato una politica di nuove assunzioni, pubblicando con non poche difficoltà un bando di concorso per 35 funzionari, che ha riscosso un grande successo, con la partecipazione di oltre 12.000 laureati.
Dobbiamo, tuttavia, proseguire su questa strada per continuare a rafforzare l’organico, tramite l’immissione di giovani motivati e la valorizzazione delle professionalità interne.
Il paradosso è che vi sono le risorse per fare tutto ciò e che non gravano sul bilancio dello Stato perché vengono dall’autofinanziamento, risorse che, fra l’altro, sono cresciute grazie all’eccezionale impegno degli uffici nella lotta all’evasione dei contributi da versare in sede di gara (3 milioni di euro recuperati solo nell’anno scorso!), ma che non possono essere pienamente utilizzate senza un definitivo sblocco legislativo, di cui segnaliamo, quindi, la necessità.
Da parte nostra, comunque, continueremo a lavorare con il massimo impegno fino al 2020, quando questo Consiglio terminerà il suo mandato, per far sì che la prevenzione si imponga, diventando un indispensabile strumento di efficienza del sistema e non un intralcio burocratico.
Lo faremo guardando soprattutto ai giovani e al loro futuro perché, per citare le parole del Papa, “non devono abituarsi mai alla corruzione, perché quello che lasciamo passare oggi, domani si ripresenterà, finché ci faremo l’abitudine e anche noi ne diventeremo ingranaggio indispensabile”.
So di poter concludere con questi auspici anche a nome degli altri colleghi e amici che compongono il Consiglio dell’Autorità – Michele Corradino, Francesco Merloni, Ida Angela Nicotra e Nicoletta Parisi – e del Segretario Generale, Angela Lorella Di Gioia, che ringrazio per il loro impegno e abnegazione.
Lasciatemi esprimere un profondo ringraziamento al Signor Presidente della Repubblica, che, con il suo autorevole magistero, non manca mai di indicare la corruzione come un male assoluto da combattere.
Un ringraziamento va a tutte le Magistrature, all’Avvocatura Generale dello Stato per il costante supporto che ci assicura, e alle altre Autorità indipendenti con cui abbiamo costruito rapporti stabili e di proficua collaborazione.
Un sentito ringraziamento va ai vertici della Guardia di Finanza, che ci forniscono un sostegno indispensabile per il nostro lavoro, oltre che attraverso il Nucleo Speciale Anticorruzione anche mediante le altre unità che operano stabilmente in ANAC.
Un ringraziamento speciale a quei dirigenti, funzionari e dipendenti dell’Autorità che con l’impegno quotidiano e l’alta professionalità dimostrati hanno consentito il raggiungimento dei risultati fin qui ottenuti.

Redazione

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