Per lo scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose è necessario valutare come indizi condotte amministrative che, seppure non palesemente illegittime, possono provare il condizionamento mafioso.
In particolare, un quadro di ripetute irregolarità e di affidamenti fiduciari reiterati è tipico degli ambienti infiltrati dal fenomeno della criminalità organizzata.
(Tar Lazio, sez. I, 5 giugno 2018, n. 6239)
I principi generali in materia di scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose: gli elementi indizianti
Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui legittimazione è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d’individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato.
Lo scioglimento è uno strumento di tutela della collettività, in particolari situazioni ambientali, nei confronti dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (già Corte Cost. 19.3.93 n. 103, sul previgente art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55);
Il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143 cit. deve essere valutato non atomisticamente ma nella sua complessiva valenza dimostrativa, dovendosi tradurre in un prudente apprezzamento in grado di lumeggiare, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma intende prevenire;
Ne consegue che, stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l’Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all’ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come “estrinseco”, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine perseguito.
La norma di cui all’art. 143 cit., infatti, consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, ma sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se – come detto – di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza (Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266) essendo sufficiente delineare un quadro indiziario di condotte plausibilmente frutto di condizionamento mafioso (si veda tra le altre Cons. Stato, Sez. III, n. 4529/2015, n. 3340/2015 e n. 2054/2015).
Il caso della proliferazione di procedure di appalto particolarmente “sospette”: affidamenti diretti e fiduciari sempre alle medesime aziende
In particolare, secondo i giudici amministrativi romani, rientrano tra gli indizi di una infiltrazione mafiosa il ripetuto ricorrere ad affidamenti diretti e fiduciari, il mancato rispetto del principio di rotazione, ed altre pratiche che, seppure non decisamente illegittime, creano un sospetto di “mafiosità”. In particolare se tali vicende sono inquadrate nel particolare contesto ambientale notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di una locale organizzazione criminale, profondamente radicata nel tessuto economico e sociale.
Si riporta in allegato la sentenza del TAR Lazio sez. I, 5 giugno 2018, n. 6239