Nella sentenza della Corte Costituzionale 170/2018 depositata il 20 luglio 2018, si ribadisce la legittimità costituzionale della sanzione per i magistrati che fanno politica, in particolare attraverso la partecipazione in via continuativa ai partiti politici.
La Corte Costituzionale rende la sua decisione sulla cosiddetta «vicenda Emiliano», magistrato in aspettativa da 12 anni in quanto eletto con il Partito Democratico prima come sindaco di Bari, poi come Presidente della Regione Puglia.
Secondo la Consulta è prioritario tutelare il significato dei principi costituzionali di indipendenza e imparzialità quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica.
Ne consegue che l’illecito disciplinare dell’iscrizione o della partecipazione sistematica e continuativa ai partiti politici è un saldo presidio di questi due principi e come tale non può che riguardare ogni magistrato, in qualunque posizione si trovi.
Per i magistrati collocati temporaneamente fuori ruolo per l’esercizio di un mandato elettivo o di un incarico politico, ha aggiunto la Corte, è rimesso comunque al prudente apprezzamento della Sezione disciplinare stabilire in concreto se la loro condotta possa legittimamente incontrare la vita di un partito o se costituisca invece illecito disciplinare, meritando un’appropriata sanzione.
Di seguito il Comunicato Stampa della Corte Costituzionale:
MAGISTRATI IN POLITICA: TENERE DISTINTO L’ELETTORATO PASSIVO DALL’ORGANICO SCHIERAMENTO CON UN PARTITO
Non è contraddittorio né lesivo dei diritti politici consentire ai magistrati di partecipare, a certe condizioni, alla vita politica, candidandosi alle elezioni o ottenendo incarichi di natura politica, e al tempo stesso prevedere come illecito disciplinare la loro iscrizione a partiti politici nonché la partecipazione sistematica e continuativa all’attività di partito.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 170 (relatore Nicolò Zanon), dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento alla disposizione che prevede l’illecito disciplinare in questione (articolo 3, comma 1, lettera h, del decreto legislativo n. 109 del 2006). A sollevare la questione era stata la Sezione disciplinare del Csm sostenendo la violazione degli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione. Secondo la Corte, bisogna preservare il significato dei principi costituzionali di indipendenza e imparzialità quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica.
L’illecito disciplinare dell’iscrizione o della partecipazione sistematica e continuativa ai partiti politici è un saldo presidio di questi due principi e come tale non può che riguardare ogni magistrato, in qualunque posizione si trovi. Ciò non significa disconoscere che la rappresentanza politica, nella Costituzione repubblicana, è in linea di principio rappresentanza attraverso i partiti politici. Ma per i magistrati deve rimanere salda la distinzione tra esercizio dell’elettorato passivo e organico schieramento con una delle parti politiche in gioco.
Per i magistrati collocati temporaneamente fuori ruolo per l’esercizio di un mandato elettivo o di un incarico politico, ha aggiunto la Corte, è rimesso comunque al prudente apprezzamento della Sezione disciplinare stabilire in concreto se la loro condotta possa legittimamente incontrare la vita di un partito o se costituisca invece illecito disciplinare, meritando un’appropriata sanzione.
Nella sentenza si legge, fra l’altro, che mentre l’iscrizione al partito politico è “fattispecie rivelatrice, come si è detto, di una stabile e continuativa adesione del magistrato a un determinato partito politico”, il cui “oggettivo disvalore non è suscettibile di attenuazioni”, la valutazione sui requisiti di sistematicità e continuatività della partecipazione del magistrato alla vita di un partito “esclude ogni automatismo sanzionatorio permettendo, al contrario, soluzioni adeguate alle peculiarità dei singoli casi.
E se tale rilievo vale, in generale, per tutti i magistrati, vale particolarmente per coloro, tra di essi, che siano collocati in aspettativa per soddisfare i diritti fondamentali garantiti dall’articolo 51 della Costituzione”.
Roma, 20 luglio 2018
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale 170/2018