Nell’accertamento dell’infiltrazione mafiosa di un Comune, con il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale, la valutazione dell’Amministrazione, nella sua ampia discrezionalità, è totalmente distinta da quella che deve effettuare il giudice penale.
Il Comune può essere sciolto per infiltrazioni mafiose anche se già sciolto per dimissioni.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3828/2018, riflette sulla natura del potere di scioglimento per infiltrazioni mafiose, sui suoi presupposti e sul conseguente tipo di sindacato del giudice amministrativo sugli stessi presupposti. (Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3828)
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto utile richiamare i principi che la giurisprudenza del giudice amministrativo e, ancora prima, quella del giudice delle leggi, hanno enunciato con specifico riferimento all’ipotesi di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori comunali con la criminalità organizzata locale ovvero al condizionamento dei primi ad opera della seconda, e sulla loro valutazione all’interno del Decreto di scioglimento.
La finalità dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose
Il Consiglio di Stato ha richiamato l’insegnamento della Corte costituzionale 19 marzo 1993, n. 103, per cui lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, per i quali siano emersi collegamenti con i fenomeni mafiosi, è volto ad evitare che il loro permanere alla guida degli enti esponenziali delle comunità locali sia di pregiudizio per i legittimi interessi di queste stesse comunità.
A differenza della valutazione che fa il giudice penale nel valutare i fatti di mafia, l’Amministrazione procedente ha la finalità differente di salvaguardare l’amministrazione dell’ente locale, senza alcuna valenza sanzionatoria nei confronti dell’ente locale medesimo o dei suoi esponenti politici.
La differenza tra le valutazioni del giudice penale e quelle sullo scioglimento dell’Ente, e la loro autonomia.
Il giudice delle leggi ha anche precisato che il potere di scioglimento in questione deve essere esercitato in presenza di situazioni di fatto che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive e con il supporto di adeguata motivazione; tuttavia, la presenza di risultanze obiettive esplicitate nella motivazione, anche ob relationem, del provvedimento di scioglimento non deve coincidere con la rilevanza penale dei fatti, né deve essere influenzata dall’esito degli eventuali procedimenti penali. Detta misura, ai sensi dell’art. 143, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96; id. 7 dicembre 2017, n. 5782).
In questa logica che non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, trovano giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione.
Detto in altre parole, la Prefettura e il Ministero dell’Interno hanno la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.
Ciò mediante indici concreti, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni, ecc..
E ciò anche quando il valore indiziario dei dati non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo assi portanti della valutazione di scioglimento, da un lato, l’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale.
Un provvedimento di carattere straordinario, con ampi margini di discrezionalità
Lo scioglimento dell’organo elettivo, si legge nella sentenza in commento, si connota quale “misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria”; di conseguenza sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell’Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori.
Ne consegue, perciò, che lo scioglimento può adottarsi anche per “situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata”, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l’avvio dell’azione penale o, almeno, per l’applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità.
E ciò poiché la finalità perseguita dal legislatore è quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, anche in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo.
In sostanza, il provvedimento di scioglimento degli organi comunali deve essere la risultante di una ponderazione comparativa tra valori costituzionali parimenti garantiti, quali l’espressione della volontà popolare, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei principi di libertà, uguaglianza nella partecipazione alla vita civile, nonché di imparzialità, di buon andamento e di regolare svolgimento dell’attività amministrativa, rafforzando le garanzie offerte dall’ordinamento a tutela delle autonomie locali.
Il controllo del giudice amministrativo sul provvedimento di scioglimento dell’ente locale
Alla luce di quanto sopra si spiega, secondo il Consiglio di Stato, perché – nell’ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose – l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, considerato che non si richiede né che la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, dimostrandosi sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere un collegamento tra l’Amministrazione e i gruppi criminali.
Conseguentemente, il sindacato del giudice amministrativo sulla ricostruzione dei fatti e sulle implicazioni desunte dagli stessi non può quindi spingersi oltre il riscontro della correttezza logica e del non travisamento dei fatti, essendo rimesso il loro apprezzamento alla più ampia discrezionalità dell’autorità amministrativa (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2014, n. 4845). Il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza quindi come estrinseco, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine perseguito. (Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96).
Ne consegue che in sede giurisdizionale non è dunque necessario, né possibile, un puntiglioso e cavilloso accertamento di ogni singolo episodio, più o meno in sé rivelatore della volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né delle responsabilità personali, anche penali, di questi ultimi (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266).
Ciò in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura stessa.
E questo anche perché, come chiarito già dalla sentenza, sono idonee a costituire presupposto per lo scioglimento dell’organo comunale anche situazioni che, di per sé, non rivelino direttamente, né lascino presumere, l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata.
Il giudice amministrativo non può attenzionare ogni singolo episodio della relazione prefettizia, ma la valutazione nel suo insieme
Premessi i principi generali sul tipo di controllo effettuabile, il Consiglio di Stato chiarisce che non è essenziale verificare la fondatezza di tutti gli addebiti, in particolare di quelli nei confronti dell’ex sindaco.
E questo perché, se anche non tutti questi elementi dimostrassero, singolarmente, la compromissione delle funzioni organizzative e dell’imparziale andamento dell’amministrazione per effetto dell’influenza mafiosa, non per questo verrebbe meno la correttezza del giudizio espresso circa il distorto andamento della Pubblica amministrazione, a cagione dell’influenza mafiosa, sulla base del loro complessivo esame, in una valutazione unitaria e non frazionata delle dinamiche sottese all’agere pubblico nel contesto locale di riferimento.
Nel caso del Comune sciolto, continua il Consiglio di Stato, oltre alle innegabili influenze di alcune famiglie mafiose sull’esito delle elezioni, assumono carattere assorbente due episodi:
- Il trasferimento di competenze, che prima erano degli impiegati comunali, a giovani professionisti, che il Prefetto afferma essere privi di esperienza nella Pubblica amministrazione. L’affidamento a professionisti fiduciariamente incaricati può fare fondatamente pensare ad un comodo strumento per controllare meglio la gestione di alcuni settori di particolare interesse.
- L’avocazione in capo al Sindaco di diversi compiti di amministrazione attiva presso l’Ufficio tecnico: in capo ad una sola persona, il Sindaco, si sono assommate – direttamente o per il tramite di professionisti di fiducia – funzioni di gestione della macchina dell’ente locale in settori di non poco rilievo.
Rileva infine il Consiglio di Stato che tali elementi nella relazione prefettizia sono da soli sufficienti a supportare la decisione di applicare la misura di rigore prevista dall’art. 143, t.u. n. 267 del 2000, rappresentando lo scioglimento del consiglio comunale la risultante di una complessiva valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, 1) dall’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata; dall’altro, 2) dalla carente funzionalità dell’ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.
La possibilità di scioglimento per mafia di un Comune già sciolto per dimissioni
Infine il Consiglio di Stato chiarisce che è possibile procedere allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa anche dopo l’avvenuto scioglimento per dimissioni, soprattutto nel caso in cui le stesse fossero state rassegnate dopo la nomina da parte del Prefetto, di una Commissione di accesso, incaricata di verificare se ci fosse una influenza malavitosa nella gestione amministrativa del Comune.
Diversamente opinando, infatti, le dimissioni costituirebbero un facile escamotage per paralizzare l’indagine prefettizia e consentire nella nuova tornata elettorale agli stessi candidati, sospettati di vicinanza agli ambienti malavitosi, di ripresentarsi, forti della disinformazione della cittadinanza locale.
In allegato la sentenza integrale Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3828.
Sull’argomento dei presupposti dello scioglimento del Consiglio Comunale, si veda anche il Consiglio di Stato, n. 3170/2017