Nelle procedure pubbliche, come le gare d’appalto o i concorsi pubblici, bisogna distinguere tra le violazioni della regola dell’anonimato imputabili ai concorrenti e quelle imputabili all’amministrazione procedente: nel primo caso bisogna provare l’intenzionalità dei segni di riconoscimento, nel secondo caso è la violazione in sé a rendere illegittima la procedura, (Cons. Stato, sez. III, 17 luglio 2018, n. 4331)
Il Consiglio di Stato, alla luce dei principi dell’Adunanza Plenaria 26/2013, chiarisce le conseguenze giuridiche dei segni di riconoscimenti in una procedura di selezione pubblica, dove la regola fondamentale è quella dell’anonimato.
Infatti il criterio dell’anonimato in generale in tutte le pubbliche selezioni – costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza, nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati.
Le ipotesi di violazione dell’anonimato imputabili al concorrente cha ha apposto dei segni di riconoscimento e quella delle violazioni imputabili all’Amministrazione che ha reso possibile il riconoscimento
Come evidenziato dall’Adunanza Plenaria 26/2013, occorre distinguere due differenti ipotesi in cui, nell’ambito delle pubbliche selezioni, viene in rilievo la violazione della regola dell’anonimato posta a garanzia del principio di imparzialità dell’azione amministrativa.
Il primo caso è quello di di controversie innescate dalla esclusione (o meno) da procedure concorsuali di candidati che abbiano apposto al proprio elaborato segni di riconoscimento.
Al riguardo, la giurisprudenza è costante nell’affermare che la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo e assoluto da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento, perché se così fosse sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi per esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca una particolare modalità di stesura.
Al contrario, ricorda il Consiglio di Stato, è necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il suo elaborato. In tali ipotesi, l’annullamento di un elaborato per riconoscibilità dell’autore ne presuppone l’intenzionalità, che va desunta, per via indiretta o presuntiva, dalla natura in sé dell’elemento riconoscibile e dalla sua suscettività oggettiva di comportare la riferibilità dell’elaborato stesso a un determinato soggetto.
Nella diversa ipotesi, in cui la mancata osservanza della regola dell’anonimato è addebitabile all’Amministrazione nel contesto di una selezione comparativa, l’orientamento prevalente considera invece tale violazione rilevante in sé, senza che sia necessario (per inferirne la illegittimità) ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli.
Il caso dei segni di riconoscimento apposti dal concorrente: occorre provare l’idoneità e l’intenzionalità
Qualora il preteso segno di riconoscimento sia imputabile al concorrente, sono due, dunque, gli elementi da cui eventualmente evincere la violazione della regola dell’anonimato: l’idoneità del segno di riconoscimento ed il suo utilizzo intenzionale.
Per quanto riguarda l’idoneità del segno di riconoscimento il Collegio ricorda che a rilevare non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato attraverso un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione, e ciò ricorre quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente e incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta.
Insomma, prosegue la sentenza, non è rilevante che in concreto la Commissione o singoli componenti di essa siano stati o meno in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato.
Dall’altro lato, come detto, occorre provare l’uso intenzionale del segno di riconoscimento. E’ da escludere un automatismo tra astratta possibilità di riconoscimento e violazione della regola dell’anonimato, dovendo emergere elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il proprio elaborato (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, n. 5137/2015; V, n. 202/2014 e n. 652/2018).
Il caso del codice alfanumerico difforme dallo standard
Venendo alla vicenda concreta prospettata, il Consiglio di Stato ha ritenuto non esistente la prova di un uso intenzionale del segno di riconoscimento.
Il concorrente di una procedura di gara aveva utilizzato un codice alfanumerico difforme da quello standard, inserendo una cifra (zero) in più nella busta.
Seppure tale codice alfanumerico difforme poteva essere, in astratto, idoneo a violare la regola dell’anonimato in quanto segno di riconoscimento, non sembrano, a parere del Consiglio di Stato, emergere nella vicenda elementi idonei a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del raggruppamento risultato vincitore di rendere riconoscibile la propria offerta.
A ragione, concludono i giudici di appello, il TRGA ha ricondotto tale irregolarità ad un mero lapsus calami in cui è incorso il concorrente, e non ad un segno idoneo a consentirne, intenzionalmente, l’identificazione.
In allegato Cons. Stato, sez. III, 17 luglio 2018, n. 4331