Secondo il Tar Campania, l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.
Per questo motivo non può essere coperta da queste garanzie la dipendente pubblica che segnala gli atti persecutori subiti da una sua dirigente.
Poco dopo che l’ANAC nella sua relazione al Parlamento del 2018 ha lamentato il sempre più distorto utilizzo dell’istituto del whistleblowing, in relazione a materie che sono totalmente fuori dal sui ambito di applicazione, cominciano ad arrivare le sentenze su questi casi di whistleblowing su fatti meramente personali.
In particolare, nel caso deciso dalla sentenza del Tar Campania (sez. VI, 8 giungo 2018, n. 3880) all’interno di un processo per l’accesso ai documenti amministrativi, si sosteneva che dei documenti, dove una dipendente pubblica denunciava i comportamenti scorretti di una dirigente, non potevano essere accessibili perché tutelati dalla normativa sul c.d. “whistleblowing”.
Si applicherebbero le disposizioni dell’articolo 54-bis d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 che, al fine di tutelare il dipendente pubblico che segnali illeciti, garantiscono l’anonimato del denunciante e sottraggono ad accesso la segnalazione dell’illecito.
Le garanzie di anonimato di cui alla disciplina del whistleblowing non può comportare irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”.
Nel caso di specie si voleva sottrarre all’accesso un esposto realizzato nei confronti di una dirigente da una dipendente, che sosteneva di avere subito degli atti persecutori, nonché l’identità dei soggetti sentiti in sede ispettiva in ordine alla vicenda degli atti persecutori.
Tale tipo di fatti, secondo il Tar Campania, non sono però riconducibili alla normativa dell’articolo 54-bis citata; la disposizione in questione infatti si riferisce ad una fattispecie diversa che è quella del dipendente pubblico che, essendo venuto a conoscenza per ragioni di ufficio della commissione di illeciti da parte di altri dipendenti, pur essendo esposto al rischio di possibili ritorsioni, si risolva a segnalare tali illeciti “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” denunciandoli al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza … ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o …all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile.
In tale caso il dipendente (cd. whistleblower) è tutelato dalla norma dell’articolo 54-bis da ritorsioni, in primo luogo garantendo il suo anonimato e (tra l’altro) sottraendo ad accesso la segnalazione dell’illecito.
Nel caso dell’esposto nei confronti degli atti persecutori, la segnalante non ha agito a tutela dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione ma a tutela dei diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro asseritamente lesi dalla ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto che la vede opposta a quest’ultima; in sostanza l’esposto in questione si inserisce in una “ordinaria” controversia di lavoro; se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori scaturita da situazioni di conflitto con i superiori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”.
Inoltre, osservano i giudici campani, nella fattispecie è anche evidente che non esiste alcuna esigenza di garantire l’anonimato di un denunciante (la cui identità è ben nota a tutte le parti).
Sintomatico è che le circolari emanate in materia abbiano chiarito che le “le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” (cfr. ad es. la Circ. 28 luglio 2015, n. 64 dell’I.N.A.I.L. o la Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S.).
In definitiva, conclude la sentenza, l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.
In allegato Tar Campania – Napoli, sez. VI, 8 giungo 2018, n. 3880