Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che l’inibizione all’esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittima ove fondata sull’abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta.
Il Consiglio di Stato (Cons. Stato, 29 maggio 2018, Sez. V, n. 3212) chiarisce la natura del rapporto che esiste tra autorizzazioni commerciali e il rispetto della conformità edilizia dei locali dove l’attività è svolta.
La giurisprudenza in materia di attività commerciali in immobili abusivi
A parere del Consiglio di Stato, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011 n. 5537 e id., V, 8 maggio 2012, n. 5590).
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere.
Ne consegue il potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
Il superamento della distinzione tra le ragioni di ordine urbanistico e quelle della materia del commercio
La sentenza in commento dà atto che è stato superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380).
Tale revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.
Il Collegio conclude pertanto per confermare la regolarità urbanistico edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi.
Così si è affermato che la stretta connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico – edilizia (Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639).
Tale affermazione, conclude il Collegio, trova del resto riscontro nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
Alla luce di quanto sopra, i giudici amministrativi sanciscono che la carenza di permesso di costruire impedisce che i locali che si trovano all’interno dell’immobile interessato dal provvedimento di annullamento del titolo abilitativo edilizio siano adibiti ad attività commerciali.
In allegato Cons. Stato, 29 maggio 2018, Sez. V, n. 3212