Atti di organizzazione della PA: discrezionalità amplissima

Negli atti di organizzazione della PA esiste una discrezionalità estremamente pronunciata, e per contro l’onere di motivazione è ridotto: ciò comporta che il sindacato giurisdizionale è limitato alle ipotesi di abnormità conclamata ed evidente.

Il Consiglio di Stato respinge definitivamente le contestazioni dell’ex avvocato comunale contro l’atto di un Comune che aveva soppresso l’avvocatura civica dell’ente comunale, per affidare il contenzioso a legali esterni, a partire da considerazioni sul grande margine di discrezionalità dell’ente pubblico in materia di atti di macro organizzazione (Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5143)

Gli atti organizzativi delle Pubbliche Amministrazioni: natura e discrezionalità

I giudici di Palazzo Spada premettono che la determinazione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici pubblici (con l’individuazione di quelli di maggiore rilevanza, dei modi di conferimento della relativa titolarità e di determinazione delle dotazioni organiche complessive) è rimessa – sulla base di “principi generali” fissati dalla legge – a ciascuna amministrazione pubblica, che vi provvedere mediante “atti organizzativi” (cfr. artt. 2 e 5 d. lgs. n. 165/2001).

Tali atti organizzativi sono complessivamente ispirati a criteri di funzionalità, flessibilità, trasparenza ed imparzialità, idonei a tradurre e compendiare, in prospettiva programmatica, i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità (art. 97 Cost.) e a perseguire la complessiva efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/1990).

Il Consiglio di Stato non dubita che tali “atti organizzativi” rientrino pienamente nel novero del provvedimenti amministrativi e siano, in quanto tali, soggetti al relativo statuto, il quale ne impone la complessiva verifica di legittimità, la soggezione alle norme sulla competenza, il rispetto dei canoni di ragionevolezza, la garanzia di imparzialità e ne legittima il corrispondente sindacato giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, anche in punto di adeguatezza delle premesse istruttorie e di idoneità giustificativa sul piano motivazionale.

Tuttavia, è vero, tuttavia, che gli ampi margini della scolpita logica di auto organizzazione postulano ed impongono, per tradizionale e consolidato intendimento, il riconoscimento di una lata discrezionalità programmatica.

Secondo la sentenza in commento sussiste, nella adozione dei provvedimenti in questione, una discrezionalità che, per un verso ridimensiona, pur senza elidere, l’intensità dell’onere motivazionale e, per altro e consequenziale verso, limita il sindacato giudiziale alle ipotesi di conclamata ed evidente abnormità.

Ne consegue la riforma della sentenza del Tar in primo grado, che, annullando la delibera di macro-organizzazione del comune, ha obiettivamente travalicato i limiti di un sindacato estrinseco di legalità, di fatto sovrapponendosi ad una opzione organizzativa di per sé né arbitraria, né irragionevole, né sproporzionata, ove confrontata con i canoni di funzionalità e flessibilità (art. 2 d. lgs. n. 165/2001 cit.).

I motivi dell’ampia discrezionalità: le ridotte esigenze garantistiche e la posizione di minore importanza del privato

Le suddette conclusioni del Consiglio di Stato sono motivate dal rilievo che – pur essendo anche l’attività amministrativa organizzativa assoggettata al principio di legalità (art. 97 Cost., nella parte in cui postula una base legale ad ogni attribuzione competenziale) – i relativi procedimenti (di matrice caratteristicamente infrastrutturale o interna o programmatoria) non sono destinati ad incidere, se non in via mediata, sulle posizioni soggettive dei consociati, in quanto destinatari dell’azione amministrativa.

Ciò significa che a livello macroorganizzativo, l’amministrazione non entra in relazione diretta con i titolari di situazioni giuridiche soggettive, ma crea soltanto presupposti alla instaurazione di rapporti giuridicamente rilevanti con tali soggetti. Ne risulta corrispondentemente attutito (se pur non eliso, non trattandosi propriamente di autonomia) il profilo garantistico del momento giustificativo, che legittima – come tale – un sindacato limitato al travisamento del fatto o al manifesto eccesso di potere.

In siffatto contesto, osserva la sentenza, anche l’Avvocatura Comunale, malgrado le consistenti guarentigie rivenienti dalla legge professionale in relazione alla qualificata attività dispiegata, rappresenta a tutti gli effetti un ufficio comunale e, come tale, è soggetto al generale potere di auto-regolamentazione dell’ente.

Redazione

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