Secondo la Corte di Giustizia, il rito appalti, che prevede un onere di immediata impugnazione per contestare ammissioni ed esclusioni, è conforme alle Direttive Europee, ma solo se il provvedimento di ammissione/esclusione è stato comunicato insieme ad una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che gli interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’unione europea.
La Corte di Giustizia Europea risponde al quesito del Tar Torino sulla conformità alle direttive europee del rito appalti, e in particolare dell’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle gare.
Nel procedimento erano intervenute diverse associazioni di avvocati amministrativisti, che hanno contestato la compatibilità tra il rito super accelerato e le direttive europee. Tra le associazioni intervenienti anche Amministrativisti.it, difesa dallo Studio Giurdanella&Partners.
L’Ordinanza del 14 febbraio 2019, pur ammettendo la conformità al diritto UE della normativa italiana, pone il problema dell’effettiva conoscenza, da parte dei partecipanti ad una gara di appalto, dei motivi di illegittimità del provvedimento, che sarebbero onerati a impugnare subito.
La necessità di potere conoscere dell’illegittimità del provvedimento
Secondo la Corte di Giustizia, il rito appalti, che prevede un onere di immediata impugnazione per contestare ammissioni ed esclusioni, è conforme alle Direttive Europee, ma solo se il provvedimento di ammissione/esclusione è stato comunicato insieme ad una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che gli interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’unione europea
Insomma, secondo costante giurisprudenza della Corte, infatti, l’efficacia del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta presuppone che l’interessato possa conoscere la motivazione su cui si fonda la decisione adottata nei suoi confronti, vuoi in base alla lettura della decisione stessa vuoi a seguito di comunicazione della motivazione effettuata su sua richiesta, al fine di consentirgli di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il giudice competente, nonché per porre pienamente in grado quest’ultimo di esercitare il controllo sulla legittimità della decisione nazionale in questione.
Infatti, continua la Corte, ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici possono essere unicamente garantiti qualora i termini imposti per proporre tali ricorsi inizino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente abbia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza della presunta violazione di dette disposizioni.
Ne consegue che spetta ai giudici dello Stato verificare se un operatore economico sia effettivamente venuto a conoscenza, grazie alla comunicazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice del provvedimento di ammissione o di esclusione, dei motivi di illegittimità del suddetto provvedimento.
Occorrerà un giudizio concreto, vertente sull’effettiva possibilità del concorrente di proporre un ricorso, perché è stato effettivamente messo in condizione di farlo: solo in questo caso decorrono i 30 giorni di tempo.
La CGE aggiunge che il giudice italiano dovrà garantire che l’applicazione combinata delle disposizioni dell’articolo 29 e dell’articolo 53, commi 2 e 3, del codice dei contratti pubblici, che disciplinano l’accesso alla documentazione delle offerte e la sua divulgazione, non escludesse del tutto la possibilità di una tale conoscenza.
Le massime della Corte di Giustizia, in risposta ai quesiti del Tar Piemonte
“La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata.
La direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2014/23, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di 30 giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l’illegittimità di tali provvedimenti nell’ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell’illegittimità dagli stessi lamentata“.