Lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa deve essere posto in essere solo laddove l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi dell’amministrazione locale sia fondatamente e univocamente percepibile, sulla base di dati fattuali e concreti, risolvendosi altrimenti l’applicazione della norma in un’inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali.
Tar Lazio, sez. I, 8 marzo 2019, n. 3101
Il Tar Lazio, con la sentenza 3101/2019, sembra invertire la tendenza rispetto ai decreti di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, richiedendo delle condizioni più rigorose.
Pertanto si è annullato il provvedimento di scioglimento di un comune pugliese, in particolare alla luce della presenza della Relazione del Prefetto di formule generiche e assertive, evocative di collegamenti e cointeressenze degli amministratori locali con la criminalità organizzata, non puntualmente correlate a dati fattuali e concreti.
Si ribadisce, inoltre, l’irrilevanza dei casi di cattiva gestione amministrativa, in carenza di prove dei collegamenti mafiosi.
Le condizioni previste dall’art. 143 TUEL per lo scioglimento del Comune
Le condizioni per lo scioglimento del Consiglio Comunale sono previste all’art. 143 TUEL, comma 1, per cui “…i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.
I giudici del Tar Lazio ricordano come tale provvedimento si connoti quale misura di carattere “straordinario” per fronteggiare un’emergenza “straordinaria”.
Nel relativo procedimento sono giustificati ampi margini nella potestà di apprezzamento dell’amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale.
Il carattere eccezionale del provvedimento di scioglimento del Comune
Se è vero che gli elementi concreti, univoci e rilevanti che legittimano il ricorso al rimedio ex art. 143 cit. non devono necessariamente ridondare in attività di rilievo penale, è pur vero che essi devono dimostrare, rimarca il TAR Lazio, quella consistenza e unidirezionalità necessarie a permettere una fondata percezione della loro forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata e dei conseguenti condizionamenti sull’attività amministrativa.
In altre parole, anche se il provvedimento non ha natura sanzionatoria ma preventiva, in ogni caso tale funzione “preventiva” non può limitarsi a legittimare una mera e generica operazione deduttiva e astratta, scollegata dai ricordati elementi concreti, univoci e rilevanti idonei a evidenziare una forma diretta o indiretta di condizionamento da parte della malavita organizzata.
Da questo punto di vista la sentenza si richiama ai precedenti del medesimo Tar Lazio, il quale ha rimarcato la natura dello scioglimento quale rimedio di “extrema ratio” volto a salvaguardare beni primari dell’intera collettività nazionale, messi in pericolo o compromessi dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata o dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dell’ordinamento.
Ne consegue che lo stesso obiettivo di ripristino delle condizioni di legalità che il legislatore assegna alla misura in presenza delle condizioni eccezionali tratteggiate dall’art. 143 TUEL, richiede che l’intervento sia posto in essere solo laddove l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi dell’amministrazione locale sia fondatamente e univocamente percepibile, risolvendosi altrimenti l’applicazione della norma in un’inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali.
L’irrilevanza degli episodi di mala gestione amministrativa
Secondo la sentenza, le diverse vicende menzionate dalla Relazione del Prefetto, come la l’affidamento, in violazione delle normativa di settore, dei lavori di efficientamento energetico, sono riconducibili a episodi di “mala gestione” amministrativa, non univocamente ascrivibili, sia nel momento genetico che nelle finalità, ai profili di connivenza con le cosche sociali o condizionamento mafioso.
I descritti episodi di irregolarità amministrativa risultano non inseriti in un quadro che consenta di collocarle, in modo univoco, come effetti di una situazione di connivenza o di condizionamento, che ad esse teleologicamente orienta l’attività amministrativa.
Tale collocamento è indispensabile a fini di distinguere i casi di vero e proprio collegamento e condizionamento da quelli, di attività amministrativa fortemente contrassegnata da illegittimità e/o illiceità.
E infatti la sentenza richiama il principio giurisprudenziale in base al quale le misure previste dall’art. 143 non costituiscono strumento generale a garanzia del corretto funzionamento dell’ente, ma uno strumento specifico per fronteggiare i malfunzionamenti dell’Amministrazione in conseguenza e in dipendenza di rapporti con la criminalità organizzata.