Marito e moglie nella stessa procedura: nessun divieto

La Corte Costituzionale, nel salvare la c.d. Legge Gelmini (240/2010) che non prevede anche il rapporto tra marito e moglie come motivo di incompatibilità nell’assegnazione degli incarichi a chiamata all’Università,  stabilisce che il rapporto di coniugio tra marito e moglie può e deve essere trattato diversamente da quello di parentela e affinità. Infatti sono diversi gli interessi da tutelare, tra i quali la tutela dell’unità familiare.

Corte Costituzionale, sentenza n. 78/2019

All’Università di Catania veniva nominata, per chiamata diretta, una professoressa che era moglie di un altro professore, appartenente allo stesso dipartimento che aveva chiesto l’attivazione della procedura.

Si è posto il problema dell’eventuale estensione del divieto, previsto dalla legge 240/2010 per parenti e affini fino al quarto grado, anche al caso dei coniugi, dato che in questo caso il livello di familiarità sarebbe della massima intensità.

Infatti all’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010 (c.d. Legge Gelmini),  non si prevede, tra le condizioni che impediscono la partecipazione ai procedimenti di chiamata dei professori universitari, il rapporto di coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata.

Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, pronunciatasi con la decisione n.78 del 9 aprile 2019, nel caso del rapporto tra marito e moglie vi sono una serie di considerazioni che rendono la questione diversa rispetto a quella della partecipazione dei parenti e degli affini alla stessa procedure, e ciò rende possibile al legislatore trattare diversamente il caso dei coniugi.

Vi è, in particolare,  la tutela dell’ordinamento al principio dell’unità familiare.

Inoltre, si legge nella sentenza, un eventuale divieto potrebbe essere facilmente aggirato, dato che potrebbe essere eluso semplicemente non sposandosi.

L’Ordinanza di rimessione: la legge è irragionevole dove prevede l’ostatività del rapporto di affinità e non il coniugio

La sentenza della Corte Costituzionale muove dall’Ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, il quale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), nella parte in cui non prevede – tra le condizioni che impediscono la partecipazione ai procedimenti di chiamata dei professori universitari – il rapporto di coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

Tale disposizione normativa vieta la partecipazione ai procedimenti di chiamata di coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la stessa chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo, ma non prevede espressamente il rapporto di coniugio

Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost. per l’irragionevolezza insita nella mancata previsione del rapporto di coniugio tra le situazioni ostative alla partecipazione alle procedure selettive, a fronte della espressa previsione del rapporto di affinità, il quale presuppone il rapporto coniugale.

Sarebbe violato anche l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa.

La distinzione tra parenti, affini e coniugi è ragionevole, perché il matrimonio richiede un altro bilanciamento degli interessi in gioco

Secondo la Corte Costituzionale, la norma è legittima anche se non prevede il coniugio tra le condizioni che precludono la partecipazione ai procedimenti di chiamata.

La Consulta premette che la previsione dei divieti citati serve a garantire l’imparzialità delle procedure. Attraverso la previsione di limitazioni riferite alla situazione soggettiva dei possibili candidati, la legge n. 240 del 2010 ha inteso rafforzare, in termini assoluti e preclusivi, le garanzie di imparzialità della scelta dell’amministrazione.

Il fatto che essa non includa il coniugio come motivo di incandidabilità degli aspiranti alla chiamata non può ritenersi, pertanto, irragionevole.

Secondo la sentenza, il coniugio richiede un diverso bilanciamento, poiché esso pone a fronte dell’imparzialità non soltanto il diritto a partecipare ai concorsi, ma anche le molteplici ragioni dell’unità familiare, esse stesse costituzionalmente tutelate.

Le peculiarità del rapporto matrimoniale rispetto alle altre condizioni di parentela ed affinità

Devono essere tenute presenti, si legge nel provvedimento, le peculiarità del vincolo matrimoniale rispetto a tutte le altre situazioni personali contemplate dalla disposizione censurata.

In particolare, il matrimonio scaturisce di frequente da una relazione che, nell’università come altrove, si forma nell’ambiente di lavoro dove si radicano le prospettive future di entrambe le parti. Si caratterizza per l’elemento volontaristico, viceversa mancante negli altri rapporti considerati, e comporta convivenza, responsabilità e doveri di cura reciproca e dei figli, così come previsto dal codice civile.

La considerazione di tali elementi differenziali vale a giustificare, su un piano di ragionevolezza, il trattamento riservato dalla disposizione censurata al vincolo derivante dal matrimonio. Se, da un lato, la comune residenza coniugale costituisce elemento di garanzia dell’unità familiare, dall’altro lato, la presenza dell’elemento volontaristico può rendere eludibile e, quindi, priva di effetti, la eventuale previsione normativa dell’incandidabilità del coniuge, frustrandone così le stesse finalità.

Appare dunque più aderente alle esigenze qui in gioco un bilanciamento che affidi la finalità di garantire l’imparzialità, la trasparenza e la parità di trattamento nelle procedure selettive a meccanismi meno gravosi, attinenti ai componenti degli organi cui è rimessa la valutazione dei candidati

È inoltre significativo, osservano i giudici costituzionali,  che in altri sistemi giuridici vicini al nostro, da un lato, vengono promossi percorsi accademici che favoriscono l’unità familiare, e dall’altro lato,  l’esigenza di preservare l’accesso alla carriera accademica da possibili condizionamenti è soddisfatta attraverso meccanismi diversi dalla drastica previsione dell’incandidabilità.

L’attuale regolazione delle situazioni che precludono la partecipazione alle procedure di chiamata costituisce, dunque, il risultato di un bilanciamento non irragionevole tra la pluralità degli interessi in gioco. La disposizione censurata non si pone, secondo la sentenza 78/2019, in contrasto con il parametro di cui all’art. 3 Cost., né lede i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

Redazione

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