La precedente irrogazione di penali contrattuali, così come la mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali, non integra di per sé la violazione dei doveri professionali e non costituisce prova di grave negligenza, perché spetta alla stazione appaltante dimostrare l’esistenza di un grave illecito professionale e l’inaffidabilità dell’impresa concorrente, a partire da tali penali.
Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2019, n. 2794
La Sesta sezione del Consiglio di Stato (n. 2794/2019) si pronuncia sulla rilevanza delle precedenti penali contrattuali come grave illecito professionale.
I giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che non può essere esclusa l’impresa a partire dalla mancata dichiarazione di precedenti penali contrattuali.
Anche indipendentemente dalla contestazione giudiziale dell’applicazione delle penali contrattuali, queste ultime da sole non offrono alcun elemento per considerare che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, cui esse si ricollegano, costituisca errore grave nell’esercizio dell’attività professionale, tale da configurare un grave illecito professionale.
La rilevanza delle penali ai fini dell’esclusione per gravi illeciti penali
Nella dichiarazione dell’impresa esclusa sui fatti configuranti gravi illeciti professionali non venivano menzionate le penali irrogate dal Comune, omissione che, unitamente alla loro irrogazione, è stato posto a fondamento dell’impugnata esclusione dalla gara.
L’art. 80 del Codice Appalti stabilisce al comma 5, lett. c), che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico, qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità” ed alla lett. c-ter) qualora “l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.
Con riferimento alle “altre sanzioni comparabili”, si è fatto riferimento nella prassi alle penali contrattuali nel corso dell’esecuzione di precedenti appalti pubblici (in particolare nelle Linee Guida Anac sui gravi illeciti professionali).
Tuttavia, precisa il Consiglio di Stato, la mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali non integra di per sé la violazione dei doveri professionali e non costituisce prova di grave negligenza, così definita dal legislatore dapprima con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006, e rinnovato dall’art. 80 comma 5 lett. c) e c-ter), poiché l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale o comunque “grave negligenza”.
Ne consegue che è illegittimo il provvedimento di esclusione che menzioni l’applicazione delle penali senza specificarne l’ammontare minimo, ed indicando quale presupposto asserite “manchevolezze” senza alcun effettiva motivazione al riguardo anche con riferimento alla loro eventuale gravità.
Infatti l’irrogazione di penali nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, si legge nella sentenza, non può costituire di per sé ed automaticamente, soprattutto in mancanza di altri elementi significativi, un sintomo di grave errore professionale, potendo l’inadempimento derivare – non irragionevolmente – anche da una serie di più svariati comportamenti di soggetti terzi oppure anche da eventi esterni
Il valore economico delle penali e l’inadempimento per causa non imputabile all’operatore economico
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha sottolineato l’importo delle “penali” di cui si discuteva era in assoluto minimo, visto che investiva l’1% del valore dell’affidamento, e non poteva pertanto concretizzare comunque alcuna grave negligenza da denunciare nelle domande di partecipazione ad altre gare pubbliche.
Le penali sotto il valore dell’un per cento sono irrilevanti, come risultante dalla Linee guida dell’Anac aggiornare (secondo cui le stazioni appaltanti devono comunicare all’Autorità ai fini dell’iscrizione nel Casellario informatico, di cui all’art. 213 comma 10 dello stesso codice, i provvedimenti di applicazione delle penali di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1% dell’imposto del contratto stesso).
In definitiva, conclude il Collegio, indipendentemente dalla contestazione giudiziale dell’applicazione delle penali contrattuali, queste ultime da sole non offrono alcun elemento per considerare che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, cui esse si ricollegano, costituisca errore grave nell’esercizio dell’attività professionale.
Il Collegio sottolinea, inoltre, che tale conclusione è rafforzata dal concreto funzionamento delle penali, secondo la disciplina civilistica.
La stessa pattuizione della clausola penale non sottrae il rapporto alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilità del debitore quando costui prova che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, sia determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, essendo connotato essenziale di tale clausola la sua connessione con l’inadempimento colpevole di una delle parti e non potendo, pertanto, essa configurarsi allorché sia collegata all’avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata, in termini Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2012, n. 7180).
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Si riporta di seguito il passaggio più significativo della sentenza
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7. L’appello è fondato e deve essere accolto alla stregua delle osservazioni che seguono, anche in considerazione del precedente di questa stessa Sezione n. 1346 de 25 gennaio 2018, relativa ad una controversia analoga e di cui era parte lo stesso appellante, precedente che, pur relativo all’applicazione del d. lgs. n. 163 del 2006, non è incompatibile con la previsione dell’art. 80 del d. lgs. 50 del 2016.
7.1. Il citato art. 80 stabilisce al comma 5, lett. c), che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico, qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità” ed alla lett. c-ter) qualora “l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.
Tali previsioni sono in realtà sostanzialmente sovrapponibili a quelle dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d. lgs. 163 del 2006, il quale prevedeva la non ammissione alle procedure di affidamento delle concessione e degli appalti di lavori, forniture e servizi ovvero inibiva l’affidamento di subappalti o ancora la stipulazione dei relativi contratti per coloro che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo da parte della stazione appaltante”.
La giurisprudenza, formatasi su tale ultima disposizione e che può trovare tuttora seguito anche con riguardo alle lett. c) e c-ter) dell’art. 80 del vigente codice dei contratti pubblici, ha sottolineato in primo luogo che il concorrente è tenuto ad una dichiarazione veritiera e completa, la quale sola può permettere di esprimere un giudizio sull’affidabilità professionale di una partecipante, giudizio che non può che essere di ampia portata discrezionale e quindi sindacabile dal giudice amministrativo nei soli limiti della evidente illogicità o irrazionalità o del determinante errore fattuale; è stato aggiunto che l’omissione di tale dichiarazione non consente infatti all’amministrazione di poter svolgere correttamente e completamente la valutazione di affidabilità professionale dell’impresa e fa assumere alla domanda di partecipazione resa in sede di gara la natura di dichiarazione non già incompleta, ma non veritiera e pertanto non sanabile con il soccorso istruttorio di cui all’art. 46 d. lgs. n. 163 del 2006 (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527).
E’ stato anche precisato che la stazione appaltante può ritenere la sussistenza dei gravi errori professionali anche in assenza di un accertamento giurisdizionale di tali errori e di una dichiarazione della P.A. che abbia pronunciato la risoluzione per inadempimento di quel rapporto, purché le pregresse violazioni contestate siano numerose e puntuali, come, per esempio, l’abbandono del servizio, la mancata effettuazione della raccolta indifferenziata e dell’organico, l’incasso di somme per servizi non resi, il mancato versamento degli oneri di discarica.
7.2. Nel caso il disciplinare di gara, parte III, art. 3, lett. c), obbligava i concorrenti a dichiarare di non essersi resi colpevoli di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la propria integrità o affidabilità, in ciò ricalcando la lettera dell’art. 80, comma 5, lett. c).
CITE in data 10 aprile 2017 ha prodotto dichiarazione, specificando che con determinazione del 6 Settembre 2016 l’A.U. di S.a.p.na. S.p.A. aveva disposto la risoluzione in danno del contratto di appalto concluso con il raggruppamento temporaneo costituito tra le imprese “EcoltecnicaSrl-Mag Gmbh e Consorzio C.i.t.e” e che avverso tale provvedimento era stata proposta impugnazione dinanzi al Tribunale amministrativo della Campania e giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Napoli per accertare l’illegittimità e l’insussistenza dei relativi presupposti; non venivano però menzionate le penali irrogate dal Comune di Orta di Atella, omissione che unitamente alla loro irrogazione è stato posto a fondamento dell’impugnata esclusione dalla gara.
Sennonché al riguardo va ricordato che questa Sezione con la sentenza n. 1346 del 2018 ha rilevato che la mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali non integra di per sé la violazione dei doveri professionali e non costituisce prova di grave negligenza, così definita dal legislatore dapprima con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006, e rinnovato dall’art. 80 comma 5 lett. c) e c-ter), poiché l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale o comunque “grave negligenza”; ciò tanto più quando, come nel caso di specie, il provvedimento di esclusione menzioni l’applicazione delle penali senza specificarne l’ammontare minimo ed indicando quale presupposto asserite “manchevolezze” (commesse nel servizio di gestione dei rifiuti in Orta di Atella) senza alcun effettiva motivazione al riguardo anche con riferimento alla loro eventuale gravità.
7.3. D’altra parte, anche a voler prescindere dalle deduzioni svolte dall’appellante, secondo cui il Comune di Orta di Atella si sarebbe esso stesso reso responsabile di gravi inadempimenti non provvedendo al pagamento delle fatture regolarmente emesse da CITE, la giurisprudenza, in sede di interpretazione dell’obbligo dichiarativo concernente le gravi negligenze professionali, ha fatto riferimento essenzialmente alla mancata indicazione delle risoluzioni contrattuali (ipotesi che pacificamente non ricorre nel caso di specie), così che l’irrogazione di penali nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale con il Comune di Orta di Atella non può costituire di per sé ed automaticamente, soprattutto in mancanza di altri elementi significativi, un sintomo di grave errore professionale, potendo l’inadempimento derivare – non irragionevolmente – anche da una serie di più svariati comportamenti di soggetti terzi oppure anche da eventi esterni (il che sotto altro concorrente profilo evidenzia il vizio di carenza di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo alle generiche “manchevolezze” addebitate.
7.4. Non può poi sottacersi che l’importo delle “penali” di cui si discute era in assoluto minimo, visto che investiva l’1% del valore dell’affidamento, e non poteva pertanto concretizzare comunque alcuna grave negligenza da denunciare nelle domande di partecipazione ad altre gare pubbliche, risultando contenuto nella sostanziale irrilevanza, come risultante dalla Linee guida dell’Anac aggiornare (secondo cui le stazioni appaltanti devono comunicare all’Autorità ai fini dell’iscrizione nel Casellario informatico, di cui all’art. 213 comma 10 dello stesso codice, i provvedimenti di applicazione delle penali di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1% dell’imposto del contratto stesso).
In definitiva, indipendentemente dalla contestazione giudiziale dell’applicazione delle penali contrattuali, queste ultime da sole non offrono alcun elemento per considerare che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, cui esse si ricollegano, costituisca errore grave nell’esercizio dell’attività professionale (essendo appena il caso di rilevare, del resto che, la stessa pattuizione della clausola penale non sottrae il rapporto alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilità del debitore quando costui prova che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, sia determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, essendo connotato essenziale di tale clausola la sua connessione con l’inadempimento colpevole di una delle parti e non potendo, pertanto, essa configurarsi allorché sia collegata all’avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata, in termini Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2012, n. 7180).