In caso di SCIA, il terzo che viene danneggiato dall’attività segnalata può sollecitare l’intervento dell’Amministrazione con poteri inibitori (entro 60 o 30 giorni), eccezionalmente con i poteri in autotutela (alle rigide condizioni previste dalla norma), oppure in alternativa utilizzare i normali rimedi civilistici.
Corte Costituzionale, sentenza n. 45/2019
Nel caso di Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.), la Corte Costituzionale ha chiarito che è stato previsto dal legislatore un ampio ventaglio di rimedi a favore del terzo, che si trova a essere danneggiato dall’attività segnalata.
L’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990 consente al privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di un’attività (se l’attività dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e se per questa medesima attività non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale).
L’attività oggetto di SCIA può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente, salvo il potere di quest’ultima di verificare successivamente l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti.
Il TAR Toscana tuttavia aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina della SCIA, sotto il profilo degli strumenti di tutela del terzo.
In particolare è stata denunciata l’incostituzionalità dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione.
Gli strumenti di tutela del terzo nei confronti della SCIA a partire dal 2011
Se prima del 2011 si discuteva sulla natura della segnalazione certificata e su quale fosse lo strumento di tutela del terzo danneggiato dalla SCIA (l’Adunanza Plenaria 15/2011 aveva concluso per il ricorso per silenzio della PA che non si era attivata esercitando il potere inibitorio) con il D.L 138/2011 il legislatore è intervenuto espressamente sull’argomento con il comma 6 ter dell’art 16 della legge 241/90 chiarendo che
a) la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili,
b) i terzi interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, comma 1, 2 e 3 del C.P.A. (azione avverso il silenzio).
Le verifiche alle quali si fa riferimento, chiarisce la Corte Costituzionale, sono quelle di cui al comma 3 dell’art. 19, che attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni (o in alcuni casi trenta) dalla presentazione della SCIA, mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990, e quindi non oltre i 18 mesi, e in presenza di un pubblico interesse alla rimozione dell’atto.
Secondo TAR Toscana, il legislatore, tuttavia, non ha precisato entro quale termine i privati possono sollecitare l’amministrazione a provvedere, creando una situazione di potenziale persistente incertezza: la diffida del testo dovrebbe ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione, violando l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, nonché con il generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.
Secondo la Corte Costituzionale, al contrario, è lo stesso art. 19 a prevedere rigide le tempistiche dell’intervento della PA, anche sollecitata dal terzo, con la conseguenza che :
“Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).
Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo”.
Tutte le possibilità di tutela del terzo danneggiato dalla SCIA
Si legge nella sentenza della Corte Costituzionale un interessante elenco degli strumenti di tutela attivabili dal privato.
Innanzi tutto quelli di cui si è appena detto, quindi i poteri inibitori (entro 60 giorni) e quelli in autotutela.
A parte questi, il terzo potrà attivare i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»).
Potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis.
Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (a questo proposito l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).
Inoltre, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.
I suggerimenti al legislatore della Corte Costituzionale
In ogni caso la normativa non è sicuramente perfetta, e la Consulta sottolinea l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.
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Di seguito si riporta il passaggio argomentativo della Corte Costituzionale n. 45/2019.
(…)
6.− Nel merito, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo.
Nulla dice la disposizione circa il termine entro cui va fatta la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.
Tale carenza, secondo il giudice a quo, non sarebbe colmabile in via interpretativa, come si desumerebbe dall’erroneità di tutte le tesi avanzate in proposito, e ciò esporrebbe la norma a dubbi di legittimità costituzionale.
7.− Certamente non sbaglia il TAR Toscana a ritenere che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell’affidamento del segnalante (sentenza n. 49 del 2016).
Non può invece condividersi la tesi del rimettente, secondo cui tali poteri sarebbero “altri” rispetto a quelli previsti dai commi precedenti e sempre vincolati, cosicché non sarebbe possibile mutuarne la disciplina.
7.1.− Come è noto, l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede che all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).
In particolare, il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, «[q]ualora sia possibile»; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990.
Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.
Il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, «restano […] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
8.− Ebbene, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.
8.1.− A tale conclusione si perviene anzitutto sulla base del dato testuale: la locuzione «verifiche spettanti all’amministrazione» lascia chiaramente intendere che la norma rinvia a poteri già previsti.
8.2.− Questa piana lettura testuale trova conferma, da una parte, nella genesi della disposizione censurata e, dall’altra, nella evoluzione del quadro normativo di riferimento.
Quanto al primo profilo, il comma 6-ter è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in aperta dialettica con la nota sentenza n. 15 del 2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento. Il riferimento alle «verifiche spettanti all’amministrazione», dunque, non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale alla sollecitazione da parte del terzo.
Quanto al secondo profilo, la diversa opzione ermeneutica seguita dal giudice a quo darebbe luogo ad una evidente incongruenza del sistema, per come si è evoluto a seguito della introduzione − ad opera della legge n. 124 del 2015 − del termine di esercizio dell’autotutela nell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, termine reso applicabile anche ai poteri di controllo sulla SCIA dall’art. 19, comma 4, della stessa legge: si avrebbe qui, infatti, un potere sempre vincolato, e quindi più incisivo, e purtuttavia temporalmente illimitato.
Più in generale, il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6-ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale (artt. 23, 97, 103 e 113 Cost.) e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del suo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio (sentenze n. 115 del 2011, n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982).
8.3.− Non meno evidente, infine, è l’incompatibilità della lettura proposta con l’istituto della SCIA, per come conformato dalla sua storia normativa e giurisprudenziale.
Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi.
Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere.
9.− Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).
Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.
10.− Questa conclusione, che, oltre che piana, è necessitata, non può essere messa in discussione dal timore del rimettente che ne derivi un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo.
10.1.− Il problema indubbiamente esiste, ma trascende la norma impugnata.
Esso va affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo.
In particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).
Al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.
Tutto ciò, peraltro, non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.
11.− Così ricostruita la portata della norma censurata, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Toscana non sono fondate.