Il 6 giugno 2019 il Presidente dell’ANAC Cantone ha presentato la relazione sull’anno 2018 dell’Autorità Anticorruzione, pronunciandosi anche sugli effetti del c.d. Decreto Sblocca-cantieri. L’Autorità auspica che al settore degli appalti sia dato quel minimo di stabilità e certezza delle regole, e non di continui cambiamenti che finiscono per disorientare gli operatori economici e i funzionari amministrativi.
Introduzione del Presidente Cantone
Anticorruzione, contratti pubblici, trasparenza e arbitrati bancari: su tutte le competenze per legge previste, il presidente dell’Anac rivendica gli aspetti positivi dell’operato dell’Autorità.
Gli appalti pubblici e lo sblocca cantieri
Con particolare riferimento ai contratti pubblici, il Presidente dell’ANAC sottolinea le peculiari sorti del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs 50/2016) : “Non credo di sbagliare nel dire che quanto accaduto su quel testo non ha molti precedenti nella storia del nostro Paese: adottato con grandi auspici e senza nemmeno particolari contrarietà, da un giorno all’altro è diventato figlio di nessuno e soprattutto si è trasformato nella causa di gran parte dei problemi del settore e non solo”.
Secondo l’ANAC, tuttavia, se è innegabile che da quell’articolato sono derivate delle criticità, ciò è dovuto soprattutto al fatto che è stato attuato solo in parte, mentre i suoi aspetti più qualificanti (la riduzione delle stazioni appaltanti, i commissari di gara estratti a sorte, il rating d’impresa) sono rimasti sulla carta.
Tant’è che, nota l’ANAC, dopo un periodo di calo, anche fisiologicamente collegato alle novità, negli ultimi due anni il mercato si è ripreso e le procedure sono aumentate.
Rispetto alla decisione di Governo e Parlamento di apportare profonde modifiche al sistema, in particolare con DL Sblocca Cantieri, l’Autorità ammette che le amministrazioni accolgono con favore il ritorno al regolamento attuativo in luogo delle linee guida dell’Autorità, abituate a regole rigide piuttosto che a criteri che richiedono l’esercizio di maggiore discrezionalità.
Su alcuni aspetti specifici del decreto, tuttavia, l’ANAC ritiene che qualche rilievo s’impone.
In particolare, per gli appalti sotto soglia, seppure ridimensionata rispetto ai 200 mila euro del testo originario, la previsione di una soglia abbastanza alta (150 mila euro) entro la quale adottare una procedura molto semplificata (richiesta di soli tre preventivi) aumenta certamente il rischio di scelte arbitrarie, se non di fatti corruttivi.
Una serie di opzioni legislative, secondo l’ANAC, sembrano più attente all’idea di “fare” piuttosto che “fare bene”: il ritorno dell’appalto integrato, l’aumento della soglia dei subappalti al 40%, la possibilità di valutare i requisiti per la qualificazione delle imprese degli ultimi 15 anni, le amplissime deroghe al codice concesse ai commissari straordinari.
La sospensione dell’albo dei commissari di gara per un biennio, infine, farebbe venir meno un presidio di trasparenza, oltre che rendere inutile il cospicuo investimento economico (500 mila euro circa) che l’Autorità ha sostenuto per applicare la disposizione.
Infine il Presidente Cantone auspica che al settore degli appalti sia dato quel minimo di stabilità e certezza delle regole, e non di continui cambiamenti che finiscono per disorientare gli operatori economici e i funzionari amministrativi.
Le conclusioni e gli auspici dell’ANAC: non tornare indietro come nel gioco dell’oca
A chiusura della sua introduzione, Cantone mette in guardia contro deregulation affrettate: “L’auspicio che chiude questo intervento è, quindi, quello di proseguire sulla strada intrapresa, evitando di rincorrere ricette banalizzanti, che sembrano perseguire l’obiettivo, non della condivisibile sburocratizzazione del sistema amministrativo, ma di una inaccettabile deregulation, già vista in opera nel Paese negli anni scorsi con risultati deleteri anche sul fronte della lotta alla corruzione. Tornare indietro, come nel gioco dell’oca, mentre il sistema italiano inizia a funzionare e viene preso a modello in altri Paesi, mentre la maggioranza degli Stati, compreso il Vaticano, sta facendo propria la politica di prevenzione, sarebbe difficilmente comprensibile.”
Di seguito si riporta il testo integrale della presentazione della Relazione Anac sull’anno 2018 al Parlamento:
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Autorità, Signore, Signori, sono trascorsi cinque anni da quando il Consiglio dell’ANAC si è insediato ed è quindi tempo di tracciare un bilancio dei risultati raggiunti ma anche di indicare le possibili prospettive future.
Mi sento di affermare che la cifra che ha caratterizzato il difficile lavoro dell’Autorità in questo periodo è stata certamente quella dell’apertura, della collaborazione e del confronto.
L’ottica perseguita è stata quella di affiancare e accompagnare le amministrazioni nei loro compiti di attuazione della nuova normativa, esercitando i poteri sanzionatori solo come extrema ratio.
Un’apertura che si è manifestata nella stesura di protocolli e convenzioni, nella partecipazione attiva ai dibattiti pubblici nelle sedi istituzionali e universitarie, nella redazione di segnalazioni a Governo e Parlamento, in approcci innovativi alle attività consultive e di regolazione, nell’utilizzo preferenziale di una forma alternativa di vigilanza, appunto definita come “collaborativa”.
Fra i rapporti avviati più di recente, per il valore strategico, desidero qui ricordare quello messo in campo con numerosi attori istituzionali per individuare criteri attendibili di misurazione della corruzione: un progetto ambizioso che, dopo la selezione degli esperti, sta già entrando nella fase operativa.
Un metodo di lavoro, quello sperimentato nel quinquennio, che viene riconosciuto all’estero – e lo dico con una punta di orgoglio – come il “modello italiano” della prevenzione della corruzione, che ha ricevuto numerosi apprezzamenti, fra cui quelli del GRECO (Consiglio d’Europa) e dell’OCSE.
Lo testimoniano anche i risultati particolarmente positivi dei twinning svolti per conto dell’Unione europea in Serbia e in Montenegro e delle tante missioni, organizzate con la proficua collaborazione del Ministero degli affari esteri, in cui i rappresentanti dell’Autorità hanno ricevuto importanti riconoscimenti da parte di esponenti di primissimo piano dei governi di Paesi stranieri.
Da ultimo, vorrei ricordare anche la prima presidenza della neo costituita rete delle autorità anticorruzione europee, nata sotto l’egida del Consiglio d’Europa, che già conta diciotto Stati aderenti.
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Prima di entrare nel vivo di questo mio intervento, vorrei indicare alcuni numeri riepilogativi delle attività svolte, rinviando per maggiori dettagli alle relazioni complete di quest’anno e degli anni precedenti pubblicate sul sito.
Da luglio 2014 a dicembre 2018, considerando tutti gli ambiti di propria competenza, l’Autorità ha aperto oltre 30.000 fascicoli istruttori, effettuando circa 200 verifiche ispettive, molte delle quali svolte con il prezioso apporto del Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza; ha reso oltre 3.150 pareri in materia soprattutto di contratti pubblici e stipulato 78 protocolli di vigilanza collaborativa, che hanno consentito di verificare più di 200 procedure di particolare rilevanza o impatto economico, cui vanno aggiunti ulteriori 10 accordi di alta sorveglianza su grandi eventi da cui sono scaturiti oltre 1.000 pareri elaborati dall’Unità Operativa Speciale, nata con EXPO ma poi divenuta una presenza strutturale.
Circa 2.000 sono state le sanzioni irrogate, ma in gran parte nel settore dei contratti pubblici in cui l’Autorità svolge la funzione di accertare infrazioni rilevate da altri (soprattutto stazioni appaltanti).
Numerosi sono stati anche gli atti a carattere generale adottati per dare indicazioni ad amministrazioni e stazioni appaltanti (oltre 60 tra piano nazionale anticorruzione, linee guida in varie materie, bandi-tipo e prezzi di riferimento) e ben 35 le segnalazioni a Governo e Parlamento per evidenziare disfunzioni e proposte di modifica normativa, segnalazioni che purtroppo quasi mai hanno avuto seguito.
Dai numeri in generale passiamo ora a un esame mirato delle attività svolte.
Il sistema di prevenzione della corruzione
In materia di prevenzione della corruzione, l’impianto normativo contenuto nella legge Severino del 2012 e nei decreti attuativi, dopo una prima, fisiologica, fase di metabolizzazione anche sotto il profilo culturale, sta cominciando lentamente a produrre risultati positivi, grazie altresì ai successivi interventi del legislatore.
Ci si riferisce al decreto legislativo 97 del 2016, che ha per la prima volta introdotto il c.d. “FOIA” nel nostro ordinamento, e alla legge 179 del 2017, che ha potenziato il whistleblowing, ma anche alle varie leggi che dal 2015 fino all’ultima riforma recata nella legge 3 del 2019, mediaticamente nota a tutti come “Spazzacorrotti”, hanno rafforzato l’impianto repressivo.
Ciò non significa, naturalmente, che la corruzione sarà estirpata; è un risultato ancora lontano da venire e forse irraggiungibile, visto che non esistono Paesi al mondo a corruzione zero!
Significa, invece, che gli attori del sistema, in primis le amministrazioni pubbliche, hanno capito e cominciato a utilizzare al meglio lo strumentario legislativo pensato per farvi fronte. Ciò è dovuto anche all’intensa attività svolta dall’Autorità, in primo luogo attraverso il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), vero perno dell’attività di prevenzione, elaborato tramite il confronto con gli operatori e sempre più strutturato in modo da essere attento alle specifiche realtà, ai rischi e alle possibili misure per sterilizzarli.
Nel 2018, in particolare, è stato elaborato un ulteriore aggiornamento del primo Piano adottato dall’Autorità nel 20163, proseguendo con il collaudato approccio dei tavoli di lavoro e degli approfondimenti tematici, attraverso cui vengono messe a fattor comune problematiche e conoscenze utili per dare alle amministrazioni i migliori strumenti di prevenzione e good administration. Nel 2019 sarà, invece, adottato l’ultimo PNA di competenza dell’attuale Consiglio: riprendendo le esperienze maturate in questi anni, il Piano fornirà a tutte le amministrazioni criteri guida completi per la redazione dei loro piani triennali, sostituendo anche definitivamente il “glorioso” PNA del 2013.
Fra i principali artefici di questi passi in avanti vi sono, senza dubbio, i responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), trasformatisi sempre più in una “rete” locale dell’Autorità e con i quali il dialogo è continuo.
Ad essi, soprattutto, l’Autorità si rivolge per ottenere informazioni e chiarimenti necessari per lo svolgimento delle tante istruttorie finalizzate a verificare l’efficacia delle misure di prevenzione (più di 280 nel 2018 e 2.300 nel quinquennio).
Con una delegazione di essi (circa 400) ogni anno ci si incontra per la giornata dei responsabili della prevenzione, dedicata all’ascolto dei loro problemi quotidiani. Siamo giunti al quinto appuntamento con l’edizione dello scorso 9 maggio, svoltasi, come le precedenti, presso la Banca d’Italia e aperta dagli autorevoli saluti e auguri del Governatore, che ringrazio per l’ospitalità e il sostegno.
L’impegno dei responsabili emerge tangibilmente dai miglioramenti complessivi della qualità dei piani triennali (ad esempio, in relazione alla mappatura dei rischi e alle misure previste), che sono stati, a campione, monitorati grazie alla preziosa collaborazione delle Università di Roma “Tor Vergata” e di Caserta “Vanvitelli”.
A breve dovrebbe anche diventare operativa una piattaforma che consentirà all’Autorità l’acquisizione automatica di una serie di dati e che permetterà un monitoraggio costante su tutti i piani triennali.
Venendo all’attività di vigilanza svolta, l’Ufficio competente si è occupato in questi anni di molte questioni delicate (la nomina e la revoca del responsabile, la rotazione, il cumulo degli incarichi, ecc.) e lo ha fatto utilizzando soprattutto lo strumento della “raccomandazione”, proprio nella logica della collaborazione con le amministrazioni che, infatti, quasi sempre si sono adeguate. Le sanzioni, invece, sono state applicate meno di 30 volte, a dimostrazione di come gli obblighi normativi siano oggi diffusamente rispettati, anche grazie all’azione dell’Autorità.
I problemi però non sono mancati. Proprio sulla revoca e sulla rotazione l’Autorità è intervenuta con atti generali. Nel primo caso, per definire le proprie modalità di intervento attraverso un regolamento adottato lo scorso luglio; nel secondo caso, tramite linee guida5 con cui ha precisato in modo chiaro i presupposti e le modalità di attuazione della c.d. “rotazione straordinaria” a seguito di avvio di indagini penali nei confronti dei dipendenti pubblici.
Particolarmente intensa è stata l’attività di vigilanza sulle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, previste dal decreto legislativo 39 del 2013.
Sin dall’inizio si sono rivelate materie “ostiche” per le numerosissime questioni sottoposte (150 sono i procedimenti del 2018 e quasi 700 quelli complessivamente avviati in questi anni), per l’impatto che le decisioni dell’Autorità hanno su amministrazioni e soggetti destinatari degli incarichi, ma soprattutto per le notevoli difficoltà interpretative.
L’Autorità ha predisposto in materia ben 8 segnalazioni a Governo e Parlamento6, senza ottenere riscontri; la prima, con 25 punti problematici, risale al giugno del 2015, quando sembrava in calendario la riforma del decreto 39, poi abbandonata.
Nelle more degli attesi interventi legislativi, l’Autorità è intervenuta più volte anche con atti regolatori in materia per risolvere alcuni problemi ermeneutici emersi soprattutto sulle inconferibilità. In particolare, in più occasioni, si è occupata del concetto di “incarichi gestionali”, provando a enuclearne una lettura che evitasse l’elusione della normativa, così come ha regolamentato il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni, delineando gli ambiti di competenza propri e del RPCT. Resta, però, ineludibile il “tagliando” a una normativa che pure merita apprezzamento perché rappresenta un passo in avanti verso un’amministrazione più imparziale.
Strettamente connessa alla materia delle inconferibilità e incompatibilità è la tematica dei conflitti di interesse, situazione considerata anche a livello internazionale come fonte di maggior rischio di fatti corruttivi.
Anche sul punto, gli innegabili passi in avanti compiuti con l’introduzione del dovere di astensione ad opera della legge Severino risultano, però, non ancora sufficienti e rendono auspicabile una normativa di sistema in materia, che tante volte è stata annunciata nel corso degli anni.
Allo stato, infatti, le armi per sterilizzare i conflitti di interesse sono decisamente spuntate; in tante occasioni sono state segnalate possibili (e gravi) situazioni di conflitti di interesse anche strutturale e l’Autorità si è dovuta limitare a rilevarne l’ esistenza e a evidenziarla all’amministrazione con una semplice richiesta di rimuovere il conflitto.
Di un caso emblematico sottoposto all’esame dell’ANAC va fatto cenno. Riguardava, in particolare, il conferimento dell’incarico di presidente di un’autorità portuale a un soggetto che in precedenza era stato socio di una società di spedizioni doganali operante soprattutto in quel contesto territoriale. L’Autorità, pur escludendo ogni ipotesi di inconferibilità o incompatibilità, ha evidenziato come la sola astensione non potesse bastare “a sanare tale ipotesi di conflitto di interessi […] generalizzato e permanente in quanto l’interessato, in qualità di presidente dell’Autorità portuale con i suoi provvedimenti interviene […] sull’attività della società […] nella quale lo stesso è portatore di specifici interessi”. Secondo l’Autorità, “tale situazione di interferenza è di natura tale da influenzare l’esercizio indipendente, imparziale e obiettivo della funzione pubblica rivestita, non sanabile con il solo dovere di astensione previsto dal legislatore”. Per tale ragione, si è rimessa “alla valutazione dell’amministrazione vigilante la validità degli atti e/o provvedimenti adottati dal […], nella situazione di interferenza sopra descritta”8.
Da menzionare comunque, in questa occasione, le varie delibere adottate in materia di concorsi e procedure selettive per il conferimento di incarichi o per il reclutamento di professori e ricercatori universitari, con cui sono stati forniti criteri interpretativi sull’esistenza del conflitto di interesse in presenza di precedenti rapporti di collaborazione fra commissari e aspiranti all’incarico9.
L’Autorità è anche intervenuta, con apposite linee guida, nello specifico settore dei contratti pubblici per il quale il decreto legislativo 50 del 2016 (codice) richiede alle stazioni appaltanti l’introduzione di misure adeguate per contrastare frodi e corruzione. Le linee guida forniscono precisazioni sulla definizione di conflitto di interessi, sulle misure applicabili, sull’individuazione delle situazioni a rischio e pongono particolare attenzione alle comunicazioni, alle dichiarazioni e agli obblighi di astensione da parte dei pubblici funzionari. Il testo sarà a breve approvato definitivamente, avendo anche recepito il parere del Consiglio di Stato.
Un cenno merita anche l’istituto, pure introdotto dalla legge Severino, del pantouflage, cioè l’ipotesi di incompatibilità successiva alla cessazione dell’incarico finalizzata opportunamente a evitare che il funzionario pubblico possa precostituirsi posizioni di vantaggio con privati con i quali entra in contatto per ragioni di servizio.
L’Autorità, in più occasioni, aveva ritenuto la propria competenza a rilevare eventuali violazioni della normativa anche se si era sempre astenuta, in assenza di una norma autorizzativa, dall’irrogare le previste sanzioni.
Di recente, però, il TAR Lazio, pronunciandosi su una vicenda specifica, ha escluso che all’Autorità spetti un qualunque potere di vigilanza, finendo per rendere l’istituto completamente inefficace.
Il caso si riferiva all’ex presidente di un’autorità di sistema portuale che, successivamente alla scadenza dell’incarico, aveva instaurato un rapporto di consulenza con un’importante impresa privata operante nel settore della navigazione e destinataria di vari provvedimenti della medesima autorità. La delibera che ha accertato il pantouflage10 è stata impugnata e il TAR Lazio11 ha ritenuto che i poteri dell’ANAC sono limitati alla sfera pubblica e che pertanto nei confronti di soggetti privati non possa operare alcun accertamento. Il giudice ha concluso nel senso di prefigurare un “controllo diffuso” sulle situazioni di conflitto, concetto, però, il cui contenuto non appare di semplice individuazione e che finisce di fatto per escludere la possibilità di un qualunque accertamento delle violazioni normative.
Una situazione, questa, che in attesa dell’intervento dirimente del Consiglio di Stato, sarà oggetto di una prossima (ulteriore) segnalazione a Governo e Parlamento.
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Nel concludere questa prima parte, qualche parola va riservata al whistleblowing, istituto che sta dimostrando grande vivacità con l’andamento esponenziale delle segnalazioni e delle istruttorie, passate da 125 nel 2015 a 764 nel 2018, per un totale complessivo di circa 1.460.
Le questioni segnalate vanno dagli appalti irregolari ai concorsi illegittimi ai comportamenti di maladministration, anche se continuano a pervenire, pur sotto l’egida della legge 179 del 2017, esposti su questioni di natura meramente personale, esclusi dalla tutela con la nuova normativa.
Le segnalazioni sono oggi acquisite attraverso un sistema informatico che garantisce riservatezza, sicurezza e affidabilità e il software utilizzato è stato recentemente messo a disposizione di altre amministrazioni che lo hanno richiesto.
Nel dicembre del 2018 è stato anche adottato il regolamento per disciplinare l’esercizio dei poteri sanzionatori previsti dalla legge 179 e sono già stati avviati, a carico di dirigenti e funzionari amministrativi, alcuni procedimenti (dieci) di contestazione di comportamenti discriminatori nei confronti dei segnalanti.
La trasparenza
Veniamo ora al tema della trasparenza, uno dei pilastri per un’ efficace azione di prevenzione della corruzione ma anche un principio entrato ormai a pieno titolo nella costituzione materiale del Paese.
Lo ha confermato una recente e attesa sentenza della Corte Costituzionale (la n. 20 del 21 febbraio 2019), che si è pronunciata sulla questione di legittimità relativa agli obblighi di pubblicazione dei compensi, dei dati patrimoniali e delle spese per viaggi di servizio e missioni dei dirigenti pubblici, accogliendola parzialmente e limitatamente ai dati patrimoniali e ai soli dirigenti non apicali.
L’impianto introdotto con la normativa anticorruzione è uscito rafforzato dalla decisione della Consulta, che ha ritenuto configurabile un vero e proprio diritto, costituzionalmente tutelato, dei cittadini ad accedere ai dati in possesso delle amministrazioni, diritto che va bilanciato, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, con l’altro, pur ugualmente tutelato a livello costituzionale, di riservatezza dei dati personali.
La soluzione adottata non è dissimile da quella che l’Autorità aveva indicato con una propria segnalazione a Governo e Parlamento e richiederà comunque una modifica legislativa per individuare con precisione le categorie di dirigenti tenuti agli obblighi di trasparenza.
Nelle more dell’intervento normativo, l’Autorità sta provvedendo ad aggiornare le proprie linee guida sugli obblighi di pubblicazione, conformandole ai dettami della Corte.
A seguito della novella recata dal decreto legislativo 97 del 2016, che ha esteso ai dirigenti le norme di trasparenza previste per le cariche elettive, l’Autorità aveva emanato una delibera per fornire indicazioni sull’applicazione dei nuovi obblighi. Sollevata l’eccezione di legittimità da parte del TAR Lazio, l’Autorità aveva conseguentemente sospeso gli effetti di tale delibera, limitatamente ai profili impugnati. Con la pubblicazione della sentenza l’Autorità si appresta a fornire indicazioni interpretative sull’ampiezza degli obblighi di pubblicità e sui dirigenti interessati.
Quanto allo stato di attuazione della normativa, i dati in nostro possesso dimostrano che le amministrazioni e i cittadini hanno ormai conseguito una discreta maturità nell’utilizzo degli strumenti disponibili. Infatti, le attività di vigilanza sugli obblighi di pubblicazione avviate dall’Autorità (circa 220 nel 2018 e 1.400 nel quinquennio) hanno portato all’irrogazione di sanzioni in meno del 10% dei casi esaminati.
Fa certamente più fatica a imporsi l’accesso civico generalizzato, anche per le difficoltà delle amministrazioni di individuare con precisione i limiti del diritto e per qualche oscillazione della giurisprudenza amministrativa.
L’Autorità, sul punto, ha avviato la revisione delle linee guida adottate (d’intesa con il Garante della privacy) per fornire indicazioni operative sull’esclusione e sui limiti all’accesso e ha salutato con favore l’idea del Ministro della funzione pubblica di rivedere la propria circolare in materia, dando piena disponibilità a partecipare ai tavoli di lavoro istituiti.
Infine, un’informazione riguardante la trasparenza dei processi decisionali dell’ANAC. Il Consiglio, pur in assenza di una normativa di riferimento sulle lobbies, ha deciso di dotarsi di un regolamento per disciplinare i rapporti con i portatori di interesse16; allo scopo di far conoscere le interazioni con tali soggetti, ha, in particolare, istituito un’“Agenda Pubblica”, operativa dal prossimo 24 giugno, che renderà noti gli incontri del Presidente, dei componenti del Consiglio, del Segretario Generale e di tutti i dirigenti.
I contratti pubblici
Seguendo l’ordine delle relazioni degli anni precedenti, adesso è il momento di occuparsi dei contratti pubblici, tema particolarmente caldo da cui evidentemente non ci si può esimere perché l’ANAC resta l’autorità di vigilanza del settore.
Non avrebbe senso, però, parlarne astraendosi dal dibattito pubblico e dalle polemiche che hanno investito, nell’ultimo periodo, il codice varato nel 2016, per recepire – è bene ricordarlo – le direttive comunitarie in materia.
Non credo di sbagliare nel dire che quanto accaduto su quel testo non ha molti precedenti nella storia del nostro Paese: adottato con grandi auspici e senza nemmeno particolari contrarietà, da un giorno all’altro è diventato figlio di nessuno e soprattutto si è trasformato nella causa di gran parte dei problemi del settore e non solo.
È innegabile che da quell’articolato sono derivate delle criticità, ma ciò è dovuto soprattutto al fatto che è stato attuato solo in parte, mentre i suoi aspetti più qualificanti (la riduzione delle stazioni appaltanti, i commissari di gara estratti a sorte, il rating d’impresa) sono rimasti sulla carta.
Fra l’altro, dopo un periodo di calo, anche fisiologicamente collegato alle novità, negli ultimi due anni il mercato si è ripreso e le procedure sono aumentate.
Governo e Parlamento hanno ritenuto però, con una scelta legittima, di apportare profonde modifiche.
Dopo un lunghissimo dibattito hanno deciso di intervenire in due step: con un decreto legge, annunciato a fine 2018 e varato solo a metà aprile di quest’anno, con l’obiettivo di far “ripartire le opere” (e perciò chiamato “sblocca cantieri”), e una legge delega all’esame del Parlamento per una riforma radicale del codice.
Il decreto, non ancora giunto all’approvazione nemmeno di uno dei rami del Parlamento, è stato fatto segno di numerose e sostanziali modifiche e ad oggi si fa fatica ad orientarsi fra gli emendamenti e i subemendamenti approvati e modificati e a individuare, quindi, un testo su cui potersi confrontare.
Sicuramente esso incide anche sui poteri dell’ANAC, prevedendo il ritorno al regolamento attuativo in luogo delle linee guida dell’Autorità. Non ci sentiamo di criticare questa opzione: la regolazione flessibile non è stata positivamente accolta dalle amministrazioni, abituate a regole rigide piuttosto che a criteri che richiedono l’esercizio di maggiore discrezionalità.
Rivendichiamo, però, di aver fatto gran parte del lavoro che ci era stato chiesto (delle 10 linee guida previste ne sono state varate 7, peraltro modificate dopo il corposo “correttivo” del 2017) ed auspichiamo che molti dei contenuti possano essere recuperati nel futuro regolamento.
Sui rimanenti 3 atti da adottare segnalo che le linee guida sulla qualificazione delle stazioni appaltanti non possono essere emanate se non viene prima approvato il previsto d.P.C.M.; la predisposizione delle linee guida sui requisiti delle imprese fallite o in concordato era in fase avanzata ma dovrà ora tenere conto delle novità introdotte dal codice della crisi d’impresa del 12 gennaio 2019 e dallo stesso sblocca cantieri; infine, per le linee guida sul complesso tema del rating d’impresa, si è conclusa la seconda consultazione pubblica.
Su alcuni aspetti specifici del decreto, tuttavia, qualche rilievo s’impone. Seppure opportunamente ridimensionata rispetto ai 200 mila euro del testo originario, la previsione di una soglia abbastanza alta (150 mila euro) entro la quale adottare una procedura molto semplificata (richiesta di soli tre preventivi) aumenta certamente il rischio di scelte arbitrarie, se non di fatti corruttivi.
Alcune opzioni, poi (il ritorno dell’appalto integrato, l’aumento della soglia dei subappalti al 40%, la possibilità di valutare i requisiti per la qualificazione delle imprese degli ultimi 15 anni, le amplissime deroghe al codice concesse ai commissari straordinari), paiono troppo attente all’idea del “fare” piuttosto che a quella del “far bene”.
La sospensione dell’albo dei commissari di gara per un biennio, infine, introdotta in uno degli ultimi emendamenti, proprio quando questa novità stava per partire, rischia di incidere su un momento topico della procedura, facendo venir meno un presidio di trasparenza, oltre che rendere inutile il cospicuo investimento economico (500 mila euro circa) che l’Autorità ha sostenuto per applicare la disposizione.
Il giudizio complessivo sull’impianto resta, però, sospeso anche in attesa che si completi l’iter legislativo della conversione e soprattutto dell’approvazione della legge delega. Un solo suggerimento sia, però, consentito: il settore degli appalti ha assoluto bisogno di stabilità e certezza delle regole, e non di continui cambiamenti che finiscono per disorientare gli operatori economici e i funzionari amministrativi.
L’ANAC, se ci sarà richiesto, farà comunque la propria parte in leale collaborazione con Esecutivo e Parlamento, come ha già cominciato a fare designando, su richiesta del Ministro delle infrastrutture, un proprio componente per il tavolo di lavoro che si sta occupando della scrittura del regolamento.
Per quanto riguarda il lavoro svolto nell’anno passato, segnalo che il 1° agosto scorso è entrato in vigore il regolamento sui poteri di impugnativa previsti dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del codice.
Si tratta di poteri molto penetranti, che si è deciso di regolamentare specie sotto il profilo della tempistica e delle modalità di attivazione, privilegiando l’avvio d’ufficio per scongiurare rischi di strumentalizzazione da parte di operatori economici. Al riguardo, si è anche lavorato proficuamente con l’Avvocatura dello Stato sul tema della difesa in giudizio nei casi di effettiva impugnativa dei bandi da parte dell’Autorità.
Il potere è stato esercitato con molta parsimonia (in sole 3 occasioni), in presenza di gravi violazioni del codice, e ha ottenuto il risultato del ripristino della legalità senza
nemmeno giungere all’impugnazione perché le stazioni appaltanti si sono spontaneamente adeguate.
Molto intensa è stata, inoltre, l’attività consultiva sia di precontenzioso che di natura interpretativa (i pareri rilasciati sono stati 685 nel 2018 e quasi 3.300 nel quinquennio).
Proprio perché da tale attività scaturiscono atti destinati ad essere utilizzati al di là della vicenda concreta, nell’ultimo biennio l’Autorità, su alcune questioni di particolare interesse (partecipazione in forma associata, soccorso istruttorio, avvalimento e subappalto), ha predisposto delle rassegne ragionate sulle proprie decisioni, così come ha incentivato la redazione delle “massime” dei singoli pareri per consentire agli operatori di attingere ai “precedenti”, agevolandone in tal modo l’applicazione.
Per entrambe le tipologie di parere sono stati adottati nuovi regolamenti. Si tratta del Regolamento sull’attività consultiva del 21 novembre 2018 e del Regolamento di precontenzioso del 10 gennaio 2019.
Quest’ultimo è stato aggiornato con l’obiettivo di semplificare ulteriormente le procedure e di accelerare i tempi di risposta, grazie anche al contributo del Consiglio di Stato che ha fornito preziose indicazioni, tra l’altro, sui soggetti legittimati a presentare istanza e sulle fattispecie di inammissibilità.
In materia di appalti l’impegno maggiore si è ovviamente concentrato sulla vigilanza. Numerosissimi sono stati gli esposti giunti, tanto che è stato necessario adottare un Comunicato18 per spiegare quali sono le tipologie di illecito su cui l’Autorità può intervenire, e numerose anche le attività istruttorie avviate19 (che sono, in modo più esaustivo, indicate nella relazione generale pubblicata sul sito).
Partendo dalla vigilanza ordinaria vorrei soffermarmi, con una considerazione generale, sugli appalti di lavori e poi su alcune tematiche specifiche, e cioè concessioni, gestione dell’accoglienza per i migranti, rifiuti e sanità.
Sui lavori da anni si riscontrano gli stessi problemi: errori di progettazione, ribassi anomali recuperati con il meccanismo delle varianti, ritardi nella consegna dei cantieri, contenziosi che allungano i tempi e aumentano i costi, ma anche stazioni appaltanti non sempre attrezzate per i propri compiti e operatori economici che avanzano pretese risarcitorie non di rado esagerate. Problemi – è bene dirlo chiaramente – che nulla hanno a che vedere con la presunta inadeguatezza del codice, anche perché in molti casi riguardano opere partite ben prima, persino del previgente testo del 2006.
Sulle concessioni, prima del crollo del Ponte Morandi, l’Autorità ha avviato un’ampia indagine prodromica all’esercizio dei poteri di vigilanza previsti dall’art. 177 del codice (il cui avvio è stato poi rinviato con il decreto sblocca cantieri); sono state chieste informazioni a concedenti e concessionari e dall’esame sono emerse svariate problematiche, segnalate anche a Governo e Parlamento lo scorso ottobre20, aventi ad oggetto soprattutto le proroghe, anche di molti anni, e lo scarso controllo dei concedenti.
Dopo il crollo del Ponte Morandi l’Autorità ha avviato un’indagine su altre infrastrutture in concessione, focalizzando l’attenzione laddove la percentuale degli investimenti realizzati rispetto a quelli previsti è risultata inferiore al 90%.
Nel corso del 2018 è anche proseguita l’attività di vigilanza nel settore delle concessioni autostradali, raggiungendo un risultato che non è esagerato definire storico e cioè la pubblicazione integrale delle convenzioni e dei relativi allegati, ivi inclusi i piani economico-finanziari (c.d. “PEF”); risultato per il quale l’Autorità ha dovuto effettuare una lunga ed estenuante interlocuzione con l’amministra zione e con il concessionario e che è stato ottenuto, purtroppo, solo a seguito delle polemiche scoppiate dopo la tragedia del crollo del Ponte Morandi. Si tratta comunque di un passo in avanti verso una maggiore trasparenza del settore!
Sulla gestione dei centri di accoglienza per i migranti, le numerose vigilanze effettuate e le criticità emerse hanno consentito di lavorare in una logica propositiva, elaborando buone pratiche per il settore e permettendo, di conseguenza, nel 2017 di rendere un primo parere al Ministero dell’interno sullo schema di capitolato per la fornitura di beni e servizi per i centri di maggiore dimensione. Più di recente, lo scorso luglio, sempre con il Ministero, è stato siglato un protocollo di intesa per collaborare alla elaborazione di bandi specifici per ciascuna tipologia di ospitalità, realizzando così uno strumento di razionalizzazione delle procedure, già utilizzato da numerose (ben 78) Prefetture.
In ordine alla gestione dei rifiuti, in tante occasioni e anche in sede di audizione parlamentare, ho avuto modo di rimarcare come il settore, da nord a sud, si caratterizzi da anni per problemi strutturali e violazioni sistematiche del codice.
Il quadro è aggravato dalle significative infiltrazioni mafiose e dal paradosso che, anche in presenza di interdittive antimafia, non si riesce spesso a sostituire il gestore del servizio per la difficoltà di impostare gare realmente concorrenziali.
Per tale ragione, l’Autorità ha dedicato all’argomento un capitolo del Piano Nazionale Anticorruzione del 2018, con cui ha provato a indicare possibili soluzioni alle problematiche, sia su alcuni aspetti della governance (ad esempio, segnalando l’esigenza di una corretta perimetrazione degli ATO) sia sulla predisposizione dei bandi (ad esempio, prevedendo l’iscrizione nelle white list, le certificazioni ambientali e il rating di legalità) e ha anche deciso di accogliere diverse richieste di vigilanza collaborativa sul settore.
Il PNA del 2018 ha enucleato alcune problematiche di fondo: su tutte, la variegata e frammentata distribuzione delle funzioni fra regioni, province, comuni e ATO, questi ultimi in alcuni casi non ancora operativi o neppure definiti, e la presenza di piani regionali completamente obsoleti. Nel Piano si sono date anche altre indicazioni, come la creazione di una banca dati per raccogliere su scala nazionale le informazioni sulla filiera e sulle diverse frazioni di rifiuto, così da favorire omogeneità e trasparenza in fase di pianificazione, affidamento e gestione.
Sulla sanità, infine, fra le varie attività svolte, va qui citata un’indagine conoscitiva effettuata nel 201823 sui prezzi e sulle modalità di approvvigionamento dei dispositivi per diabetici da parte degli enti del servizio sanitario nazionale, realizzata grazie anche alla qualificata collaborazione di Agenas.
Il risultato dello studio, doverosamente trasmesso anche al Governo, dimostra che i prezzi ottenuti tramite gara sono molto più bassi e che se tutte le regioni si allineassero a questi prezzi, i risparmi ottenibili a livello nazionale sarebbero di oltre il 42%, pari a circa 216 milioni di euro annui!
La rilevazione, in particolare, ha mostrato che oltre il 90% degli acquisti avviene tramite convenzione con le farmacie e solo il 6,5% tramite gara pubblica e che il prezzo unitario medio di una striscia per il controllo della glicemia passa dai 50 euro della convenzione ai 23 euro della gara pubblica, a dimostrazione di come trasparenza e concorrenza siano strumenti non solo necessari per il contrasto alla corruzione ma anche per contenere le spese.
Sul versante della vigilanza collaborativa va segnalato il successo che continua a riscuotere l’istituto. Negli ultimi 15 mesi sono stati infatti stipulati 25 nuovi protocolli (anche se maggiori erano le richieste) e ben 75 procedure sono state sottoposte al vaglio.
A questi si aggiungono gli accordi di alta sorveglianza sull’Universiade di Napoli 2019 e su Expo Dubai 2020, da cui sono scaturiti quasi 300 pareri elaborati dall’Unità Operativa Speciale.
Il supporto fornito alle amministrazioni si sta rivelando molto utile e proficuo perché i controlli preventivi, effettuati con l’obiettivo di ridurre i rischi di corruzione, finiscono per avere effetti positivi anche sul contenzioso. Infatti, nei pochi casi di impugnazione delle procedure controllate, le stazioni appaltanti sono uscite quasi sempre vittoriose.
La valutazione positiva dello strumento è condivisa dal Governo, che nel recente decreto sull’emergenza sanitaria in Calabria ne ha previsto l’attivazione.
Trattando di appalti, è doveroso un breve passaggio sulla banca dati dell’ANAC, che a ottobre 2018 ha conquistato il primo premio del concorso indetto dalla Commissione Europea sul procurement digitale, categoria registri nazionali sui contratti pubblici. Si tratta di un grande patrimonio di cui andar fieri, che contiene migliaia di informazioni utilizzate per le nostre finalità, messe anche a disposizione dell’autorità giudiziaria e delle forze di polizia per le indagini e delle università per svolgere studi e analisi.
La banca dati diverrà nel prossimo futuro liberamente fruibile da tutti gli interessati, come già previsto in un regolamento del 2018.
Termino questa seconda parte con un cenno alla gestione commissariale delle imprese, misura introdotta dal decreto c.d. “Madia” e particolarmente criticata per la sua invasività rispetto alla libertà d’impresa.
Fino ad oggi, però, essa è stata utilizzata con particolare parsimonia, solo in situazioni gravi che necessitavano di un ripristino della legalità al fine di concludere il contratto nei tempi fissati, evitando in molti casi la penetrante misura del commissariamento e preferendo quella meno invasiva del sostegno e monitoraggio.
Auspico che gli stessi criteri siano adottati dal commissario straordinario per l’emergenza sanitaria in Calabria, a cui il relativo decreto legge consente, con una norma di non agevole lettura, di commissariare imprese che operano nel settore sanitario.
La scarsa chiarezza della disposizione del decreto Madia ha imposto all’Autorità, di concerto con il Ministro dell’interno, di adottare ben 5 atti di regolazione generale (linee guida) che si sono occupati di vari
temi, tra cui la gestione degli utili d’impresa, i requisiti dei commissari prefettizi e le misure straordinarie per le imprese che esercitano attività per conto del servizio sanitario nazionale; una sesta, che sarà esaminata dal Consiglio di Stato per acquisirne il parere, riguarda, invece, i requisiti degli amministratori straordinari e degli esperti di nomina prefettizia e l’applicabilità ad essi delle discipline sull’inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi, sul conflitto di interessi e sul pantouflage. Da ultimo, sono state adottate ulteriori linee guida con cui si è ritenuto opportuno autolimitare l’esercizio del potere di proposta al Prefetto, disciplinando tutte le fasi del relativo procedimento.
Sul piano applicativo, va evidenziata una crescita del commissariamento delle imprese raggiunte da interdittiva antimafia, istituto di competenza del solo Prefetto e sul quale comunque l’Autorità viene sempre sentita.
Il commissariamento viene attuato nell’ottica di salvaguardare le esigenze di prosecuzione dei servizi e si è, perciò, ritenuto applicabile anche a quelle attività espletate in via di mero fatto, cioè in assenza della formale stipula di un contratto. Ciò ha consentito di costituire tempestivamente il presidio di legalità, assicurando lo svolgimento delle prestazioni in condizioni di immunità dall’influenza criminale, stimolando al contempo la riconduzione dei rapporti negoziali a una fonte contrattuale, laddove assente, e l’avvio delle procedure per individuare rapidamente il nuovo contraente.
Tale crescita si presta a una lettura sia positiva (perché la misura si è rivelata di grande efficacia soprattutto in settori ad alto rischio di infiltrazione criminale, come i rifiuti, consentendo la prosecuzione degli appalti e, quindi, di evitare situazioni di emergenza), sia, però, a una negativa, perché il numero più alto dei commissariamenti è direttamente proporzionale all’incremento esponenziale delle imprese raggiunte da interdittiva antimafia. Le imprese interdette, comunicate all’Autorità ai fini dell’annotazione nel Casellario, sono cresciute in modo significativo e progressivo dal 2015 al 2018, giungendo a circa 1900 in totale34; un numero preoccupante, sintomatico di quanto le organizzazioni criminali stiano infiltrando l’economia legale!
Gli arbitrati bancari
Prima di passare alle conclusioni vorrei dire qualche parola sugli arbitrati bancari, una competenza “spuria”, attribuita dalla legge di stabilità del 2016, per il riconoscimento dell’indennizzo agli acquirenti di obbligazioni subordinate di 4 banche.
Il ritardo dei decreti attuativi ha consentito di fissare le prime udienze a marzo 2018 e siccome si trattava di decidere su circa 1.800 richieste di indennizzo si è fissata, in una prima fase, un’udienza a settimana per due collegi operanti in parallelo e poi due udienze mensili, sempre per ciascun collegio.
I componenti dei collegi arbitrali, che ringrazio vivamente anche per l’altissima qualità del lavoro svolto, si sono sobbarcati un impegno molto gravoso, attenuato solo dallo sforzo organizzativo messo in campo dalla nostra Camera arbitrale e cioè dal suo Presidente, dai componenti e dai dipendenti che meritano un indiscusso plauso.
I lodi adottati a seguito di un vero e proprio giudizio, con garanzia piena del contraddittorio, hanno indennizzato chi davvero ha acquistato le obbligazioni in carenza di informazioni. In poco più di un anno tutte le domande sono state vagliate; sono stati accolti gran parte dei ricorsi (3 su 4), riconoscendo un ristoro complessivo pari a circa la metà del petitum.
Uno sguardo al futuro
Come già anticipato, le conclusioni verteranno soprattutto sulle prospettive future dell’Autorità e del sistema di prevenzione nel suo complesso.
Comincio dall’Autorità e dalla sua organizzazione.
La struttura è sana, con obiettivi chiari e una precisa identità organizzativa, rinforzata nella dotazione organica con personale giovane e motivato per poter rispondere al meglio alle sfide future. È un’affermazione che fondo su circostanze oggettive, a partire dal definitivo passaggio nel comparto delle autorità indipendenti anche sotto il profilo ordinamentale, risultato raggiunto dopo un lungo iter e il confronto con il personale e i sindacati. È stato infatti varato il nuovo regolamento sull’ordinamento giuridico ed economico del personale, sul modello di quello dell’Antitrust, come prevede la legge, che ha ricevuto anche il parere favorevole del Consiglio di Stato.
Identiche considerazioni per il versante economico. In questi anni sono state ridotte le spese, con risparmi iniziali che superano il 25%, quindi maggiori di quelli imposti dal decreto Madia, ed è stato utilizzato lo sblocco parziale dei fondi disposto dal legislatore nel 2017 anche per rinforzare la struttura: recente è, infatti, l’innesto, tramite concorso pubblico, di 42 risorse, cui si aggiungono 5 assunzioni obbligatorie per legge.
Un’organizzazione, quindi, capace di rispondere alle molteplici competenze e che è riuscita a digerire le riduzioni di spesa senza incidere né sulla qualità né sulla quantità di lavoro, grazie a un’attenta razionalizzazione delle risorse.
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Al contempo si è definita chiaramente la missione istituzionale dell’Autorità, individuata nell’azione di prevenzione della corruzione in tutti gli ambiti dell’attività amministrativa, che si esplica attraverso il controllo sull’applicazione della normativa anticorruzione, sul conferimento degli incarichi pubblici, sui conflitti di interesse, sulla trasparenza e sull’affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici.
È su questo aspetto che il tema delle prospettive future si interseca inevitabilmente con una domanda che in questi anni tante volte è stata ripetuta e ancor di più nell’ultimo periodo: serve davvero la prevenzione nell’ambito della politica di contrasto alla corruzione?
La mia risposta, alla ormai prossima conclusione del mandato, è convintamente positiva e non credo sia influenzata più di tanto da una visione di parte.
Giudicare, infatti, negativamente gli esiti della prevenzione sulla scorta del ripetersi di fatti corruttivi, anche particolarmente gravi come quelli accaduti di recente, è operazione non corretta, analoga a quella che si farebbe, ad esempio, mettendo in discussione la politica di prevenzione degli infortuni sul lavoro solo perché questi nefasti episodi non si sono interrotti!
Invece, il persistere della corruzione, oltre a smentire quei finti ottimisti che, così come avvenuto dopo tangentopoli, vogliono per ragioni di interesse far credere che il Paese sia diventato immune a questa piaga, invita a continuare nella strada intrapresa, che nessuno ha mai pensato potesse sostituire (ma solo affiancare) quella repressivo-penale.
Ed è proprio con questa consapevolezza che abbiamo salutato con favore le riforme intraprese sul versante penale nella precedente legislatura e completate oggi con l’importante legge Bonafede, condivisibile in gran parte delle novità recate.
La prevenzione ha l’obiettivo di creare nelle amministrazioni un humus contrario all’attecchire della corruzione, responsabilizzandole attraverso l’attribuzione di un ruolo proattivo da svolgersi con i piani e chiedendo ai cittadini, per il tramite della trasparenza, di fare la loro parte come principali controllori della macchina.
È un sistema, questo, che il Paese ha declinato con alcune peculiarità, seguendo comunque gli standard internazionali, come del resto eravamo obbligati a fare dopo aver entusiasticamente aderito alla Convenzione Onu di Mérida, e che qualifica la prevenzione come perno della politica di contrasto.
Il modello italiano, fondato su innovative politiche di prevenzione della corruzione e su un’autorità indipendente che ne monitora l’attuazione e aiuta le amministrazioni nel loro compito, si è rivelato, nel merito, una scelta felice. L’assoluta indipendenza di giudizio ampiamente riconosciuta all’Autorità in questi anni è massima garanzia di esercizio imparziale delle funzioni e rafforza l’idea che queste politiche, come la lotta alla criminalità organizzata, sono patrimonio di tutti, senza distinzione.
Il nostro modello, oltre ad avere ottenuto convinti riconoscimenti all’estero, qualche risultato lo ha portato di sicuro.
È sufficiente verificare come il sistema sia ormai entrato nel DNA delle amministrazioni o, sotto un diverso versante, fare cenno alla graduatoria di Transparency International che negli ultimi 4 anni ha riconosciuto al Paese un miglioramento di ben 16 posizioni (passando da un’inaccettabile 69° all’appena incoraggiante 53° dell’ultimo rapporto), giustificato proprio dalla presenza attiva di meccanismi di contrasto alla corruzione sul piano repressivo e preventivo.
La consapevolezza dei limiti di una rilevazione fondata più che su fatti su percezioni, ma di sicura incidenza, a livello internazionale, sul rating del Paese, non può portare a snobbare il dato, soprattutto se si tiene presente quante volte esso è stato sbandierato quand’era totalmente negativo.
L’auspicio che chiude questo intervento è, quindi, quello di proseguire sulla strada intrapresa, evitando di rincorrere ricette banalizzanti, che sembrano perseguire l’obiettivo, non della condivisibile sburocratizzazione del sistema amministrativo, ma di una inaccettabile deregulation, già vista in opera nel Paese negli anni scorsi con risultati deleteri anche sul fronte della lotta alla corruzione.
Tornare indietro, come nel gioco dell’oca, mentre il sistema italiano inizia a funzionare e viene preso a modello in altri Paesi, mentre la maggioranza degli Stati, compreso il Vaticano, sta facendo propria la politica di prevenzione, sarebbe difficilmente comprensibile.
Lasciamo, invece, al Parlamento e al Governo, indiscussi arbitri delle scelte future, un sistema, cinque anni fa assente, che ora comincia a funzionare, seppur con vari meccanismi ancora da perfezionare e migliorare.
Il risultato è ovviamente il frutto di uno straordinario lavoro collegiale, ascrivibile in primo luogo ai colleghi e amici che compongono il Consiglio dell’Autorità – Michele Corradino, Francesco Merloni, Ida Angela Nicotra e Nicoletta Parisi – al Segretario Generale, Angela Lorella Di Gioia, e ai dirigenti, ai funzionari e ai dipendenti tutti dell’Autorità che hanno lavorato con impegno e abnegazione.
Vorrei esprimere un profondo ringraziamento al Signor Presidente della Repubblica, che con il suo autorevole magistero ci è sempre stato vicino e ci ha sempre supportato.
Identica gratitudine voglio esprimere a tutte le Magistrature, all’Avvocatura Generale dello Stato per il continuo sostegno e alle altre Autorità indipendenti con cui si sono consolidati i rapporti di collaborazione.
Un sentito grazie, infine, ai vertici della Guardia di Finanza, che ci hanno fornito un sostegno indispensabile con il Nucleo Speciale Anticorruzione e le altre unità che operano in ANAC e a tutte le Istituzioni pubbliche e le amministrazioni che in questi anni hanno collaborato con l’Autorità, riponendo evidentemente in essa fiducia.