L’Amministrazione che si avvede solo tardivamente dell’inammissibilità della domanda di finanziamento pubblico, inizialmente ammesso e poi annullato, pone in essere un comportamento illegittimo, perché in contrasto con i canoni di correttezza
Cons. St., sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7246 – Pres. Greco, Est. Ciuffetti
In una situazione in cui l’ammissione ad un finanziamento veniva annullata dopo 5 anni, mentre sarebbe stato agevole accorgersi immediatamente della non ammissibilità dello stesso.
Queste sono le conclusioni del Consiglio di Stato, che nella sentenza n. 7246 del 2019, che pur ritenendo legittimo l’annullamento in autotutela dell’ammissione al finanziamento, ha comunque sanzionato il comportamento della P.A., poiché contrario ai principi di correttezza e buona fede.
Annullamento del finanziamento e principio di affidamento del beneficiario
Il Collegio ha ritenuto che potesse configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera di ammissione, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.
La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.
E’ irrilevante, secondo il Consiglio di Stato, che il bando avesse definito come provvisoria la liquidazione del contributo o circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato e anche ridotto in fase di rendicontazione,
La sussistenza nella specie della colpa dell’Amministrazione viene ravvisata nell’aver ingenerato l’affidamento del privato, nonostante la presenza di una causa di esclusione che avrebbe dovuto correttamente applicare ab initio.
Pertanto se l’ammissione era illegittima sin dal principio, a maggior ragione era dovere della P.A. accorgersene immediatamente
Di seguito si riporta un estratto della sentenza del Consiglio di Stato
(…)
E invero, nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, connotati rispetto ai quali – come detto – si palesa recessivo l’affidamento invocato dalla Società, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale n. 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.
La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.
A fronte di tale affidamento, non giova richiamare la suindicata clausola del bando in ordine alla provvisorietà della liquidazione del contributo ed alla circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato e anche ridotto in fase di rendicontazione, in quanto ciò ovviamente afferiva alla fase di verifica sull’esecuzione delle iniziative ammesse a contributo, e non certo a quella dell’ammissibilità a monte delle domande.
La sussistenza nella specie della colpa dell’Amministrazione nell’aver ingenerato il suindicato affidamento (che, lo si ribadisce, attiene non al carattere doveroso della successiva riduzione del contributo ed alla relativa motivazione, ma alla condotta complessiva serbata dalla Regione) discende con evidenza dai rilievi che si sono fin qui svolti: perché, se non è scusabile per le ragioni evidenziate l’obliterazione dell’art. 6 del Reg. CE n. 1685/00 da parte della Società originaria ricorrente, a maggior ragione non può esserlo l’atteggiamento dell’Amministrazione procedente che tale norma avrebbe dovuto correttamente applicare ab initio.
10.2. Definita in tali termini la responsabilità della parte appellante principale, il quantum del danno risarcibile, sotto il profilo del danno emergente, va determinato in relazione alle spese sostenute dalla Società proprio in relazione alla suddetta fase procedimentale successiva alla delibera giuntale n. 1064/2003, cui vanno dunque ascritte le spese sostenute per documentazione e rendicontazione, pari a € 600,00.