Il limite del subappalto tra giurisprudenza italiana ed europea

Mentre il TAR Lazio considera del tutto legittimo il limite attuale del 40 per cento al subappalto, rimane dubbio se il diritto europeo permetta l’esistenza di un limite percentuale rigido e inderogabile alla subappaltabilità degli appalti pubblici

Tar Lazio, Roma, Sez. I, 24 aprile 2020, n. 4183

L’attuale limite complessivo al subappalto, il 40% delle prestazioni secondo l’art. 105 del Codice Appalti dopo il decreto Sblocca Cantieri, rimane di dubbia compatibilità con il diritto europeo.

Dopo la lettera della Commissione Europea, e soprattutto dopo la sentenza della CGE sulla precedente normativa del subappalto, con la declaratoria di incompatibilità del limite generalizzato al subappalto del 30 per cento dell’appalto, la questione dell’estensione dei limiti generali all’istituto è ancora lontana dall’avere una soluzione.

Nonostante gli inviti ad intervenire, anche dell‘ANAC con atto di segnalazione al Parlamento, il legislatore ha mantenuto la previsione dello sblocca cantieri, che è peraltro provvisoria e rimarrà in vigore solo fino al 31 dicembre 2020.

Nel frattempo è intervenuta la giurisprudenza, con arresti che non hanno contribuito più di tanto a chiarire la situazione normativa, sia con riferimento alle procedure già bandite e aggiudicate, sia con riferimento a quelle ancora da bandire.

Il TAR Lazio: il limite generale dei 40 per cento è sempre valido

Di recente è intervenuto il TAR Lazio, con sentenza Tar Lazio, Roma, Sez. I, 24 aprile 2020, n. 4183, la quale ha ritenuto conforme alla normativa europea la previsione dello Sblocca Cantieri, con il limite del 40 per cento delle prestazioni subappaltabili.

Secondo i giudici capitolini, la pronuncia CGUE, Sez. V, 26 settembre 2019 – C-63/2018, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30 per cento dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori al 40 per cento.

Infatti nella giurisprudenza della corte europea si legge che “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici” (sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28).

Nell’interpretazione del TAR Lazio, la CGE non ha censurato l’esistenza generica un limite generale e astratto, ma specificamente il limite del 30 per cento.

Pertanto la Corte di Lussemburgo non avrebbe escluso che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.

In particolare l’esistenza di un limite rigido è giustificato dalla complessiva finalità del contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici quale elemento e obiettivo di ordine pubblico.

Pertanto, secondo la sentenza del TAR Lazio, non si potrebbe ritenere contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019, “nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici”.

Quel che non si capisce dalla sentenza, tuttavia, è quale sia l’oggettiva differenza tra il limite del 30 per cento, che la CGE ha ritenuto sproporzionato rispetto al citato motivo di interesse pubblico, e il diverso limite del 40 per cento, che si dovrebbe ritenere proporzionato.

Il parere dell’ANAC

La citata sentenza del TAR Lazio sembra parzialmente in contrasto con recenti arresti dell’ANAC, che invece ritengono un intervento normativo necessario per adeguarsi alla pronuncia della CGE.

Già in sede di conversione del Decreto Sblocca Cantieri, l’Autorità Anticorruzione aveva segnalato come l’innalzamento della quota di affidamento subappaltabile (dal 30% al 50%, poi scesa al 40% in sede di conversione del decreto legge) non rispondesse del tutto alle osservazioni avanzate in sede di procedura di infrazione.

In sede di Segnalazione al Parlamento, poi, l’Autorità torna sulla questione sottolineando che la Corte di Giustizia non impone la possibilità per gli offerenti di ricorrere illimitatamente al subappalto, e tuttavia il diritto europeo impedisce un’applicazione indiscriminata rispetto al settore economico interessato, alla natura dei lavori o all’identità dei subappaltatori, senza lo spazio a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante circa l’ effettiva necessità di una restrizione al subappalto stesso.

Pertanto, secondo l’ANAC, se ne ricava un quadro normativo in cui “la regola generale dovrebbe essere quella del subappalto senza limitazioni quantitative a priori, al chiaro fine di favorire l’ingresso negli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, promuovere l’apertura del mercato e la concorrenza in gara”.

In particolare, il legislatore dovrebbe mantenere un divieto del divieto di subappalto dell’intera commessa, o di una sua parte rilevante.

Per gli altri casi, una possibile soluzione per superare i rilievi della Corte di Giustizia potrebbe essere quella di prevedere la regola generale dell’ammissibilità del subappalto, richiedendo alla stazione appaltante l’obbligo di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, similmente a quanto avviene per la mancata suddivisione in lotti.

Più nel dettaglio, l’Autorità ha proposto una riforma dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici incentrata sulla definizione di una serie di principi e criteri per guidare il potere discrezionale alla luce delle specifiche caratteristiche dei contratti (settore di riferimento, natura della prestazione, importo, esposizione al rischio di infiltrazioni criminali e mafiose, etc.).

Dunque l’ANAC non si pronuncia esplicitamente sul limite del 40 per cento, ma implicitamente afferma l’inadeguatezza  della disciplina complessiva ed indica la strada del maggiore potere discrezionale delle amministrazioni, alla luce della quale l’attuale disciplina non sembra ancora in linea con i dettami europei.

La questione delle vecchie procedure con il limite del 30 per cento

Sulla questione delle procedure precedenti allo Sblocca Cantieri, il Consiglio di Stato si è incidentalmente pronunciato sul limite del 30 per cento, che “deve ritenersi superato per effetto delle citate sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389).

In materia, una serie di pronunce di primo grado hanno optato per una sorta di “liberalizzazione” del subappalto, nelle procedure dove era previsto il limite del 30 per cento: non vi è più un limite generale, mentre alle stazioni appaltanti è assegnato il compito di decidere discrezionalmente la quota di subappalto accettabile.

Secondo il TAR Puglia, si deve ritenere che  “in applicazione dei principi dettati dalla CGUE, che non possa più ritenersi applicabile “a priori” il limite del 30% al subappalto, ma che debba comunque essere valutato in concreto se il ricorso al subappalto abbia effettivamente violato i principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità” (TAR Puglia – Lecce, Sez. I, 5 dicembre 2019 n. 1938).

Alla luce di tali considerazioni, i giudici hanno comunque ritenuto invalido il contratto di avvalimento stipulato dalla ricorrente in quanto la società ausiliaria avrebbe dovuto subaffidare più del 90% delle prestazioni oggetto dell’appalto.

Più di recente, ha ribadito principi simili il Tar Marche, con sentenza Sez. I, 23 aprile 2020, n. 59.

Secondo il TAR marchigiano, l’eliminazione dall’ordinamento interno della norma che fissava un limite massimo alla quota subappaltabile impone alle stazioni appaltanti di procedere ad una verifica caso per caso circa l’autorizzabilità di istanze riferite a quote superiori al 30%. E tale valutazione è espressione di potere amministrativo unilaterale, da esercitare naturalmente nel rispetto dei principi generali di cui alla L. n. 241/1990 e delle condizioni particolari eventualmente contenute nella lex specialis.

A tale proposito, il TAR si pone in dissenso con il parere reso dall’A.N.A.C. sulla  medesima fattispecie, in cui si sosteneva che l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al diritto comunitario non sussisterebbe laddove le clausole del bando recassero una previsione confliggente con tale decisum, e ciò al fine di non determinare un’alterazione postuma della par condicio fra gli operatori che hanno partecipato alla gara.

In pratica, secondo l’ANAC, rimarrebbe il limite del 30 per cento nonostante l’intervento della CGE.

Tuttavia, ricordano i giudici, l’obbligo di disapplicare il diritto interno confliggente con le norme comunitarie è in capo non solo al giudice ma anche alla pubblica amministrazione.

Pertanto, a seguito della pronuncia della CGE non esisterebbe più un limite invalicabile alla quota subappaltabile, per cui, ferma restando la necessità che il subappaltatore designato sia qualificato per la parte di lavori che è chiamato ad eseguire, l’autorizzazione deve essere concessa anche per una quota superiore al 30%, salvo motivata valutazione caso per caso della stazione appaltante.

La conseguenza problematica di questi arresti giurisprudenziali è che la decisione sulla quota subappaltabile non viene effettuata in sede di gara, con specifiche previsioni del bando, ma solo successivamente, senza alcuna garanzia per i concorrenti e gli aggiudicatari.

Proprio alla luce di questa conseguenza, vi è un orientamento che non ritiene possibile disapplicare i limiti in sede di autorizzazione, alla luce del principio tempus regit actum. Tale orientamento, fatto proprio dall’ANAC nel parere citato dal Tar Marche, ritiene che la presenza del limite del 30 per cento nella fase di formulazione delle offerte abbia potuto condizionare la partecipazione degli operatori economici alla gara. Così avrebbe effetti discriminatori autorizzare il subappalto oltre i limiti suddetti, mentre altri operatori non avevano partecipato alla procedura proprio per l’impossibilità di tale operazione.

Redazione

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