L’ “accelerazione” dei procedimenti amministrativi nel Decreto Rilancio

Al fine di rimuovere <<ogni ostacolo burocratico nella vita dei cittadini e delle imprese>>, il Decreto Rilancio ha previsto nel suo articolo 264 un iter di “accelerazione dei procedimenti amministrativi”.

Tale iter emergenziale, integralmente confermato dalla legge di conversione n. 77 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020, è strettamente connesso al percorso di digitalizzazione e decentramento che, negli ultimi anni, sta gradatamente investendo la P.A.

La norma suindicata investe, però, questioni di rilevanza costituzionale, perché prevede un corpus di misure che incidono su diritti civili e sociali “essenziali” riconosciuti dall’art. 117 comma 2 lett. m) e, pertanto, hanno il pregio di prevalere su ogni disciplina regionale.

Di seguito, i vari punti toccati dell’art. 264.

1. I procedimenti avviati su istanza di parte aventi ad oggetto erogazione di benefici economici (art. 264 primo comma lett. a)

L’articolo 264 investe l’affannosa questione dei procedimenti su istanza del cittadino aventi ad oggetto l’erogazione da parte di pubbliche amministrazioni di benefici economici in relazione all’emergenza COVID-19.

Sul punto la norma espressamente dispone che per le erogazioni economiche (indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni) le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà siano in grado di sostituire ogni tipo di documentazione comprovante i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti di volta in volta dalla normativa di riferimento, nel rispetto chiaramente del codice antimafia e delle misure di prevenzione.

Ciò fa sì che alle Amministrazioni non sia più concesso richiedere documenti e informazioni già in qualche modo in loro possesso, anche tramite controlli incrociati. E per questo è << nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti in possesso dell’amministrazione procedente o di altra P.A.>>

Si badi che, in ogni caso, per tali erogazioni è fatta salva la possibilità di ricorrere alla revoca ex. art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241 ma solo per eccezionali ragioni di interesse pubblico sopravvenute.

In particolare le amministrazioni sono tenute ad effettuare controlli sulla veridicità delle dichiarazioni suindicate nei casi in cui vi sia un ragionevole dubbio in relazione al rischio e all’entità del beneficio, anche in fase successiva all’erogazione.

Sul punto, è bene precisare che la dichiarazione mendace conduce alla revoca di eventuali benefici già erogati nonché al divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di 2 anni decorrenti dall’atto di decadenza, salvo necessità di interventi a favore dei minori o in caso di situazioni familiari e sociali di particolare disagio.

2. L’annullabilità d’ufficio dei provvedimenti illegittimi

L’articolo in commento ha il merito di aver ridotto il termine previsto per l’annullabilità d’ufficio dei provvedimenti illegittimi quando adottati in relazione all’emergenza COVID-19.

Questi ultimi infatti possono essere annullati d’ufficio, sussistendo ragioni di interesse pubblico, entro tre mesi, in deroga, dunque, al “termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi” previsto all’art. 21 nonies comma 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Tale termine decorre:

– dall’adozione del provvedimento quando questo è espresso;

– dalla formazione del silenzio assenso in caso contrario;

– dalla scadenza del termine per l’adozione se si tratta di provvedimento soggetto a S.C.I.A.

Tuttavia, la predetta annullabilità è possibile anche dopo il termine di tre mesi qualora i provvedimenti amministrativi siano stati adottati sulla base:

– di false rappresentazioni dei fatti;

– di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false e mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.

3. Conclusione del procedimento in ipotesi di silenzio assenso

L’iter di semplificazione dei procedimenti amministrativi de quo non poteva non avere un occhio di riguardo anche alle ipotesi di silenzio c.d. assenso intercorrente tra amministrazioni pubbliche e tra queste ultime e gestori di beni o servizi pubblici, per le quali in luogo al consueto termine di 45 giorni ( ad eccezione dei provvedimenti per la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, o tutela della salute dei cittadini per i quali si parla di 90 giorni), la norma prevedere che il responsabile del procedimento sia tenuto ad adottare il provvedimento espresso conclusivo entro il termine ridotto di 30 giorni dal silenzio assenso.

4. Interventi edilizi

Infine, merita attenzione il modo in cui la copertura normativa emergenziale ha investito anche gli interventi in materia edilizia necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’emergenza sanitaria COVID- 19.

Premesso che detti interventi consistono in opere contingenti e temporanee, destinate ad essere rimosse con la fine dello stato di emergenza, essi devono essere realizzati secondo i seguenti criteri:

– il rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di tutela del rischio idrogeologico e di tutela dei beni culturali e del paesaggio,

la previa comunicazione di avvio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato e corredata da una dichiarazione attestante la finalità di opere necessarie per far fronte all’emergenza COVID-19.

E’ comunque possibile per l’interessato richiedere il rilascio di permessi, autorizzazioni o atti di assenso. Quanto detto non ricorre se si versa in attività edilizia libera. Ciò non toglie che il cittadino possa richiedere l’eventuale mantenimento delle opere edilizie realizzate, se conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, all’amministrazione comunale entro il 31 dicembre 2020.

Al netto di quanto su esposto, è evidente come le Istituzioni abbiano voluto mettere su “carta” un processo di snellimento dell’operato della P.A in rapporto diretto col cittadino, iniziato da qualche anno, e che, tuttavia,  ad oggi va a rilento.

L’art. 264 potrebbe, dunque, fare da apripista. Non resta dunque che attendere con la speranza che tale eccezione necessitata dalla circostanza di far fronte all’emergenza COVID-19, possa diventare un domani la regola del buon andamento della P.A di cui all’art. 97 della nostra Costituzione.

Redazione

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