Concorso INPS, il TAR Lazio decide

Il 24 aprile 2018 l’Inps ha indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 967 posti per la selezione dei nuovi profili di consulente protezione sociale.

Il concorso, occasione per molti giovani, è stato, però, contestato da molti studi legali, compreso lo studio Giurdanella&Partners, a causa delle diverse irregolarità registrate durante l’espletamento delle selezioni. E il il 27 ottobre prossimo, per tali ragioni, il TAR Lazio deciderà, in udienza pubblica, i diversi ricorsi presentati.

Ma facciamo subito il punto della questione.

Le norme che regolano i concorsi pubblici, in generale, sono contenute nel D.P.R.487/1994 (“Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle PA e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi“).

Dal combinato disposto dell’art. 8 e dell’art. 11 del regolamento succitato, si ricava una precisa sequenza procedimentale che la P.A. deve seguire nel caso di “concorsi per titoli ed esami”. A tal proposito, la Commissione deve:

  1. predeterminare i criteri sulla base dei quali valutare i candidati,
  2. compiere la stessa valutazione,
  3. comunicare l’esito della valutazione prima delle prove orali,
  4. svolgere le prove orali.

La precisa scansione dell’ iter non risponde ad uno sterile rigore procedurale, ma è il corollario dei principi che devono informare l’attività amministrativa nel suo insieme considerata, cioè i principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e anonimato.

Nel caso in esame, la P.A (la Commissione), avrebbe individuato i criteri di valutazione dei titoli e comunicato l’esito della valutazione ai candidati prima degli orali, ma subito dopo – a prove concluse – è ritornata sulle scelte compiute, ridefinendo i criteri (cioè i titoli valutabili) e a cascata modificando i punteggi, già attribuiti ai candidati, con l’effetto di stilare e poi pubblicare una nuova graduatoria.

La giurisprudenza amministrativa osserva che “costituisce jus receptum che i criteri di valutazione delle prove di una selezione possono essere fissati direttamente dal bando oppure rimessi alla discrezionalità della Commissione esaminatrice, con l’unico vincolo tassativo costituito dal fatto che, in tale ultimo caso, essi siano fissati prima dell’avvio delle operazioni valutative, e ciò a garanzia dei principi di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa; la predeterminazione dei relativi criteri in un momento antecedente alla valutazione delle prove è volta ad evitare che l’attribuzione del punteggio per i titoli stessi possa essere condizionata dalla previa conoscenza del risultato delle prove precedenti, calibrando i punteggi da attribuire ai singoli candidati” (TAR Lazio, Sez. III bis, 1 luglio 2020 n. 7408).

In altre parole, “le commissioni di concorso devono predeterminare i criteri di valutazione dei titoli e delle prove prima di aver preso conoscenza del nominativo dei candidati, e ciò per evitare che possa sorgere il sospetto che i criteri vengano individuati al fine di favorire o penalizzare taluno dei candidati stessi” (T.A.R. Milano, Sez. III, 5 aprile 2019, n. 757).

E gli artt. 8 e 12 del D.P.R. 487/1994 sono “forme sostanziali” e inderogabili, la cui violazione costituisce sempre e comunque motivo di illegittimità degli atti.

Inoltre, dietro la stessa scelta della Commissione di “ritornare sui suoi passi”, si nasconde un vero e proprio provvedimento di annullamento in autotutela, però privo dei crismi richiesti dall’art. 21 nonies L.241/1990, comportando la negata possibilità di usufruire delle garanzie che la norma prevede per tale tipologia di provvedimenti.

I poteri di autotutela sono lo strumento con il quale, a mezzo di un processo di rivalutazione e riesame critico della propria attività provvedimentale, la P.A. corregge – annullandola, revocandola o modificandola – l’azione amministrativa fino a quel momento svolta, per consentire il migliore perseguimento in concreto dell’interesse pubblico di cui è depositaria nel rispetto del canone di legalità.

L’intervento in autotutela è espressione di un potere generale attribuito alla Pubblica Amministrazione che, una volta adottato un atto amministrativo, può tornare sui propri passi ponendo in essere una riedizione del potere originariamente esercitato, soggiacendo peraltro ai limiti imposti in via anche normativa dall’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241.

Quindi, al fine di procedere all’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo, sarà necessario accertare la sussistenza di un triplice ordine di presupposti: che l’atto sia illegittimo, che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino il ritiro, che il tutto avvenga entro un termine ragionevole; inoltre devono venire in considerazione gli interessi dei destinatari del provvedimento viziato (Consiglio di Stato, sezione VI, 29 luglio 2019, n. 5324).

Le brevissime osservazioni riportate, ci pongono alcuni interrogativi: saranno soddisfatte le pretese dei ricorrenti? Come verrà giudicato l’agire della P.A? Chi potrà dirsi vincitore?

Non resta che aspettare il 27 ottobre prossimo per conoscere come il giudice amministrativo deciderà la questione.

Redazione

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