Danno da ritardo della PA e spettanza del bene della vita

La giurisprudenza amministrativa conferma l’indirizzo tradizionale, per cui il danno da ritardo è risarcibile solo se è ingiusto, cioè se si accompagna alla dimostrazione della spettanza del bene della vita

Secondo il Consiglio di Stato, sentenza Sez. IV, 1 dicembre 2020 n. 7622, occorre confermare l’orientamento per cui non è risarcibile il ritardo in sé della Pubblica Amministrazione, intendendo il tempo come bene della vita autonomo, ma solo il ritardo accompagnato dalla fondatezza della pretesa.

Si limita perciò il risarcimento al caso in cui il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato in esito al procedimento, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata.

Sul danno da ritardo due sono le disposizioni di legge fondamentali. In primo luogo l’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 obbliga le pubbliche amministrazioni al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, introducendo il c.d. danno da ritardo. In secondo luogo, il codice del processo amministrativo, all’art. 30, comma 2, ha previsto che possa essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante non solo dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, ma anche dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

Secondo l’indirizzo tradizionale, ripreso dalla sentenza in commento, l’espresso riferimento al “danno ingiusto”, contenuto nell’art. 2 bis della legge n. 241/1990 così come nel secondo comma dell’art. 30 c.p.a. induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile.

Pertanto il dovere di risarcimento del danno da ritardo è configurabile:

  1. ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente,
  2. ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento.

In altri termini, affermano i giudici amministrativi “il riferimento, per la risarcibilità del danno, al concetto di “danno ingiusto”, ove la posizione considerata e tutelata sia quella avente ad oggetto il bene della vita richiesto con l’istanza che ha dato origine al procedimento, non può che postulare la subordinazione dell’accoglimento della domanda risarcitoria all’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata, altrimenti si perverrebbe alla conclusione paradossale e contra legem di risarcire un danno non ingiusto”.

Di seguito si riporta un estratto della sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV,1 dicembre 2020 n. 7622

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16. Dalla vicenda complessiva, che il T.a.r. ha giustamente articolato in fasi distinte sulla base delle rivendicazioni di parte ricorrente, non emerge poi in alcun modo la spettanza del bene della vita, non avendo la società mai maturato il diritto di edificare.

16.1. Per la consolidata giurisprudenza, è infatti possibile pervenire al risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo soltanto se l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. Il rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale è previsto il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 30, comma 2, del c.p.a., in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e rimproverabile dell’Amministrazione pubblica, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira. E’ soltanto la lesione al bene della vita, infatti, che qualifica in termini di “ingiustizia” il danno derivante dal provvedimento illegittimo e rimproverabile dell’Amministrazione e lo rende risarcibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1437 del 2020; n. 358 del 2019).

16.2. La pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell’interesse legittimo riferisce dunque il carattere dell’ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità non è tanto la condotta rimproverabile, ma l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento ed affinché la lesione possa considerarsi ingiusta è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del corretto agire dell’amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell’interesse.

16.3. In particolare, per gli interessi pretensivi, occorre stabilire se il pretendente sia titolare di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favorevole.

16.4. L’obbligazione risarcitoria, quindi, affonda le sue radici nella verifica della sostanziale spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell’amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (cioè secondo il canone del “più probabile che non”) spettato al titolare dell’interesse. Cosicché, ove il giudizio si concluda con la valutazione della sua spettanza, certa o probabile, il danno, in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, può essere risarcito, rispettivamente, per intero o sotto forma di perdita di chance.

16.5. L’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 obbliga poi le pubbliche amministrazioni al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, introducendo il c.d. danno da ritardo Nel disciplinare le azioni di condanna, il codice del processo amministrativo, all’art. 30, comma 2, ha previsto che possa essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante non solo dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, ma anche dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

16.6. L’appellante ha fatto discendere la responsabilità dell’amministrazione dalla lesione alla spettanza del bene della vita costituente il lato interno della posizione di interesse legittimo dedotto nell’istanza pretensiva.

16.7. L’inerzia amministrativa, quindi, per essere fonte della responsabilità risarcitoria come prospettata, richiede, tuttavia oltre ai presupposti di carattere generale, non solo il preventivo accertamento in sede giurisdizionale della sua illegittimità, ma, ancor più, il concreto esercizio della funzione amministrativa in senso favorevole all’interessato, ovvero il suo esercizio virtuale, in sede di giudizio prognostico da parte del giudice investito della richiesta risarcitoria.

16.8. La positivizzazione dell’istituto della responsabilità per c.d. danno da ritardo, come evidenziato, è avvenuta in un primo tempo attraverso l’introduzione dell’art. 2 bis l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 7 della l. n. 69 del 2009. In tal modo, il legislatore ha previsto un nuovo strumento di tutela delle posizioni giuridiche soggettive contro l’inerzia della pubblica amministrazione, strumento che trova la sua collocazione nell’ambito del rito ordinario, affiancandosi in posizione autonoma a quello rappresentato dal rito speciale in camera di consiglio contro il silenzio rifiuto.

16.9. L’espresso riferimento al “danno ingiusto”, contenuto nell’art. 2 bis della legge n. 241/1990 così come nel secondo comma dell’art. 30 c.p.a. – secondo cui può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal “mancato esercizio di quella obbligatoria” – induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile.

16.10. L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento. In altri termini, il riferimento, per la risarcibilità del danno, al concetto di “danno ingiusto”, ove la posizione considerata e tutelata sia quella avente ad oggetto il bene della vita richiesto con l’istanza che ha dato origine al procedimento, non può che postulare la subordinazione dell’accoglimento della domanda risarcitoria all’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata, altrimenti si perverrebbe alla conclusione paradossale e contra legem di risarcire un danno non ingiusto.

Redazione

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