Deve ritenersi viziata da eccesso di potere, sotto il profilo del difetto di istruttoria e di manifesta illogicità, la decisione dell’amministrazione di limitare la valutazione ai soli master di secondo livello, escludendo la valutazione dei diplomi di specializzazione nelle professioni legali.
Secondo il TAR Lazio (sez. III quater, sentenza 15 dicembre 2020 n. 13532) la valutazione dei titoli nell’ambito dei concorsi pubblici deve farsi sulla base dell’indirizzo sostanziale richiamato da alcune sentenze del Consiglio di Stato.
Con particolare riferimento al punteggio attribuito ai possessori di un master, il Consiglio di Stato ha ritenuto (a prescindere dal nomen iuris) equiparabili ai master i corsi di perfezionamento post lauream che presentino le medesime caratteristiche, con riguardo alla durata, al numero delle ore di insegnamento, alla previsione di un esame finale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 aprile 2009 n. 2515, sez. VI, 26 luglio 2017 n. 3695).
Ne consegue, nel caso davanti al TAR Lazio, che è illegittimo non considerare equiparabili ai master di secondo livello i diplomi delle Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali (SSPL), in particolare a parità di crediti formativi e di materie.
Sempre con riferimento ai diplomi delle SSPL, il diploma di specializzazione e il master di II livello figurano entrambi nell’ottavo livello formativo del sistema di referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008.
Si legge nella sentenza che, pertanto, “deve ritenersi viziata da eccesso di potere, sotto il profilo del difetto di istruttoria e di manifesta illogicità, la decisione dell’amministrazione di limitare la valutazione ai soli master di secondo livello, escludendo la valutazione dei diplomi di specializzazione che pure rientrano nel medesimo livello formativo del sistema di referenziazione”.
Il testo della sentenza
Di seguito si riporta un estratto della sentenza del TAR Lazio
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Occorre premettere che, in materia di valutazione dei titoli formativi post lauream ai fini dell’accesso al pubblico impiego, si registrano nella giurisprudenza amministrativa due differenti orientamenti interpretativi: uno ancorato a criteri formali o nominalistici e uno fondato su criteri di tipo sostanziale.
Tra questi due orientamenti il Consiglio di Stato ha da tempo prestato adesione a quello basato su criteri di natura sostanziale, ritenendo (a prescindere dal nomen iuris) equiparabili ai master i corsi di perfezionamento post lauream che presentino le medesime caratteristiche, con riguardo alla durata, al numero delle ore di insegnamento, alla previsione di un esame finale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 aprile 2009 n. 2515). Il richiamato orientamento giurisprudenziale è stato recentemente confermato dal Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza 26 luglio 2017 n. 3695.
La Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano ha sancito, in data 20 dicembre 2012, l’Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008. Nel predetto Accordo, che è stato recepito con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 13 febbraio 2013, il diploma di specializzazione e il master di II livello figurano entrambi nell’ottavo livello formativo del sistema di referenziazione.
Orbene, nel caso di specie, l’amministrazione non contesta la pertinenza del titolo dichiarato dalla ricorrente alle materie indicate nell’art. 2 del bando di concorso, né contesta il numero dei crediti formativi o delle ore teorico – pratiche previste per il conseguimento del predetto titolo; ne consegue, sulla base delle coordinate ermeneutiche sopra richiamate, che deve ritenersi viziata da eccesso di potere, sotto il profilo del difetto di istruttoria e di manifesta illogicità, la decisione dell’amministrazione di limitare la valutazione ai soli master di secondo livello, escludendo la valutazione dei diplomi di specializzazione che pure rientrano nel medesimo livello formativo del sistema di referenziazione.
Né può considerarsi ostativa all’accoglimento della domanda di annullamento (in parte qua) degli atti impugnati l’invocata applicazione del principio dell’autovincolo costituito dalle previsioni del bando di concorso, in quanto dette previsioni sono state impugnate dalla ricorrente nella parte in cui attraverso una interpretazione letterale vengano considerate preclusive alla valutazione del titolo formativo post lauream da essa conseguito.
Infine, non appare pertinente la giurisprudenza invocata dalla amministrazione resistente (anche di questa sezione), secondo la quale la individuazione dei titoli professionali di accesso al pubblico impiego è rimessa ad una valutazione latamente discrezionale della p.a., in relazione al profilo professionale dei posti da ricoprire; a tale riguardo, il Collegio deve rilevare che nel caso di specie la ricorrente non contesta i requisiti di accesso al concorso, quanto piuttosto i titoli valutabili dalla Commissione di concorso ai fini della attribuzione del punteggio e della collocazione nella graduatoria finale di merito.
In conclusione, per le ragioni sopra indicate, assorbita ogni altra censura, va accolta la domanda di annullamento degli atti impugnati nella parte in cui limitano l’attribuzione del punteggio previsto dall’art. 9 del bando di concorso ai soli master di II livello (relativi alle materie di cui all’art. 2 del medesimo bando), con esclusione dei titoli formativi post – lauream come quello vantato dalla ricorrente (diploma di specializzazione per le professioni legali), appartenente al medesimo livello formativo, con conseguente declaratoria del diritto della ricorrente alla rideterminazione del punteggio ad essa spettante, ai fini della corretta collocazione nella graduatoria finale.