L’espressione “golden power” indica quell’insieme di poteri speciali che nel nostro ordinamento detiene il Governo e che questi può esercitare nei settori strategici del mercato, al fine di tutelare l’interesse dello Stato italiano.
Tale locuzione fa seguito alla precedente locuzione “golden share”, utilizzata per indicare le cosiddette azioni privilegiate: il vecchio assetto, infatti, prevedeva che lo Stato – in caso di privatizzazione di imprese pubbliche – conservasse una partecipazione azionaria con diritto di opporre il veto su scelte cruciali per l’impresa interessata, ed in tal senso tali azioni venivano definite “privilegiate”.
Il sistema di golden share è stato oggetto di una procedura di infrazione della Commissione europea che ha ritenuto che esso andasse oltre il mero intento di tutelare gli interessi dello Stato, spingendosi fino a violare la libera circolazione dei capitali.
Ed ecco che si è giunti alla disciplina del golden power, introdotta con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, conv. in legge 11 maggio 2012, n. 56, recante le “norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”.
La succitata normativa consente allo Stato di esercitare poteri speciali nei confronti di tutte le società che svolgono attività di rilevanza strategica, quali l’imposizione di specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, ovvero l’opposizione del veto su delibere che riguardino operazioni straordinarie delle società stesse.
Le trasformazioni socio-economiche del mondo attuale, imprevedibili ed enormemente mutevoli, hanno portato il legislatore ad ampliare l’elenco dei settori strategici in cui si ammette l’esercizio del golden power: si pensi, a titolo esemplificativo, al settore dei servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G (legge 20 maggio 2019, n. 41, di conversione del cosiddetto “decreto Brexit”), nonché ai settori finanziario, creditizio, assicurativo, energia, acqua, trasporti, salute, sicurezza alimentare, intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, cybersecurity (legge n. 5 giugno 2020, n. 40, di conversione del cosiddetto “decreto Liquidità”).
Ebbene, è proprio in questo interessante quadro normativo che si inserisce la pronuncia del T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 13 aprile 2022, n. 4486, confermata di recente da Consiglio di Stato, sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 289.
La controversia, attinente proprio ad una fattispecie di esercizio del potere governativo di veto ad un’acquisizione societaria, ai sensi dell’art. 2, d.l. n. 21/2012, ha ad oggetto l’impugnativa del D.P.C.M. del 21 ottobre 2021, adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri del 19 ottobre 2021, mediante il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri ha vietato l’acquisizione, da parte della società di diritto svizzero Syngenta Crop Protection AG, dell’intero capitale sociale della società di diritto olandese Verisem B.V. e delle sue controllate, ivi incluse – per quel che ci interessa – le cinque società avente sede in Italia, tutte a vario titolo attive nel settore sementiero, settore annoverabile in quelli strategici di cui agli artt. 6, 9 e 11, D.P.C.M. n. 179/2020.
Va detto che la società Syngenta Crop Protection AG è una delle quattro principali business unit di cui si compone il gruppo societario facente capo alla società di diritto svizzero Syngenta AG, a sua volta controllata dalla multinazionale cinese ChemChina, costituente una State-Owned Enterprise (SOE) della Repubblica Popolare Cinese: il Governo italiano, dopo aver espletato un’analisi accurata dell’operazione straordinaria che le società interessate auspicavano di portare a termine, ha precisato che l’eventuale cessione avrebbe potuto pregiudicare gli interessi nazionali in un settore economico sensibile del nostro Stato.
Ora, tralasciando di considerare in questa sede i vizi prospettati in relazione al D.P.C.M. 21 ottobre 2021, la ricorrente PSP Verisem Luxembourg Holding S.À.R.L. ha censurato l’art. 11, lett. c), D.P.C.M. del 18 dicembre 2020, n. 179 – recante il “Regolamento per l’individuazione dei beni e dei rapporti di interesse nazionale nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, a norma dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56” -, che definisce le attività strategiche nel settore agroalimentare, ritenendolo viziato per indeterminatezza e in contrasto con i principi di legalità, imparzialità e uguaglianza.
In particolare, l’art. 2, comma 1-ter, d.l. 21/2012 demanda ad uno o più D.P.C.M. il compito di individuare i “beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale”, nei quali lo Stato può intervenire a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Proprio in tale ottica è stato adottato il D.P.C.M. n. 179/2020, il cui art. 11, lett. c), in particolare, dispone che “rientrano tra i beni e i rapporti di cui all’articolo 1: […] c) le attività economiche di rilevanza strategica e l’approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera agroalimentare”.
I Giudici di primo grado, relativamente all’asserita violazione del principio di legalità per carenza di una specifica e tassativa indicazione degli attivi strategici nel settore agroalimentare, suscettibili dell’applicazione dei poteri speciali previsti dal d.l. n. 21/2012, hanno chiarito che “la tecnica redazionale adoperata per individuare gli asset nel settore agroalimentare rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell’impossibilità di una catalogazione puntuale e minuta degli attivi strategici” (cfr. T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4486).
Quanto affermato nella suddetta pronuncia si discosta enormemente dalle (poche) precedenti pronunce sul tema, tutte nel senso di pretendere una previa catalogazione normativa di uno specifico settore come “strategico” ai fini della legittima applicazione della disciplina golden power (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 luglio 2021, n. 727), nonché nel senso di ritenere illegittimo ogni esercizio di poteri speciali in settori non tassativamente e puntualmente ricompresi tra quelli normativamente indicati quali “strategici”.
Con la pronuncia qui richiamata, per converso, il Collegio ha ritenuto legittima una tecnica redazionale che lascia nell’indeterminatezza il concetto di “beni e rapporti strategici”, altresì ammettendo che possa legittimamente essere opposto il veto in un settore strategico – quale è quello agroalimentare -, ove ciò avvenga a garanzia della sicurezza nazionale.
Come è stato autorevolmente sostenuto, la sentenza n. 4486/2022 “esprime una tesi precisa: la necessità di sacrificare parzialmente la predeterminazione rigorosa dei presupposti applicativi dei poteri golden power per garantire una efficiente tutela dell’interesse pubblico alla sicurezza (nel caso di specie, alla sicurezza agro-alimentare)”, ma, parimenti, reca con sé il rischio “di una fuga dell’esercizio di poteri autoritativi dalla cornice dei principi costituzionali e euro-unitari che regolano l’attività amministrativa” (cfr. A. PACCIONE, Il Golden Power e il principio di legalità, in Giornale di diritto amministrativo 5/2022, cit. p. 659).
In definitiva, con la sentenza del T.A.R. Lazio-Roma n. 4486/2022, confermata da ultimo dal Consiglio di Stato n. 289/2023, si è optato per un (sorprendente) allentamento delle maglie del principio di legalità, sacrificando un suo rigido ancoraggio a predeterminazioni puntuali e tassative dei settori strategici in cui può trovare applicazione la disciplina golden power, a favore di un’espansione della discrezionalità amministrativa.
Si badi, tuttavia, che l’esercizio della discrezionalità amministrativa deve essere pur sempre funzionalizzato all’interesse dello Stato e, conseguentemente, alla tutela dei suoi interessi essenziali: ben si ammettono, pertanto, divieti di acquisizioni ad opera di investitori pericolosi per detti interessi.
Del resto, come chiarito di recente da Cons. St., sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 289, nel caso che qui occupa “siamo al di fuori della materia lato sensu penale (che impone, come noto, la necessità di una particolare tassatività nell’enucleazione della fattispecie normativa), esulando dalla normativa sul golden power qualsivoglia finalità afflittiva; parimenti, non ricorre l’imposizione di una prestazione patrimoniale ex art. 23 Cost., ma la mera previsione legislativa di un presidio di verifica della compatibilità dell’iniziativa economica privata con l’utilità sociale (art. 41 Cost.), espressione ampia in cui certo rientra l’interesse nazionale in ordine a “beni e rapporti strategici” come individuati dalla legge”, non essendovi dunque alcuna norma costituzionale che osti al ricorso a concetti giuridici indeterminati o a formule aperte per l’individuazione dei settori in cui è esercitabile il golden power.
Staremo a vedere, in ogni caso, come continuerà ad orientarsi la giurisprudenza amministrativa sul punto.