L’art. 120 del c.p.a. disciplina i processi amministrativi soggetti al c.d. rito speciale appalti ed il d.lgs. n. 36 del 2023, efficace dal 1°luglio 2023, vi appone delle rilevanti modifiche.
Una delle più significative è sicuramente quella sulla non necessità del pagamento del contributo unificato per i motivi aggiunti. L’art. 120, comma 7, c.p.a., difatti, ora dispone: “I nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara sono impugnati con ricorso per motivi aggiunti, senza pagamento del contributo unificato”.
La ratio della norma sta sicuramente nell’agevolare l’esercizio stesso del diritto di azione costituzionalmente garantito, che, il regime previgente, comportando per i motivi aggiunti il pagamento di un contributo unificato di importo particolarmente oneroso, in qualche modo ostacolava (considerando anche che nel caso di impugnazione degli atti di una gara di appalto la proposizione di motivi aggiunti è un’evenienza piuttosto comune). Si ricorda, infatti, che il T.U. sulle spese di giustizia, il d.p.r. 115/2002, prevede, al suo art. 13 comma 6bis lett.d) che, per il rito appalti, “il contributo dovuto (per i ricorsi principale, incidentale e per motivi aggiunti) è di euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro è pari ad euro 6.000”.
Fondamentale domanda da porsi è: a quali motivi aggiunti, dal punto di vista temporale, si applica tale esenzione?
Essendo, come noto, fissata al 1°luglio la data a partire dal quale il d.lgs. n. 36 del 2023 acquista efficacia, la risposta a tale quesito sembra essere: l’esenzione andrà applicata a tutti i motivi aggiunti depositati dal 1°luglio in poi, indipendentemente da quando il ricorso originario è stato proposto e da quando la gara di riferimento è stata indetta.
Ulteriore modifica ai processi amministrativi soggetti al c.d. rito speciale appalti è quella sulla necessità dell’indicazione del CIG della gara (introdotto dal d.l. 136/2010), rilasciato dall’ANAC allo scopo di identificare e tracciare le transazioni in denaro che la gara genera e richiesto dal RUP competente. L’art. 120, comma 1, c.p.a., difatti, ora dispone: “ […] In tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del giudice è indicato il codice identificativo di gara (CIG); nel caso di mancata indicazione il giudice procede in ogni caso e anche d’ufficio, su segnalazione della segreteria, ai sensi dell’articolo 86, comma 1”.
La ratio della norma sta sicuramente nella concentrazione e nel buon andamento dei processi, in modo tale da poter assegnare ricorsi contro la stessa gara alla medesima sezione del T.A.R./Consiglio di Stato competente e, così, consentire trattazione e decisione unitaria e, dunque, evitare rinvii per trattazione congiunta o, addirittura, decisioni contraddittorie.
La norma non fa alcun riferimento alla modalità con la quale il CIG dovrebbe essere apposto. La soluzione che appare più opportuna e che non necessita ulteriori modifiche normative sarebbe quella di prevedere nel modulo elettronico del PAT un’apposita casella nella quale dover indicare il CIG, pena il blocco del sistema se il campo non venga compilato.
Ma come ci si dovrebbe comportare per i casi in cui il rilascio del CIG non sia previsto (es. contratti di acquisto acqua), o per i casi in cui il RUP competente non lo abbia richiesto o non lo abbia reso noto?
Sarebbe necessario che il modulo elettronico del PAT, accanto alla casella nella quale dover indicare il CIG, ne prevedesse un’altra nella quale poter indicare che il CIG non sia previsto/richiesto/noto, compilando la quale il sistema non si blocchi. In tal modo, la necessità dell’apposizione di tale indicazione per la ratio di cui sopra non ostacolerebbe comunque l’esercizio del diritto di azione costituzionalmente garantito.
E come, ancora, ci si dovrebbe comportare per i casi in cui vi è più di un CIG che indica la stessa vicenda, ad esempio il CIG padre e il CIG figlio, o il CIG master e gli altri CIG ordinari?
In tali casi sarebbe necessario che il modulo elettronico del PAT consentisse di indicare più di un codice.
Anche qui la domanda da porsi è: a quali atti e provvedimenti, dal punto di vista temporale, deve essere apposta tale indicazione?
Ed anche qui, essendo fissata al 1°luglio la data a partire dal quale il d.lgs. n. 36 del 2023 acquista efficacia, la risposta a tale quesito sembra essere: il CIG dovrà essere indicato in tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del giudice depositati dal 1°luglio in poi, indipendentemente da quando il ricorso originario è stato proposto e da quando la gara di riferimento è stata indetta.
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