Nuovo Codice degli appalti – Principio di conservazione dell’equilibrio del contratto

Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il rischio ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. [..]”

 L’art. 9 del nuovo Codice appalti si riferisce alle ipotesi in cui circostanze normative o fattuali sopravvenute rispetto alla stipulazione del contratto ne alterino in maniera rilevante l’originario equilibrio economico. Dette circostanze devono essere straordinarie e imprevedibili, ossia di rara verificazione da un punto di vista statistico e non prevedibili al momento della stipulazione secondo il parametro dell’homo eisdem condiciosis et professionis. Inoltre, esse assumono rilevanza qualora l’alterazione dell’equilibrio economico del contratto sia estranea alla normale alea del contratto, esulando dal rischio normalmente insito nell’operazione programmata e che le parti hanno assunto con la stipulazione.
La norma recepisce l’orientamento giurisprudenziale che afferma la rilevanza delle sopravvenienze quale fonte di uno specifico obbligo di rinegoziazione ex buona fede.
In particolare, le sopravvenienze sono oggetto di una specifica disciplina nel codice civile (articoli 1463 e ss.). Ai sensi dell’art. 1467 c.c., in caso sopravvenienze straordinarie e imprevedibili che rendano una prestazione eccessivamente onerosa, alterando l’originario sinallagma contrattuale, la parte svantaggiata ha diritto a ottenere una sentenza costitutiva che risolva il contratto. Il codice riserva alla sola parte avvantaggiata il diritto a evitare la risoluzione del contratto, tramite l’offerta di una modifica delle condizioni del contratto che riportino l’operazione all’interno della normale alea. La parte svantaggiata, dunque, ha disposizione solo il rimedio risolutorio, non anche un rimedio manutentivo.
Tuttavia, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, il principio di buona fede è fonte di uno specifico obbligo di rinegoziazione in capo alla parte avvantaggiata dalle sopravvenienze, cui corrisponde un diritto soggettivo della parte svantaggiata. La recente giurisprudenza ha affermato la sussistenza di un obbligo non solo di contrattare, ma di contrarre. Conseguentemente, in caso di inadempimento della parte avvantaggiata, la controparte ha la possibilità di agire ex art. 2932 c.c. per ottenere una sentenza costitutiva che modifichi le originali previsioni contrattuali e riporti l’equilibrio economico dell’operazione all’interno della sua normale alea.

Natura della posizione giuridica in capo alla parte svantaggiata

Si pone la questione interpretativa relativa alla natura giuridica della posizione giuridica che l’art. 9 d.l.gs. n. 36 del 2023 riconosce alla parte che subisce gli effetti sfavorevoli delle sopravvenienze.

Secondo una prima tesi la locuzione utilizzata dalla norma va intesa in senso tecnico. In questo senso, essa sancisce un vero e proprio diritto contrattuale alla rinegoziazione secondo buona fede. Conseguentemente, il rifiuto di rinegoziare costituisce inadempimento contrattuale, a fronte del quale la controparte può attivare il rimedio di cui all’art. 2932 c.c. L’applicazione dell’art. 2932 c.c. non pone problemi, in quanto è lo stesso art. 9, comma 2, a individuare le condizioni della rinegoziazione. Esso infatti stabilisce che “la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica”. Quindi, il legislatore ha fissato i parametri che devono guidare il giudice nella pronuncia della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenga luogo dell’accordo modificativo tra le parti.

Secondo una diversa tesi, invece, la locuzione utilizzata dalla norma non va intesa in senso tecnico. Piuttosto, si ritiene che l’Amministrazione appaltante avvantaggiata dalle sopravvenienze rimanga titolare di un potere amministrativo discrezionale in ordine alla scelta se apportare o meno le modifiche che ristabiliscano l’equilibrio economico del contratto. Il privato appaltatore, quindi, è titolare di un interesse legittimo di tipo pretensivo, a tutela del quale egli può sollecitare l’Amministrazione a determinarsi sulla rinegoziazione e, in caso di silenzio, può agire in giudizio ex articoli 31 e 117 c.p.a.

I limiti alla rinegoziazione

La rinegoziazione di cui all’art. 9 subisce dei limiti in considerazione del fatto che essa riguarda un contratto stipulato a esito di una gara pubblica. In particolare, le modifiche apportate all’originario regolamento contrattuale devono limitarsi ai correttivi necessari a ristabilire l’equilibrio economico alterato dalle sopravvenienze. Al contrario, non possono essere tali da snaturare l’oggetto della gara, rendendo il contratto tale che la gara che lo ha preceduto avrebbe avuto partecipanti ed esito diversi. Tali modifiche, infatti, si tradurrebbero nella stipulazione di un contratto diverso non preceduta da una gara a evidenza pubblica.
Tali limiti sono espressamente enunciati dal legislatore del nuovo codice. Infatti, il comma 5 dell’art. 9 stabilisce che “in applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120”. Le norme richiamate disciplinano, rispettivamente, le clausole di revisione dei prezzi inserite nei documenti di gara e le modifiche dei contratti di appalto consentite in corso di esecuzione. Entrambe stabiliscono che le modifiche in corso di esecuzione del contratto non possono mai portare a una alterazione della struttura del contratto o dell’operazione economica.

 

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Redazione

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