Il Consiglio di Stato sui limiti quantitativi al subappalto

L’istituto del subappalto, disciplinato dal codice dei contratti pubblici, rappresenta uno strumento che consente la partecipazione alle commesse pubbliche di imprese di medie e piccole dimensioni che non soddisfano i requisiti di partecipazione alla gara, ma che allo stesso tempo sono maggiormente presenti nel tessuto socio-economico del nostro Paese.

Allo stesso tempo, il subappalto consente all’impresa aggiudicataria di organizzarsi al meglio per l’esecuzione del contratto, affidando a terzi parte delle prestazioni.

La disciplina dei contratti pubblici contenuta nel previgente d.lgs. 50/2016 prevedeva aprioristicamente un limite quantitativo al subappalto, giustificandolo con l’esigenza per la stazione appaltante di mantenere un controllo sull’esecuzione del contratto e con quella di contrastare le infiltrazioni mafiose nell’ambito dei contratti pubblici.

Tale assetto è stato criticato dalla Corte di Giustizia europea (C. C-402/18), la quale lo ha ritenuto in contrasto con il diritto europeo e con il principio di proporzionalità; in particolare, la pronuncia in questione ha stigmatizzato il fatto che la normativa nazionale imponesse in modo generale e astratto che l’offerente realizzasse una parte rilevante delle prestazioni autonomamente, anche se tale limite nel ricorso al subappalto non è necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto, rilevando che «l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano potrebbe essere raggiunto da misure meno restrittive», implicanti specifiche valutazioni.

Le osservazioni del giudice europeo sono state a suo tempo accolte dal legislatore italiano che ha proceduto a modificare l’art. 105 d.lgs. 50/2016 mediante il d.l. 77/2021 (la disciplina è ora contenuta dell’art. 119 del d.lgs. 36/2023).

Con recente sentenza n. 4161/2024, il Consiglio di Stato si è pronunciato in materia di limiti quantitativi al subappalto previsti all’interno del bando.

In particolare, l’impresa appellante aveva censurato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo il diniego della stazione appaltante nei confronti della sua proposta di affidare parte delle prestazione ad altra azienda.

L’impresa aveva ritenuto illegittima la previsione del limite quantitativo contenuta all’interno della lex specialis, richiamando proprio la sentenza della CGUE del 2018, dalla quale – a suo dire – sarebbe disceso un divieto assoluto di prevedere limiti al subappalto.

Invero, il Consiglio di Stato ha chiarito la portata della predetta sentenza, affermando che la giurisprudenza europea vieta unicamente al legislatore di limitare “ in modo generale e astratto il ricorso al subappalto per una quota parte che superi una percentuale fissa dell’importo dell’appalto pubblico di cui trattasi, sicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, della natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un tale divieto generale non lascia spazio alcuno a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” .

Ciò significa che una limitazione specifica del ricorso al subappalto, sostenuta da adeguata motivazione, possa assolutamente ritenersi legittima, perché stabilita non in astratto dal legislatore, ma in concreto dalla singola Stazione appaltante.

Redazione

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