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La scorsa puntata del webinar “L’Ora Legale”, curato dall’avvocato Carmelo Giurdanella e dal dottor Santo Fabiano, è stata dedicata al tema della co-progettazione.
Uno degli ospiti, il dottor Alberto Barbiero, ha ricostruito l’evoluzione della co-progettazione all’interno del nostro ordinamento; l’istituto fu introdotto dalla L. 228/2000 (per i servizi sociali), e l’art. 5 (rubricato “Ruolo del Terzo settore”) conteneva il favor, già del legislatore del periodo, nei confronti di forme di cooperazione tra enti del terzo settore e amministrazioni.
Tuttavia, per lungo tempo la co-progettazione è stata ritenuta un’eccezione alla disciplina della contrattualistica pubblica se non addirittura in potenziale contrasto con i principi dell’evidenza pubblica.
Per questo motivo, fino a non poco tempo fa, si riteneva che anche i rapporti di collaborazione tra amministrazioni e enti privati senza fine di lucro dovesse attenersi alle regole contenute all’interno del codice degli appalti.
Questo orientamento è condensato all’interno di un parere del Consiglio di Stato del 2018, secondo il quale, ogniqualvolta sia instaurato un rapporto tra amministrazione e ente del terzo settore per l’affidamento di un servizio e anche qualora sia prevista la corresponsione di un mero contributo, deve essere comunque fatta applicazione delle regole contenute all’interno del codice dei contratti pubblici.
Sennonché, la Corte costituzionale, con l’importante sentenza n 131/2020, ha stabilito che la co-progettazione non si pone in rapporto di genere a specie con la materia degli appalti e concessione pubbliche, in quanto si tratta di un modulo alternativo (avente pari dignità) rispetto a quello dell’evidenza pubblica.
La sentenza è stata subito recepita – attraverso una novella- all’interno del precedente Codice dei contratti, d.lgs. 50/2016.
E tale orientamento è confermato dall’art. 6 del nuovo Codice dei contratti pubblici, che reca “In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi i contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017.”
La superiore norma conferma il ruolo della co-progettazione come modulo alternativo e a sé stante che l’amministrazione può utilizzare per soddisfare interessi di natura pubblica.
Ciò detto, la progettazione richiede che la P.A. instauri un rapporto con enti del terzo settore:
-che abbiano rinunciato alle finalità di lucro in senso soggettivo;
-che siano iscritti nell’apposito registro istituito presso il Ministero del Lavoro (RUNTS)
-che perseguono di finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale;
-che svolgano , in via principale o esclusiva, di una attività di interesse generale.
È esclusa la corresponsione di corrispettivi in senso proprio, ma si dovrà più correttamente parlare di rimborsi di spese effettivamente sostenute.
La co-progettazione può essere utilizzata solo nel settore dei servizi sociali?
Il secondo ospite della puntata, il dott. Paolo Brambilla, ha messo in luce le innumerevoli potenzialità dello strumento della co-progettazione, le quali non si esauriscono nell’affidamento dei servizi sociali, ma possono concernere le molteplici attività di interesse pubblico elencate all’interno dell’art. 5 del TU sul Terzo Settore (d.lgs. 117/2017) .
La co-progettazione è in effetti lo strumento che consente di mettere insieme risorse pubbliche (fondi, beni mobili e immobili di proprietà della PA) e il carattere imprenditoriale degli enti del terzo settore, che posseggono professionalità e risorse economiche da investire in settori come beni culturali ovvero per la gestione e il “riutilizzo” dei beni confiscati alla mafia.
Il dottor Brambilla ha utilizzato una parola d’ordine, la quale – sebbene non prettamente giuridica – è utile per comprendere come debba essere utilizzata la co-progettazione: “fantasia”!
Messo da parte il timore che l’istituto crei una pericolosa distorsione alle regole della concorrenza, e una volta ricondotto al paradigma della sussidiarietà orizzontale, la co-progettazione si mostra come uno strumento innovativo che apre l’amministrazione a quei privati con una vocazione per il sociale e crea opportunità di collaborazione in cui si usano le potenzialità della macchina amministrativa unendole alle competenze e risorse dei privati.