Il nuovo codice dei contratti contiene al suo interno una disciplina dell’accesso agli atti di gara che si discosta da quanto era previsto dal d.lgs. 50/2016, all’art. 76, comma 2.
La predetta norma stabiliva che, qualora ne fosse stata fatta richiesta, la stazione appaltante avrebbe comunicato tempestivamente o comunque entro 15 giorni, informazioni relative ai motivi di esclusione, il nome dell’offerente aggiudicatario dell’appalto ovvero altre informazioni relative all’espletamento della procedura di selezione.
Ad avviso della giurisprudenza, in relazione alla disciplina di cui all’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016, “quanto all’esatto computo dei termini decadenziali va rilevato in generale che: a) il termine di trenta giorni per impugnare l’aggiudicazione decorre dalla data della sua comunicazione o pubblicazione sull’albo pretorio online della stazione appaltante; b) considerata la “dilazione temporale” di 15 giorni, praticata sulla base della presentazione di una istanza di accesso agli atti, è consentita la notifica del ricorso entro 45 giorni dalla pubblicazione dell’aggiudicazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599); e ciò in linea con le statuizioni dell’Adunanza plenaria 2 luglio 2020, n. 12.
La soluzione approntata dalla giurisprudenza era volta ad evitare i cd. “ricorsi al buio”, ossia la proposizione del gravame avverso il provvedimento di aggiudicazione, pur non disponendo delle informazioni contenute in documenti dei quali si era chiesta l’ostensione alla stazione appaltante ma di cui ancora non si disponeva.
Tenere conto del termine dilatorio di 15 giorni di cui all’art. 76, comma 2, d. lgs. 50/2016, dunque, evitava la dichiarazione di irricevibilità del ricorso per tardività e, allo stesso tempo, consentiva al ricorrente di disporre di tutti gli elementi utili per contestare il provvedimento amministrativo.
Tuttavia, con sentenza n. 13225/2024, il T.A.R. Lazio, Roma Sez. IV , ha sottolineato che il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) prevede, all’articolo 35, comma 1, che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.
In ossequio al principio di digitalizzazione che ispira la nuova disciplina dei contratti pubblici, ma anche in virtù del principio del risultato che richiede alle stazioni appaltanti ed enti concedenti di procedere con la massima celerità, anche il volto del diritto all’accesso nell’ambito delle commesse pubbliche è mutato.
Allo stato attuale, dunque, l’accesso è automatico e non è più necessaria un’apposita richiesta; l’amministrazione procedente, nel rispetto del principio di trasparenza, mette a disposizione dei concorrenti tutti gli atti di gara secondo quanto previsto dagli articoli 35 e 36 d.lgs. 36/2023.
Pertanto, il T.A.R. ha affermato quanto segue “Di conseguenza, nella specie non è applicabile l’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016 (“su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta”), disposizione abrogata dal nuovo codice dei contratti pubblici: il che rende, parimenti, inapplicabile il peculiare termine di proroga del termine impugnatorio elaborato dalla giurisprudenza, nei termini sopra indicati”.
Da tutto quanto precede, deriva che, ad oggi, il ricorso va proposto nel termine di 30 giorni, non potendosi più concedere la dilazione temporale dei 15 giorni aggiuntivi che, alla luce della disciplina vigente, non ha più ragione d’esistere.