Sin dall’entrata in vigore della legge sull’equo compenso, ci si è interrogati sul rapporto tra detta legge e l’ecosistema dei contratti pubblici.
In particolare, si è cercato di capire se la L. 49/2023 sia destinata ad integrare i bandi di gara, determinando l’esclusione delle offerte che prevedano un eccessivo ribasso del compenso previsto a favore dei professionisti.
Sul punto, il TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 632/2024 e il TAR Lazio, Roma, sez. V, n. 8580/2024, hanno affermato che la materia degli appalti è destinata ad essere integrata dalla disciplina sull’equo compenso, negando che gli eventuali ribassi operati dagli offerenti possano incidere sulla parte dell’offerta economica che attiene al compenso.
I giudici amministrativi hanno ritenuto che le dinamiche concorrenziali sarebbero comunque garantite dalla possibilità per gli operatori economici di effettuare ribassi su altre voci di costo come quelle attinenti agli oneri o costi generali; senza contare che il confronto competitivo si realizza anche rispetto all’offerta tecnica e alla qualità dei servizi.
Su una posizione antitetica si è collocata ANAC con una nota del 23 aprile 2024, indirizzata alla Cabina di Regia per il Codice dei contratti pubblici, richiedendo un intervento chiarificatore da parte del Legislatore in merito al rapporto tra d.lgs. 36/2023 e L. 49/2024.
Per l’Autorità l’applicazione della legge sull’equo compenso alla materia dei contratti pubblici rischierebbe di contrastare con i principi ispiratori del sistema degli appalti, quali la concorrenza e la massima partecipazione; la sanzione civilistica della nullità prevista dalla l. 4972023 per le clausole che stabiliscono compensi non equi impedirebbe il confronto competitivo e di penalizzare gli operatori più giovani, i quali – secondo ANAC – non potendo contare su esperienza pregressa o strutture organizzative robuste, utilizzano i ribassi per rendere maggiormente appetibile la propria offerta economica.
Il T.A.R. della Campania, sezione staccata di Salerno (sez. II) con sentenza n. 1494/2024 è recentemente tornato sull’argomento, escludendo l’eterointegrazione dei bandi di gara con le disposizione della legge sull’equo compenso.
Per il Collegio, la disciplina del d.lgs. 36/2023 contiene al suo interno gli strumenti necessari a tutela dell’equo compenso a favore dei professionisti.
Infatti, il Codice dei contratti pubblici prevede un subprocedimento di verifica delle offerte anomale – tra cui rientrano anche quelle caratterizzate da un ribasso eccessivo- destinate ad essere escluse dalla Stazione appaltante (non a monte, in quanto ciò contrasterebbe con il principio di tassatività delle cause di esclusione).
Sul punto, il Collegio ha ricordato che all’interno del Codice “È prevista l’applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi)”.
Deve poi considerarsi che è lo stesso articolo 8, comma 2, d.lgs. 36/2023 che stabilisce che “Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso.”
In altri termini, il principio dell’equo troverebbe adeguata tutela all’interno del d.lgs. 36/2023, il quale, dunque, non sarebbe destinato a entrare in contrasto con la legge 49/2023
Lo stesso articolo 3 della L. 49/2023 farebbe salve dalla sanzione della nullità le clausole che prevedono l’applicazione di compensi inferiori ai minimi tabellari in quanto riproduttive di disposizioni di legge (tra cui rientrano le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici) o attuative di principi europei (tra cui il principio di concorrenza).
Sulla base delle precedenti osservazioni, il T.A.R. Campania esclude la possibilità che i bandi di gara siano eterointegrati con le disposizioni contenute all’interno della legge sull’equo compenso, ricordando come l’istituto dell’eterointegrazione non sia destinato a operare in maniera generalizzata.
A tal proposito, il Collegio ha ribadito che “l’eterointegrazione del bando costituisce – in relazione alla sua attitudine ad incidere in maniera significativa sull’affidamento che la platea dei potenziali concorrenti deve poter nutrire sulla chiarezza, precisione ed univocità delle condizioni richieste per l’accesso alle procedure evidenziali, la cui formulazione incombe alla stazione appaltante – dispositivo del tutto eccezionale, suscettibile di operare solo in presenza di norme di settore a generale attitudine imperativa, la cui deroga sia in principio preclusa alle opzioni programmatiche della stessa amministrazione aggiudicatrice (Cons. Stato, 28 agosto 2019, n. 5922). Anche la Corte di Giustizia ha riconosciuto che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, consentendo allo stesso un termine per regolarizzare la posizione (Corte di Giustizia, sentenza 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo)”.
Il Collegio conclude rilevando che il cuore del settore degli appalti è rappresentato dalla concorrenza che si gioca anche sul prezzo integralmente inteso, poiché una limitazione ad alcune voci di costo (oneri e spese generali) snaturerebbe il confronto competitivo a discapito di alcuni operatori economici (anche il T.A.R. Campania, come ANAC, fa riferimento ai concorrenti più giovani e inesperti).
La stessa legge sull’equo compenso, del resto, escluderebbe, secondo il T.A.R. Campania, la sanzione della nullità quando si tratti di clausole riproduttive di disposizioni di legge (come ad esempio il d. lgs. 36/2023) ovvero che riproducono disposizioni o attuano principi europei (principio della concorrenza e del favor partecipationis).