Segnaliamo due recenti sentenze della Corte di Cassazione Penale e del Consiglio di Stato in materia di rifiuti e, in particolar modo, sulla condotta di abbandono dei rifiuti.
Dal punto di vista penale, gli articoli 255 e 256, comma 2, del Testo Unico Ambiente (d.lgs. 152/2006) puniscono chi, in qualità di privato cittadino o di esercente un’attività imprenditoriale, “abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee”.
Di recente, la Cassazione Penale, con sentenza n. 29076/2024 ha ulteriormente chiarito l’ambito di applicazione dell’articolo 256, comma 2, d.lgs. 152/2006 con specifico riferimento all’autore della condotta illecita; la norma, infatti, individua come soggetto attivo il titolare di un’impresa ovvero il responsabile di un ente.
Nel caso concreto all’esame del supremo consesso, la difesa aveva cercato di contestare l’applicabilità dell’articolo 256, comma 2, ritenendo che la condotta dell’imputato fosse riconducibile alla fattispecie di cui all’articolo 255 TUA, che punisce l’abbandono di rifiuti commesso dal comune cittadino.
Tuttavia, le risultanze probatorie fornite dalla pubblica accusa non davano spazio a ricostruzioni alternative; la quantità ed eterogeneità dei rifiuti trasportati e poi abbandonati, il fatto che l’autocarro utilizzato per il trasporto risultasse iscritto all’albo dei gestori ambientali e, infine, la circostanza che il mezzo fosse di proprietà dell’imputato e che fosse stato ceduto in comodato a una società operante nel settore del recupero materiali lasciavano intendere che la gestione e l’abbandono dei rifiuti fossero connesse, foss’anche in via del tutto occasionale, ad un’attività d’impresa.
Con la sentenza in analisi, dunque, la Cassazione ha dimostrato che la contestazione del reato di cui all’articolo 256, comma 2, TUA non richiede la sussistenza di requisiti formali che consentano di identificare il soggetto attivo come imprenditore o responsabile di un ente (come, ad esempio, iscrizione a specifici registri, delibera assembleare di nomina a responsabile legale dell’ente), essendo sufficiente il dato fattuale dello svolgimento di un’attività economica riconducibile nell’alveo dell’articolo 2082 c.c. (“È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”).
La seconda sentenza che proponiamo si occupa di un aspetto complementare a quello penalistico, ossia delle conseguenze amministrative del deposito incontrollato di rifiuti in violazione dell’articolo 192 TUA.
La predetta norma stabilisce che, oltre alle sanzioni penali previste dagli articoli 255 e 256 TUA, chi abbandona rifiuti o li deposita in maniera incontrollata “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.”
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5694/2024, si è pronunciato sul ricorso presentato dai proprietari di un fondo che, per anni, era stato occupato abusivamente da soggetti terzi, i quali avevano generato una condizione di degrado, dovuta anche all’abbandono di rifiuti in quella stessa area; i ricorrenti avevano dedotto l’illegittimità dell’ordinanza con cui erano stati intimati, in qualità di proprietari del fondo, a rimuovere i suddetti rifiuti e a ripristinare lo stato dei luoghi, ritenendo di non esservi tenuti.
Ebbene, il Collegio, pur essendo consapevole che, in materia di danno ambientale, la giurisprudenza esonera il proprietario diligente (ossia che abbia vigilato sul proprio fondo e che, dunque, non sia responsabile dell’inquinamento) da qualsiasi onere di bonifica, ha stabilito che nella vicenda concreta tale orientamento fosse inapplicabile.
Il Consiglio di Stato, infatti, ha ritenuto che ai proprietari/ricorrenti fossero imputabili “una grave e colpevole assenza di vigilanza”; confortato dalle risultanze documentali introdotte in giudizio, il Collegio ha rilevato che lo stato di degrado dei luoghi fosse in parte imputabile ai proprietari, i quali avevano lasciato il fondo in uno stato d’abbandono e di incuria tali da permettere a terzi di introdurvisi e di abbandonare per anni rifiuti.
Tale ricostruzione è corroborata da una monolitica giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “la responsabilità, di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192 può essere” non solo “commissiva, quella a carico dell’autore del fatto inquinamento”, ma anche “omissiva, quella del proprietario o altro titolare di diritto reale cui è ascrivibile l’omessa diligenza, derivante dal fatto di essersi disinteressato a lungo del bene, permettendo colposamente che esso potesse essere scelto dall’autore materiale come luogo di discarica di rifiuti” (v. Cass. Civ. Sez. III, n. 14612/2020).
Anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, come ricordato all’interno della sentenza, vi sono pronunce dello stesso tenore, secondo cui “la a condotta illecita del terzo, responsabile dell’abbandono di rifiuti in luogo pubblico, non esonera dalla responsabilità il proprietario (rectius il titolare di diritti reali o personali di godimento) che abbia tollerato, per trascuratezza, negligenza e incuria, la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva – ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi – e dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria)” e l’evento stesso, per cui, “l’art. 192 d.lgs. 152/2006”, in caso di depositi di rifiuti discendenti da fatti illeciti di soggetti ignoti, “impone … all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che – per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche – nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti” (Cons. di St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786).”
La pronuncia analizzata conferma, dunque, che in caso di abbandono di rifiuti l’amministrazione comunale potrà ottenere dal proprietario negligente che non abbia adeguatamente vigilato sulla sua proprietà la rimessione in pristino dei luoghi e la rimozione dei rifiuti, con indubbi vantaggi per la spesa pubblica che non dovrà farsi carico di costi non indifferenti.