La PA non può agire in giudizio contro il cittadino che la critichi sui social

Con una recente sentenza del 16 maggio 2024, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (Edu) di Strasburgo si è pronunciata in materia di libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 della CEDU.

Il caso concreto riguardava una cittadina ungherese citata in giudizio da parte dell’amministrazione comunale della sua città per aver condiviso sul suo profilo Facebook un post che invitava tutti i cittadini a scendere in piazza contro la scelta del Comune di vendere a un uomo d’affari un immobile di proprietà pubblica ad un prezzo irrisorio.

L’amministrazione comunale aveva per questo motivo convenuto in giudizio la ricorrente per diffamazione, uscendo vittoriosa da tutti e tre i gradi di giudizio interni e ottenendo un risarcimento del danno non patrimoniale, consistente nella lesione della sua reputazione.

Nelle difese svolte dinanzi i Giudici di Strasburgo, il Comune ha affermato che la condotta della cittadina ungherese ha rappresentato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare – previsto dall’articolo 8 CEDU – inteso anche come tutela della reputazione di un individuo o di un ente giuridico.

In effetti, come ha affermato la Corte Edu in alcuni suoi precedenti, la nozione di tutela della vita privata è suscettibile di interpretazione estensiva fino a ricomprendere la tutela della reputazione degli individui e degli enti giuridici come imprese e società.

Per queste ultime, in particolare, esiste l’interesse all’integrità della propria immagine nell’interesse degli azionisti, dei lavoratori e dell’intero assetto economico.

La stessa tutela, tuttavia, non è riconosciuta ai soggetti pubblici e, in generale, alle società soggette a controllo pubblico.

Infatti, la Corte, richiamando un suo precedente – il caso Steel and Morris- ha affermato che Le autorità locali, aziende di proprietà del governo e partiti politici … [non possono] fare causa per diffamazione, a causa dell’interesse pubblico che un’organizzazione democraticamente eletta, o un organismo controllato da tale organizzazione, sia aperto alla critica pubblica senza inibizioni

Ammettere che un soggetto pubblico (o un partito politico) possa agire in giudizio contro un privato cittadino accusandolo di diffamazione rappresenterebbe dunque un’inaccettabile compressione al diritto di espressione tutelato dall’articolo 10 della CEDU.

Secondo la Corte Edu, gli organismi pubblici possono rispondere alle critiche sollevate nei loro confronti pubblicamente, attraverso i propri canali di comunicazione, partecipando al dibattito democratico che dovrebbe caratterizzare le nostre società.

I Giudici di Strasburgo hanno inoltre ritenuto che il caso concreto non rientrasse nell’ambito d’applicazione del secondo comma dell’articolo 10 CEDU, quando cioè eccezionalmente  l’ingerenza di un soggetto pubblico, nell’esercizio del diritto di espressione dei cittadini, sia “prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Per la Corte Edu, la condotta della ricorrente ha rappresentato legittimo esercizio del diritto di critica nei confronti della gestione da parte dell’amministrazione comunale dei beni e dei fondi pubblici.

Non è dunque consentito, di regola, ai soggetti pubblici (e ai partiti politici) di agire in giudizio contro i cittadini che esprimano critiche nei confronti del loro operato (se critica offende direttamente un funzionario pubblico, questi potrà agire personalmente a difesa della propria reputazione)

Redazione

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