Il vizio di incompetenza, assoluta o relativa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 21 octies , comma 2, l. 241/1990, in materia di dequotazione dei vizi del provvedimento.
Questa è la massima che emerge dalla sentenza della Corte di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, n. 715/2024
Nel caso concreto, il CGARS era stato adito con appello presentato dall’Assessorato Regionale Beni Culturali e Identità Siciliana congiuntamente alla Soprintendenza di un comune siciliano per ottenere la riforma della sentenza di primo grado che aveva annullato un parere reso dalla predetta Soprintendenza fuori termine massimo e in contrasto con un precedente provvedimento già rilasciato dal Comune.
La vicenda aveva ad oggetto la richiesta da parte di un privato del nulla osta in sanatoria da parte della Soprintendenza relativamente a delle opere già realizzate in area soggetto a vincolo paesaggistico; in assenza del parere, il Comune procedeva comunque al riconoscimento della sanatoria edilizia.
Sennonché, successivamente al rilascio della predetta sanatoria, la Soprintendenza si esprimeva con parere negativo contenente altresì l’ordine di demolizione delle opere realizzate.
Ebbene, tanto il T.A.R. quanto il CGARS hanno ritenuto illegittimo il parere per contrarietà con il precedente provvedimento dell’amministrazione comunale, la sola competente a decidere sulla richiesta di condono e, soprattutto, a esercitare poteri di autotutela esecutiva in questa materia.
Tra tutti i motivi d’appello proposti, per quanto qui di interesse, occorre analizzare il motivo articolato in via subordinata con cui gli appellanti hanno ritenuto che, ove si fosse affermata la competenza dell’Ente locale in materia di sanatoria edilizia, si sarebbe profilato un vizio di incompetenza relativa, dequotabile – in quanto mero vizio di forma – secondo quanto previsto dall’articolo 21 octies L. 241/1990.
Ciò i Giudici avrebbero dovuto fare privilegiando gli interessi pubblici fondamentali sottesi e tutelati dal provvedimento censurato, ossia i cd. “interessi pubblici forti” (come l’ambiente e il paesaggio).
Il CGARS non ha accolto tale ricostruzione, ritenendo che il principio di legalità cui è ispirata l’azione amministrativa non ammette che qualsiasi ente o organo – a prescindere dalle sue attribuzioni previste ex lege – adotti provvedimenti, sebbene finalizzati ala tutela di interessi rilevanti, che non rientrano nella sua competenza.
Il Collegio ha chiarito che “deve, all’opposto, affermarsi che, per quanto “forte” sia l’interesse a essa sotteso, l’attività svolta da un soggetto o da un organo incompetente è concettualmente da parificare – una volta che il vizio di incompetenza sia stato fondatamente dedotto – all’attività amministrativa non ancora esercitata, quella potendo essere svolta solo dall’ente e dall’organo cui l’ordinamento ha attribuito la competenza a provvedere”.
Un provvedimento che sia “giusto” ma che promani da un ente incompetente ad adottarlo non può, dunque, conservare la sua efficacia poiché, a ragionare altrimenti, “il cit. articolo 21-octies, nella parte in cui dequotasse pure il vizio d’incompetenza, diverrebbe strumento di palese e assoluta inciviltà giuridica.”
La sentenza in analisi suscita un’altra riflessione non attinente al regime dei vizi del provvedimento amministrativo, ma l’attività di contemperamento di interessi cui è chiamata l’amministrazione.
La difesa delle amministrazione ha parlato, infatti, di interessi pubblici cd. forti destinati, quasi automaticamente, a prevalere su altri interessi pubblici e privati.
Sennonché, ormai da anni, la Corte Costituzionale precisa che all’interno del nostro ordinamento, estremamente complesso e plurale, è impossibile immaginare una gerarchia di interessi immutabile.
La Pubblica Amministrazione, invero, è chiamata a effettuare un bilanciamento tra interessi eterogenei, spesso tra interessi parimenti pubblici e dunque generalmente rilevanti, senza possibilità di ricorrere a automatismi decisori.