La Cassazione dubita della legittimità costituzionale del TSO

Con l’ordinanza n. 24124 del 9 settembre 2024 la Corte di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della normativa sul trattamento sanitario obbligatorio (tso) in condizioni di degenza ospedaliera nella parte in cui non prevede la comunicazione dei relativi provvedimenti all’interessato.

Il tso rientra nella categoria dei trattamenti sanitari che possono essere imposti ai cittadini in deroga alla libertà di sottoporsi alle cure, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione.

Dei limiti di imposizione di tali trattamenti si dibatté quando fu emanata la normativa sulla vaccinazione obbligatoria contro il Covid-19: ricordiamo bene le polemiche dei sostenitori della libertà contro i tutori della salute pubblica, questione risolta a favore della costituzionalità di tale normativa dalle sentenze della Corte Costituzione n. 14/2023 e n. 15/2023.

Rispetto alle vaccinazioni il tso è di grado assai più intenso perché non è solo obbligatorio ma anche coattivo.

L’ordinanza della Cassazione chiarisce la distinzione: i trattamenti “semplicemente” obbligatori possono essere elusi dai destinatari che però si assumono le responsabilità conseguenti; quelli coattivi sono operati anche contro la volontà dei destinatari.

È importante notare che non è discussione la conformità dell’istituto del tso alla libertà dei trattamenti sanitari garantita dall’art. 32 Cost.

L’ordinanza, nel ricostruire la storia dell’istituto, precisa che – a seguito della ben nota l. n. 180/1978, la cosiddetta legge Basaglia – l’approccio verso la malattia mentale è mutato nel senso che è posto al centro dell’intervento pubblico il benessere dei malati e non più la tutela sociale contro i comportamenti devianti di essi.

Infatti, come espone l’ordinanza, i presupposti del trattamento sono individuati dagli artt. 33 e 34 l. n. 833/1978 in: a) esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; b) mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; c) esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

Non è presa in considerazione l’esigenza di “difendere” la società dal malato.

Il tso è disposto dal sindaco su proposta di un medico (art. 33, terzo comma, L. 833/1978), la quale è convalidata da parte di un altro medico, dipendente pubblico (art. 34, quarto comma); il provvedimento del sindaco con cui viene disposto il tso in condizioni di degenza ospedaliera deve essere emanato entro quarantotto ore dalla convalida del secondo medico (art. 35, primo comma), e poi notificato al giudice tutelare (entro quarantotto ore dal ricovero), che provvede (nelle successive quarantotto ore) a convalidare o meno il provvedimento.

Dalla descrizione del procedimento risulta che non è prevista alcuna comunicazione all’interessato sicché questi– com’è accaduto nel giudizio a quo – ne viene a conoscenza quando magari il trattamento e terminato.

Invece – osserva la Corte di Cassazione – “l’assenza del diritto ad essere tempestivamente informati della decisione, delle ragioni su cui si fonda e della procedura attraverso la quale si perviene alla convalida giurisdizionale, nonché sulle modalità della opposizione, costituiscono un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto ad un ricorso effettivo, alla difesa, ed in ultima analisi ad un giusto processo”.

Se – come premesso – il tso è previsto a tutela dell’interessato e non della collettività, ne segue che tale tutela “deve avvenire nel rispetto della dignità della persona e senza violenze materiali e morali, non dovrebbe essere di ostacolo al contraddittorio e al diritto dell’interessato di partecipare, nella misura in cui glielo consentono le sue condizioni, alle decisioni sul suo percorso di salute”.

In conclusione la Corte di Cassazione dubita della compatibilità del mancato contraddittorio con l’art. 24 Cost. che sancisce il diritto di difesa nonché all’art. 117 della Costituzione in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU che pure tale diritto garantiscono, ed anche con gli artt. 2, 3, 13, 24, 32 e 111 della Costituzione.

Dario Sammartino

Svolge l’attività di avvocato soprattutto nel campo del diritto amministrativo. Ha così vissuto i rapporti con le pubbliche amministrazioni la professione sia dalla parte dei cittadini sia (in misura minore) da quella degli enti; rimane ottimista sulla funzione sociale dell’avvocato amministrativista.