La Corte Costituzionale ha parzialmente accolto i ricorsi proposti da quattro Regioni avverso la legge n. 86/2024 sulla cosiddetta autonomia differenziata.
Ne avevamo parlato qui:
https://www.giurdanella.it/2024/10/autonomia-differenziata-leggiamo-i-ricorsi/
Dal comunicato stampa si apprende che la Corte ha rilevato sette profili d’incostituzionalità della legge e per altri ha formulato un’interpretazione costituzionalmente orientata.
I sette aspetti di contrasto con la Costituzione sono i seguenti.
1) La possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie.
Invero l’art. 116 non prevede il trasferimento di “ambiti di materie” ma di “ulteriori forme e condizioni di autonomia”, incidenti su parti di materie già di ordinaria competenza ripartita.
Così sarebbe alterato il sistema di ripartizione delle competenze tra Stato Regioni.
La Corte ha aggiunto anche il trasferimento delle specifiche funzioni debba essere giustificato, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà che ispira tutto il sistema. Va quindi escluso il trasferimento “in blocco”.
2) Il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.
Le regioni ricorrenti avevano appunto censurato che l’art. 76 della Costituzione prevede che la delega di funzioni al Governo sia definita da principi direttivi. Non bastano le norme della legge n. 197/2022 (che viene trattata a parte).
3) La previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei LEP.
Mentre, infatti, la prima adozione dei LEP sarebbe stata disposta con decreti legislativi delegati (sia pure in modo incostituzionale, come appena visto), l’aggiornamento sarebbe stato disposto con un atto amministrativo privo di molte garanzie-
Come censurato ad esempio nel ricorso della Regione Sardegna, il decreto presidenziale “è un atto sottratto al sindacato delle più alte istituzioni garantiste: non è soggetto al controllo del Capo dello Stato in sede di emanazione ex articoli 74 e 87, quinto comma, della Costituzione; non è soggetto al sindacato di codesta Ecc.ma Corte ex art. 127 della Costituzione, perché atto estraneo alla previsione dell’art. 134 della Costituzione e privo di valore di legge; infine, non può neppure essere fatto oggetto di referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione”.
4) Il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP.
Abbiamo visto che il decreto legislativo è dovuto per Costituzione quindi il decreto presidenziale non è legittimo neanche in via transitoria. Peraltro i commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 l. n.197/2022 non contengono alcun criterio.
5) La possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito.
Era stata rilevata l’incoerenza tra la previsione che le risorse necessarie per finanziare le funzioni devolute debbano derivare esclusivamente dalla compartecipazione al gettito erariale maturato nel territorio regionale; e, allo stesso tempo, il riconoscimento che il meccanismo delle compartecipazioni al gettito presenta delle criticità, appunto legate all’andamento del gettito, tali da poter dare luogo alla necessità di modificare le aliquote di compartecipazione, anche al fine di effettuare le regolazioni economiche per le annualità passate.
La Corte ritiene che, in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni.
6) La facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.
Infatti “le ‘regioni differenziate’ possono godere di una sorta di extraterritorialità finanziaria — o, se si preferisce appellarla così, di un’autentica ‘secessione finanziaria’ — potendo benissimo (recte, di norma) restare estranee e indifferenti agli obiettivi di finanza pubblica, che, pertanto, varrebbero per tutti gli enti dei quali si compone la Repubblica (comuni, città metropolitane, province, regioni ordinarie e speciali, Stato) ma non per le regioni ‘differenziate’” (ricorso della Regione Sardegna).
7) L’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
Per superare ulteriori criticità della legge, la Corte è riuscita a dare un’interpretazione costituzionalmente orientata di altre disposizioni che erano state criticate nei ricorsi. Tra queste rilevano le seguenti:
1) l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo, quindi potrebbe partire dai parlamentari o anche dalle Regioni;
2) la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata.
Si può aggiungere che anche le Regioni potrebbero dire la loro.
3) l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso.
In proposito era stato paventato che: “Il criterio della spesa storica, peraltro, operativo nei primi quattro anni di vita del fondo perequativo, riflette e consente il perdurare di profonde differenze territoriali, perché assume a parametro di riferimento quanto si è speso in precedenza, e non quanto si dovrebbe spendere” (ricorso della Regione Toscana). Era stato paventato pure che le Regioni avrebbero potuto trattenere il gettito assegnato anche se sovrabbondante rispetto alle esigenze effettive a consuntivo.
La decisione della Corte rimette la questione al Parlamento per adeguare la legge alla Costituzione.
Rimane però “in corsa” il referendum abrogativo dell’intera legge.