Segnaliamo la sentenza n. 8352/2024 del Consiglio di Stato sui termini per impugnare in materia di appalti.
Il caso concreto riguardava una procedura aperta per l’affidamento di lavori per conto della Acquedotto Lucano s.p.a.
A seguito della conclusione della gara, uno degli operatori economici ha presentato istanza di accesso la quale era evasa dalla stazione appaltante soltanto dopo aver effettuato la notificazione ai contro interessati ai sensi dell’art. 3 d.p.r. 184/2006 recente disposizioni in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Successivamente, il concorrente ha proposto ricorso ritenendo illegittimo il provvedimento di aggiudicazione.
Sennonché, il giudice di prime cure ha ritenuto tardiva l’impugnazione del ricorrente, rilevando il decorso dei trenta giorni dalla data di comunicazione dell’esito della gara.
L’operatore economico ha presentato appello innanzi il Consiglio di Stato, il quale ha accolto le sue doglianze.
Il Collegio ha esordito specificando che la procedura oggetto della controversia rientra nell’ambito di applicazione del d.lgs. 36/2023, il cui articolo 209 ha modificato il disposto dell’articolo 120 c.p.a. stabilendo che alle procedure di affidamento di lavori, servizi e concessioni si applica il termine di impugnazione di 30 giorni decorrente dal giorno della comunicazione ex art. 90 d.lgs. 36/2023 ovvero dal momento in cui gli atti di gara sono messi effettivamente a disposizione.
La norma, ha osservato il Consiglio di Stato, mira a scongiurare i c.d. “ricorsi al buio”, ossia la tendenza a proporre gravami senza aver individuato le concrete ragioni di illegittimità del provvedimento impugnato, al solo fine di scongiurare l’inutile decorso del termine di impugnazione.
Peraltro, sempre nella stessa ottica, il nuovo codice dei contratti pubblici, all’articolo 36, prevede che sia la stessa stazione appaltante a mettere a disposizioni di tutti i concorrenti non esclusi i documenti relativi all’offerta dell’aggiudicatario, i verbali e tutti gli altri documenti di gara, inaugurando una nuova accezione del diritto all’accesso in materia di appalti (non più subordinato a specifica istanza dell’interessato).
Il Collegio ha altresì specificato che anche sotto il vigore del d.lgs. 50/2016 la giurisprudenza amministrativa aveva affermato i seguenti principi:
a) quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la proposizione dell’istanza d’accesso agli atti di gara comporta una dilazione temporale del termine per ricorrere pari a quindici giorni (ex 76, comma 2, del citato D. Lgs. n. 50/2016);
b) presupposto per l’applicazione della dilazione temporale è, a sua volta (oltreché la natura del vizio da far valere, il quale non deve essere evincibile se non all’esito dell’acquisizione documentale) la tempestività dell’istanza d’accesso, avanzata, cioè, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione;
c) laddove la stazione appaltante non dia immediata conoscenza degli atti di gara reclamati, in specie mediante tempestiva risposta alla (anch’essa tempestiva) domanda d’accesso, da evadere entro il termine di quindici giorni, si farà applicazione dell’ordinario termine d’impugnazione di trenta giorni, decorrente dalla effettiva ostensione dei documenti richiesti (Cons. Stato, A.P. 2 luglio 2020, n. 12; Sez. V, 27 marzo 2024, n. 2882; 7 febbraio 2024, n. 1263; 20 marzo 2023, n. 2796; Sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792).
Nel caso concreto, non solo l’amministrazione aggiudicatrice non aveva proceduto ai sensi del predetto articolo 36 d.lgs. 36/2023, ma il ricorrente aveva presentato tempestivamente istanza di accesso cui era stato dato riscontro solo dopo il decorso del termine di 15 giorni entro cui la stazione appaltante è tenuta a rispondere.
Dunque, il decorso dei 30 giorni utili per impugnare, secondo il Collegio, non era addebitabile all’operatore economico, il cui ricorso era da considerarsi tempestivo diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
La ricostruzione del Consiglio di Stato è coerente con l’ormai consolidato indirizzo adottato a livello sovranazionale dalla CGUE, secondo cui “la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata” (cfr. Corte di giustizia UE, Sez. IV, ord. 14 febbraio 2019, in C- 54/18; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2022, n. 10696).”