Testi generati dall’IA: come riconoscerli

Presso la National Gallery di Londra è custodita un’opera, un autoritratto, un dipinto autografo di Salvator Rosa, pittore del Seicento. Sulla tavola su cui poggia la mano destra dell’effigiato sta la scritta: “AVT TACE / AVT LOQVERE MELIORA / SILENTIO.” che, tradotto in italiano, recita “O taci, o di’ qualcosa che sia meglio del silenzio”.

Nella contemporaneità, ovviamente, vale il contrario. Chi tace è uno sciocco. Vale per tutti un detto siciliano: “testa ca nun parra pare cuccuzza”. Se la testa non serve a formulare un pensiero da esprimere allora è come una cucuzza, ovvero una zucca vuota.

D’altro canto, e qui chiudiamo con motti e proverbi, “meglio tacere e dare l’impressione di essere stupidi, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio!”, parole di Abramo Lincoln.

Già, parlare, o scrivere. Nei social, nelle chat, nelle occasioni conviviali, i pensieri originali sono rari. Il profluvio di parole, oggi, ha fondamentalmente tre scopi. Narrare di se stessi, disprezzare o venerare qualcun altro, cercare di convincere, di persuadere, gli altri.
Anche i commenti alle notizie sono sempre meno utili, in risposta alle segnalazioni di notizie ci si schiera, qui i nostri, di là i nemici.

Molta “bassa” retorica, ma la Retorica è un’arte, è l’arte della persuasione. Era una pratica fondamentale nel mondo greco, riflesso diretto delle vicende della vita politica e dell’importanza del discorso pubblico come principale strumento di espressione della democrazia.

E’ Aristotele che attribuisce per la prima volta alla retorica uno statuto teorico e dei principi propri, inserendola nella sua classificazione dei saperi, mostrandone la stretta connessione e, al tempo stesso, l’autonomia rispetto alla logica, l’etica e la politica.

Lo Stagirita le attribuisce la prerogativa di mettere in grado di pronunciare un discorso con metodo, ossia conoscendo la causa del suo essere persuasivo, il perché del verificarsi delle cose. Suddivide un discorso in parti, l’inventio, la dispositio, l’elocutio, l’actio.

L’inventio, trovare le prove, i mattoni attraverso i quali costruire il discorso. La principale preoccupazione di Aristotele, contrariamente a quanto accadrà qualche secolo dopo, è quella di costruire un ragionamento solido e convincente.

La dispositio, la cui funzione è quella di disporre in maniera efficace all’interno del discorso il materiale che proviene dall’inventio.

L’elocutio che ha il compito di “confezionare” le espressioni che vengono utilizzate. L’elocutio, nei secoli, ha acquisito un’importanza sempre maggiore, dovuta alla ricerca di espressioni più belle, accattivanti, raffinate. E’ responsabile dell’accezione negativa del termine, “discorso retorico” è un discorso di belle parole ma senza uno scopo, senza l’inventio, senza i mattoni.

Cicerone, a proposito dell’eloquenza, ne individua le virtù:

1) correttezza: cioè il rispetto della lingua, sia dal punto di vista grammaticale che lessicale;
2) chiarezza: cioè la necessità di costruire un discorso comprensibile;
3) l’ornatus: cioè la bellezza dell’espressione che proviene da vari mezzi e ornamenti.

Bene, fermiamoci qui, chi vuole approfondire l’affascinante mondo della retorica può farlo benissimo con i testi disponibili online.

L’ampia premessa ci serve per … sgamare i testi scritti da una intelligenza artificiale generativa.

Questi testi, come chiunque di voi si sarà accorto, sono, dal punto di vista grammaticale e lessicale, corretti. Sono anche chiari, lo sono sicuramente più di quelli di qualche anno fa e, a parte qualche allucinazione, sono indistinguibili da quelli scritti da un essere umano.

Quello che manca ai testi generati dall’A.I. è sicuramente l’ornatus, le figure retoriche. Tranne quelle che ricorrono statisticamente di più, la maggior parte delle figure retoriche è assente nei testi “artificiali”.

La metonimia, una parola o parte del discorso, che viene sostituita con un’altra che, però, mantiene un rapporto logico e naturale con esso. Esempi di metonimia: “avere le guance rigate di pianto”, ma in realtà sono rigate di lacrime, “arte dello scalpello” riferendosi alla scultura, “devo studiare Dante” intendendo la Divina Commedia, e così via.

La sineddoche, ovvero l’indicare la parte di un oggetto per il tutto. Ad esempio, utilizzare la parola “vela” al posto di barca a vela, o “il mio tetto” per indicare la mia casa.

La prosopopea (o personificazione) che consiste nel far parlare animali o cose rese animate, come avviene
nelle fiabe o nei cartoni.

L’iperbole, l’esagerare i termini per enfatizzare un aspetto particolare o sottolineare temi caricaturali, “ti amo da morire!”, “ti aspetto da una vita!”.

E poi la metafora, il trasferire il significato di una parola a un’altra, sulla base di un rapporto di somiglianza tra i due termini, ovvero confrontare un concetto reale con uno immaginario per esprimere un’idea in un modo più impressionante ed estetico, la vita è un ottovolante, una corsa ad ostacoli, la curiosità è una finestra sul mondo, e una serie infinite di altre espressioni simili.

Seppure diffuse, le figure retoriche sono statisticamente molto inferiori al discorso piatto che abbonda nel web.

Un altro segno che il testo proviene da un modello automatico è il riferimento al passato. Raramente un “language model” farà citazioni o esempi del passato. Potrà capitare, ma solamente con eventi notissimi, che ricorrono statisticamente in maniera diffusa. E’ pressocché improbabile, se non impossibile, ad esempio, che metta assieme, come in questo piccolissimo testo, Salvator Rosa, Abramo Lincoln, Aristotele, Gorgia e pure un proverbio siciliano.

A proposito di Gorgia, ancora non citato, scriveva nell’Encomio di Elena:
“La parola è un gran dominatore che, con un corpo piccolissimo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, a eliminare il dolore e a suscitar la gioia e a ispirare la pietà.”

Non lasciamo il potere delle parole alle macchine e… a chi usa le parole, non per calmare ma aizzare, non per eliminare il dolore ma provocarlo, non per suscitare gioia e ispirare pietà ma odio, crudeltà, spietatezza, cinismo, insensibilità.

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Informatico di lungo corso, esperto di sistemi e tecnologie di rete. Presenza attiva su Internet già dalla seconda metà degli anni Novanta. Fautore dell'open data e dell'informatica consapevole. Fortemente critico della centralizzazione della Rete avvenuta a partire dal secondo decennio di questo millennio, auspica un ritorno alla decentralizzazione e alla democratizzazione di Internet.