Niente ricorsi al buio negli appalti: lo prevede la direttiva europea ricorsi sulle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, n. 665 del 1989.
E, con sentenza n. 1631/2025, Il Consiglio di Stato è di recente tornato a pronunciarsi sui termini per proporre ricorso in materia.
Un’impresa aveva impugnato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato irricevibile il ricorso, per tardività.
Volgendo lo sguardo alla normativa rilevante sul punto, bisogna considerare quanto previsto dall’articolo 120, comma 2, c.p.a., a mente del quale i termini per proporre ricorso decorrono dal momento in cui viene effettuata la comunicazione ex articolo 90 d.lgs. 36/2023.
L’art. 36 del medesimo Codice, nei primi due commi, prevede, a sua volta che:
“1. L’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90.
- Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate”.
Secondo il Collegio, alla luce della normativa succitata, il termine per impugnare decorre dal momento in cui l’operatore ha piena conoscenza degli atti che gli cagionano un pregiudizio.
Quid iuris, dunque, se il pregiudizio deriva all’operatore economico non da un atto comunicato ai sensi e nei termini di cui all’articolo 90 Cod. appalti (ossia entro 5 giorni dalla loro adozione), ma da altri atti della procedura pubblicati successivamente?
In effetti, nel caso concreto, l’impresa appellante era venuta a conoscenza di atti della gara lesivi dei suoi interessi solo successivamente alle comunicazioni ex art. 90 d.lgs. 36/2023 e, per il Consiglio di Stato, solo a partire da quel momento poteva utilmente decorrere il termine per impugnare.
Questa ricostruzione è coerente con l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa secondo cui vanno evitati i ricorsi al buio, ossia i ricorsi presentati dagli operatori al solo fine di impedire l’inutile decorso del termine per impugnare, senza che abbiano effettivamente individuato l’atto (o gli atti) lesivi della loro posizione giuridica.
E, a livello euro unitario, è stato chiarito che la direttiva europea ricorsi, e cioè “la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata” (cfr. Corte di giustizia UE, sez. IV, ord. 14 febbraio 2019, in C – 54/18; Cons. Stato, n. 10606).
Per il Consiglio di Stato, dunque, il ricorso dell’operatore era tempestivo perché presentato nei trenta giorni successivi alla pubblicazione degli atti di gara effettivamente lesivi dei suoi interessi.