L’equo compenso nelle gare pubbliche

Il Consiglio di Stato anticipa il correttivo appalti

La questione della compatibilità tra la Legge sull’equo compenso (L. 49/2023) e il Codice dei contratti pubblici è approdata al Consiglio di Stato, il quale si è pronunciato con sentenza n. 594/2025.

La questione giuridica analizzata dal Collegio è oggetto di un recente contrasto giurisprudenziale che vede contrapporsi due orientamenti.

Da un lato, il TAR Veneto (la cui sentenza n. 632/2024 è proprio quella impugnata dinanzi il Consiglio di Stato), seguito dal TAR Lazio (sentenza n.8580/2024), secondo i quali la regola dell’equo compenso ex lege 49/2024 deve essere applicata anche ai contratti pubblici, senza alcun pregiudizio al sistema concorrenziale che caratterizza gli appalti pubblici, giacché gli eventuali ribassi sul prezzo offerto dal professionista possono riguardare altre componenti quali “le spese e gli oneri accessori”.

In senso difforme, invece, il TAR Campania, con sentenza n. 1494/2024, (in senso conforme TAR Reggio Calabria n. 483/2024) ha escluso l’eterointegrazione dei bandi di gara con le disposizioni della legge sull’equo compenso.
Per il Collegio, infatti, la disciplina del d.lgs. 36/2023 contiene al suo interno gli strumenti necessari a tutela dell’equo compenso a favore dei professionisti.
In tale ottica, la verifica di anomalia delle offerte (art. 110 d.lgs. 36/2023) sarebbe finalizzata ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi.

Ebbene, il Consiglio di Stato si è espresso in senso favorevole al secondo degli orientamenti suesposti.

In primo luogo, il Collegio ha affermato che non sussiste alcuna antinomia tra L. 49/2023 e d.lgs. 36/2023 e, conseguentemente, nessuna necessità di eterointegrazione del bando che eventualmente ammetta il ribasso dei compensi.

Difatti, la nozione di equo compenso, inteso come “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente: […] per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”, è diversa da quella complementare di compenso “non equo e proporzionato all’opera prestata” che consiste nelle “pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale.

In altri termini, il compenso è equo quando è conforme ai compensi previsti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9 del D.L. 1/2012; diversamente, il compenso è iniquo se risulta inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale.

In particolare, l’articolo 9 del D.L. 1/2012 fa riferimento a un decreto ministeriale che, come già detto, individua i parametri di liquidazione giudiziale del compenso e a un decreto interministeriale (del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici

Sul punto, afferma il Collegio che “i due meccanismi … pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a natura della fonte normativa … scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara) … legittimando una ricostruzione dicotomica nel senso che la prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara.”

Ricostruito in questi termini il rapporto tra i due parametri normativi, il Consiglio di Stato ha stabilito che la nozione di equo applicabile alla contrattualistica pubblica è da intendersi come equo ribasso, frutto dell’interpretazione coordinata tra “corrispettivo equo e proporzionato posto a base di gara e minimum inderogabile evincibile dal range di flessibilità del compenso liquidabile in ragione della complessità della prestazione dedotta nell’affidamento”.

A favore della ricostruzione prospettata in sentenza, il Collegio ha rilevato che la tesi dell’equo compenso fisso e inderogabile contrasterebbe con i principi di matrice eurounitaria di concorrenza, oltre a non trovare fondamento letterale nell’articolo 8 del d.lgs. 36/2023 che richiama unicamente il principio di “equo compenso”, non richiedendone un’individuazione fissa, tanto da ammettere – ove previsto da disposizioni di legge – prestazioni d’opera a titolo gratuito.

Infine, a ulteriore fondamento della soluzione accolta dal Consiglio di Stato viene richiamato il correttivo appalti che, novellando l’articolo 41 d.lgs. 36/2023, stabilisce da un lato, che le tariffe siano considerate per il 65 per cento come un importo “a prezzo fisso”, come tale non ribassabile in sede di gara; dall’altro, che rispetto al restante 35 per cento, l’elemento relativo al prezzo possa essere invece oggetto di offerte al ribasso in sede di presentazione delle offerta.
Per mitigare l’impatto di tali ribassi sull’aggiudicazione e valorizzare la componente tecnica della progettazione, si prevede tuttavia che per tale residuo 35 per cento, la stazione appaltante stabilisca un tetto massimo per il punteggio economico, entro il limite del 30 per cento.

Redazione

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