Legge elettorale: l’ultima parola sul Porcellum spetta alla Corte costituzionale

La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 12060 del 17 maggio 2013, ha sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’attuale legge elettorale n. 270/2005 (cd. Porcellum), e in particolare del premio di maggioranza previsto sia alla Camera che al Senato, per la dubbia ragionevolezza del bilanciamento tra i diversi valori costituzionali in gioco, primo fra tutti il principio di uguaglianza del voto e di rappresentanza democratica nonché il principio di personalità e libertà del voto.
Ad avviso della Sezione rimettente “si tratta di un meccanismo premiale che, da un lato, incentivando (mediante una complessa modulazione delle soglie di accesso alle due Camere) il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, contraddice l’esigenza di assicurare la governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o i partiti che ne facevano parte ne escano (con l’ulteriore conseguenza che l’attribuzione del premio, se era servita a favorire la formazione di un governo all’inizio della legislatura, potrebbe invece ostacolarla con riferimento ai governi successivi basati un coalizioni diverse); dall’altro provoca un’alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio è in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra l’altro, restano in carica per un tempo più lungo della legislatura“.
Laddove si accertasse che gli esiti descritti sono normativamente previsti e programmati, la distorsione introdotta dal premio di maggioranza sarebbe costituzionalmente illegittima perchè irragionevole e irrazionale, e quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.
Ciò sembra corroborato dalla circostanza che il premio di maggioranza previsto dalla legge n. 270/2005 per il Senato, diversificato per ogni Regione, porta ad una sommatoria casuale di premi che finiscono per elidersi vicendevolmente potendo addirittura rovesciare il risultato ottenuto da liste e coalizioni su base nazionale.
Favorire per questa via la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, comprometterebbe non solo la governabilità del Paese ma anche e soprattutto il funzionamento del bicameralismo perfetto e l’esercizio della stessa finzione legislativa, entrambe previste dalla nostra Carta costituzionale.
Infine, la libertà e la personalità del voto sarebbe incisa dalla sottrazione all’elettore della facoltà di scegliere il candidato eletto. Il dubbio è: può ritenersi realmente libero il voto quando all’elettore è sottratta la facoltà di scegliere l’eletto e può ritenersi personale un voto che è invece di fatto spersonalizzato?
Alla Consulta l’ardua sentenza.

Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo integrale dell’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I, n.12060 del 17 maggio 2013.

Redazione

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