Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10304 del 3 maggio 2013, affrontano lo spinoso tema delle modalità con cui è consentito lo svolgimento di pubblicità promozionale dell’attività professionale degli studi legali, giungendo ad affermare che, nonostante l’avvenuta abrogazione del relativo divieto, la pubblicità occulta allo studio legale sotto le mentite spoglie di un’intervista è passibile di sanzione da parte del Consiglio dell’ordine di appartenenza del legale.
Nel caso di specie veniva in rilevo un’intervista ad un avvocato pubblicata su un inserto mensile allegato ad un quotidiano nazionale (“Tra Germania e Italia accompagnando clienti nella costituzione di joint venture e partnership all’estero”), in cui si evidenziava l’attività professionale svolta e la struttura dello studio legale corredata da numerose fotografie, sanzionata dal competente Consiglio forense con la misura dell’avvertimento.
I giudici della Suprema Corte sottolineano come non sia in discussione il diritto al libero esercizio di una pubblicità promozionale dell’attività professionale, pacificamente riconosciuto dall’attuale assetto normativo, ma bensì le modalità di realizzazione della stessa, che devono sottostare a precisi e specifici limiti deontologici disciplinarmente rilevanti.
Difatti L’art. 4 del DPR 3 agosto 2012, n. 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere “funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria”, ovverosia deve svolgersi con modalità non lesive del decoro e della dignità della professione.
Ebbene, per le Sezioni Unite ciò non è avvenuto nel caso di specie, come ha evidenziato le sentenza impugnata: “il tipo di pubblicazione, il titolo dell’articolo (…), e la forma dell’intervista, costituivano, in una considerazione unitaria e nella loro contestualità, una modalità non consona, perchè << non consentivano al lettore di percepire con immediatezza di trovarsi al cospetto di una informazione pubblicitaria>>, che ben poteva, quindi, definirsi occulta. Una informazione pubblicitaria confezionata, cioè, sotto altre spoglie, senza dichiarare espressamente che di effettivamente di pubblicità si tratta”.
Infine, è del tutto irrilevante che il Dlgs n. 145/2007, recante la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, attribuisca i relativi poteri sanzionatori all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), poiché le violazioni riscontrate sono violazioni al codice di deontologia forense, come tali sanzionabili solo dal Consiglio dell’ordine di appartenenza del legale.
Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo integrale della sentenza n. n. 10304 del 3 maggio 2013 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.