Con sentenza n. 102 del 29 maggio 2013, la Corte Costituzionale torna ancora una volta a ribadire l’illegittimità della legislazione regionale quando la stessa viola i principi fondamentali dettati dalla legislazione statale in materia di governo del territorio.
L’art. 14 della Legge della Regione Lombardia 27 febbraio 2007, n. 5, come risultante a seguito delle modifiche successivamente introdotte dall’art. 1, comma 8, lett. a), della Legge della Regione Lombardia 31 marzo 2008, n. 5, dall’art. 4 della Legge della Regione Lombardia 23 dicembre 2008, n. 33, e dall’art. 23 della Legge della Regione Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7), è stato infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., in materia di governo del territorio, avendo la norma regionale, sottoposta al vaglio della Consulta, previsto una durata temporale delle misure di salvaguardia eccedente quella fissata dalla norma statale (art. 12, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2011).
Principio cardine in materia è quello sancito dall’art. 12, comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, ai sensi del quale: “in caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”.
Ratio della norma è impedire, nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione di un piano urbanistico, quei cambiamenti degli assetti urbanistici ed edilizi che potrebbero contrastare con l’assetto territoriale configurato dalle nuove previsioni pianificatorie; l’adozione del piano ha, quindi, funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformano allo stesso.
Seguendo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa (in particolare Cons. di Stato, Ad. Plenaria, sent. n. 2 del 2008), secondo cui la disciplina sulle misure di salvaguardia di cui al predetto art. 12, comma 3. T.U. edilizia, ha una valenza mista – edilizia, poiché volta ad incidere sui tempi dell’attività edificatoria, ed urbanistica, poiché finalizzata alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere – la Corte Costituzionale afferma che tale disposizione deve essere ricondotta alla materia di “governo del territorio” di cui all’art. 117, comma 3, Cost., materia, cioè, di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, mentre le Regioni di emanare la normativa di dettaglio.
Nel caso di specie, la disposizione regionale, pur perseguendo finalità proprie delle misure di salvaguardia, ha violato i principi statali dettati in materia, per tre ordini di ragioni:
a) differimento temporale dello ius aedificandi, riconosciuto per un periodo di anni ben superiore a quello fissato dall’art. 12, comma 3, T.U. edilizia;
b) indeterminatezza dei tempi dell’iter procedimentale (essendo sopravvenuti, dopo l’iniziale imposizione delle misure di salvaguardia per un periodo che non avrebbe dovuto superare i 15 mesi, ben quattro ulteriori provvedimenti legislativi che ne hanno prorogato ripetutamente la durata);
c) adozione di misure non meramente sospensive, ma di divieto dell’attività edificatoria.
La norma impugnata, costituendo violazione del principio della ragionevole temporaneità delle misure di salvaguardia, si pone in contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost., in materia di governo del territorio ed è stata, per questo, dichiarata costituzionalmente illegittima.
Per ulteriori approfondimenti, si rimanda al testo integrale della sentenza della Corte Costituzionale n. 102 del 29 maggio 2013.