Con la recente sentenza n. 3831 del 15 luglio 2013 il Consiglio di Stato è intervenuto in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per l’annullamento d’ufficio di una gara d’appalto, statuendo che “non sussiste la responsabilità precontrattuale della P.A. nel caso in cui la stazione appaltante, dopo aver indetto una procedura aperta per l’affidamento di un appalto di lavori, ha tempestivamente disposto e formalmente pubblicato l’annullamento d’ufficio di tutti gli atti della gara stessa, in ragione della constatata equivocità del bando […]. In tal caso, infatti, deve escludersi una condotta illecita – contraria ai canoni di buona fede e correttezza in contrahendo – in capo alla stazione appaltante; e ciò sia in ragione delle manifeste, serie e plausibili ragioni che hanno indotto la P.A. a recedere dalla procedura contrattuale poco prima avviata, che della inidoneità della ambigua lex specialis ad ingenerare un legittimo affidamento in capo ai concorrenti”.
Nel caso di specie il Consiglio di Stato è stato chiamato a valutare la fondatezza della pronuncia del TAR Campania (sentenza n. 1646 del 2012) sulla richiesta di risarcimento danni avanzata da una delle società partecipanti alla gara nei confronti del Comune di Afragola, per avere lo stesso revocato la procedura di gara per l’affidamento di alcuni lavori di riqualificazione del sistema infrastrutturale.
In seguito alla pubblicazione del bando erano pervenute al Comune numerose richieste di chiarimenti in ordine alla contraddittorietà di alcuni delicati profili della disciplina di gara (in particolare, vi era stata rilevata una discordanza tra le previsioni del bando e quelle del disciplinare sui criteri di valutazione dell’offerta).
L’amministrazione, dopo aver tempestivamente provato a fornire delle precisazioni per rettificare il suddetto contrasto, aveva tuttavia ritenuto opportuno procedere alla revoca della procedura prima del termine fissato per la presentazione delle offerte.
Il giudice di prime cure, pur ritenendo legittimo il provvedimento di revoca, avava ravvisato nell’operato del Comune una condotta incompatibile con i doveri di correttezza e buona fede, condannando l’Ente al risarcimento del danno precontrattuale.
Al contrario, i giudici di palazzo Spada hanno affermato che, in tale ipotesi, non possa ravvisarsi, in capo al Comune, alcuna culpa in contrahendo. Nella motivazione della sentenza viene infatti chiaramente spiegato che “il solo fatto dell’essersi una Stazione appaltante espressa, in occasione della redazione della disciplina di gara, con elementi equivoci, non può di per sé essere considerato alla stregua di un contegno lesivo del principio di correttezza nelle trattative: un’insufficiente chiarezza potrebbe essere stigmatizzata solo quando sia stata senza giustificazione protratta nel tempo nel corso delle trattative, con il dare appunto seguito alla procedura a dispetto dell’ambiguità della sua lex specialis, tenendo in non cale le richieste di chiarimento avanzate dagli operatori. Ma una condizione del genere nella specie non ricorre”.
Inoltre, secondo il Consiglio di Stato, la circostanza che in un primo momento il Comune abbia provato a chiarire il senso della disciplina di gara, e solo dopo (ma con tempistica di per sé immune da possibili censure) abbia optato per la revoca della procedura è indice della cautela con cui l’amministrazione si è mossa, “optando per il recesso dalle trattative solo quando è risultato con sufficiente nitidezza che non esistevano margini tali da permettere di recuperare il procedimento mediante interventi di chiarimento interpretativo”.
Per ulteriori approfondimenti si rende disponibile il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831.