Oggi la Corte Costituzionale è chiamata a decidere sull’ordinanza di remissione della Corte di Cassazione, sezione prima civile (presidente Vitrone, relatore Lamorgese, qui il testo). In contestazione il “porcellum”, ed in particolare la legittimità costituzionale del premio di maggioranza e dell’abolizione del voto di preferenza (qui la scheda sui possibili esiti).
Sul premio di maggioranza in Senato
Sostiene la Corte di Cassazione che, “essendo il premio diverso per ogni regione, il risultato è una sommatoria casuale dei premi regionali che finiscono per elidersi tra loro e possono addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste e coalizioni di lista su base nazionale. Le diverse maggioranze regionali non avranno mai modo di esprimersi e di contare, perché il Senato è un’assemblea unitaria e il governo è nazionale.
In tal modo si favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e si compromette sia il funzionamento della nostra forma di governo parlamentare nella quale, secondo i dettami del bicameralismo perfetto, “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” (art. 94, comma 1, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa che l’art. 70 Cost. attribuisce paritariamente alla Camera e al Senato.
Si tratta di un meccanismo premiale che, da un lato, incentivando (mediante una complessa modulazione delle soglie di accesso alle due Camere) il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, contraddice l’esigenza di assicurare la governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o i partiti che ne facevano parte ne escano (con l’ulteriore conseguenza che l’attribuzione del premio, se era servita a favorire la formazione di un governo all’inizio della legislatura, potrebbe invece ostacolarla con riferimento ai governi successivi, basati su coalizioni diverse”.
Sull’abolizione del voto di preferenza
Osserva la Cassazione che “è stata abolita qualsiasi possibilità per l’elettore di esprimere una preferenza (i nomi dei candidati non compaiono neppure sulla scheda e per conoscerli egli è costretto a svolgere apposite ricerche). Come diffusamente evidenziato dalla dottrina, l’elettore può votare solo una lista “bloccata”; l’elezione sarà determinata esclusivamente dall’ordine di lista stabilito dal partito all’atto della presentazione, poiché è tale ordine, e non il voto del cittadino elettore, a distinguere la posizione di candidato certamente eletto o, al contrario, non eletto.
La nostra Carta fondamentale, nel prevedere il voto “diretto”, esclude quindi implicitamente (ma chiaramente) il voto “indiretto” in qualsiasi forma esso possa essere congegnato dal legislatore.
Il dubbio è se possa considerarsi come “diretto” oppure come sostanzialmente “indiretto”, e quindi incompatibile con la Costituzione, un voto che non consente all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ad esempio indicando il nominativo di un candidato sulla scheda, ma solo di scegliere una lista di partito, cui in definitiva è rimessa la designazione dei candidati.
I partiti concorrono, con le altre formazioni sociali (art. 2 Cost.), “con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 Cost.), ma non si identificano con le istituzioni rappresentative da eleggere né con il corpo elettorale. La loro è una funzione strumentale di proposta e di raccordo tra i cittadini e le istituzioni, cioè di intermediazione; essi “concorrono alla espressione del voto” (per usare le parole dell’art. 4 della Costituzione francese), ma non possono sostituirsi al corpo elettorale. Vi è da chiedersi se sia rispettato il nucleo sostanziale dell’art. 67 Cost. che, prevedendo che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, presuppone evidentemente l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori.
Vi è anche da chiedersi se possa ritenersi realmente “libero” il voto quando all’elettore è sottratta la facoltà di scegliere l’eletto (ad avviso di una parte della dottrina, l’espressione “libertà di voto senza preferenza” assume il significato di un “drammatico ossimoro”) e se possa ritenersi “personale” un voto che è invece “spersonalizzato”.
Né varrebbe sostenere in senso contrario che l’elettore sarebbe libero di scegliere tra l’una e l’altra lista in cui è ricompreso il candidato prescelto. La sua elezione infatti non dipenderebbe dal numero di voti ottenuti ma dall’ordine di candidatura nella lista assegnato dagli organi di partito”.
Qui il testo integrale dell’ordinanza della Corte di Cassazione