Il decreto legge 64/2014 (attualmente oggetto di discussione in senato e denominato decreto “bonus” o “Irpef” o “spending review”) prevede anche un intervento significativo in materia di appalti pubblici.
L’obiettivo di razionalizzazione della spesa pubblica viene perseguito dal testo normativo, in vigore già dal 24 aprile, riducendo il numero delle stazioni appaltanti.
Viene in particolare modificato l’art. 33 del Codice dei contratti pubblici, , il cui comma 3-bis viene interamente sostituito dall’articolo 9, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66. Con la nuova versione del comma 3-bis si prescrive che “I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 15 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A.o da altro soggetto aggregatore di riferimento”.
Pertanto sono 4 le strade a disposizione dei comuni per l’acquisto di beni o servizi:
1) Unioni dei comuni
2) Accordi consortili tra amministrazioni
3) Apposito soggetto aggregatore o centrale di committenza
4) Strumenti elettronici gestiti da Consip o da altro aggregatore
Una novità importante del decreto è la creazione di “soggetti aggregatori”, che si aggiungono a Consip S.p.A. ed alle centrali di committenza, per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni. I nuovi organismi sono istituiti fino ad un numero di 35 sul territorio nazionale.
Il decreto 66 mira a ridurre la spesa pubblica anche tramite la riduzione dell’importo dei contratti stipulati già in essere, ad opera del comma 8 dell’art. 8.
Tale comma sancisce che, al fine di realizzare l’obiettivo di riduzione della spesa per beni e servizi, le amministrazioni pubbliche sono autorizzate a ridurre gli importi dei contratti in essere, aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5% del predetto importo per tutta la durata dei contratti, con facoltà di rinegoziare le prestazioni contrattuali.
Resta salvo il potere di recedere senza penali del prestatore di beni e servizi, ove tale facoltà sia esercitata entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto legge.
In ogni caso, a norma della lettera b), per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore del provvedimento, le stesse amministrazioni devono assicurare che gli importi e i prezzi contrattuali non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalla riduzione del 5% di cui sopra o ai prezzi di riferimento, ove esistenti.
Tale comma è stato oggetto di perplessità da parte dei tecnici del Senato. In una nota si sottolinea che i contratti che dovrebbero essere tagliati sono stati “regolarmente stipulati dalle amministrazioni iure privatorum con terzi” e questo potrebbe innescare “meccanismi di contenzioso, con gli affidatari da cui potrebbero derivare nuovi o maggiori oneri di spesa per le Pa e non la neutralizzazione di parte dei risparmi attesi”.